Mese: ottobre 2016

Il falso in Bilancio valutativo secondo le Sezioni Unite.

(Cassazione penale, sez. un., 31/03/2016,  n. 22474)

Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione, nel bilancio, di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

La vicenda dalla quale deriva il principio di diritto appena richiamato trae origine dal Fallimento della S.p.a. Aquila Calcio. Nel caso in esame la procura della Repubblica contestava a due amministratori della società Aquila Calcio i reati di bancarotta fraudolenta distruttiva e documentale nonché di bancarotta da reato societario.

Con questa sentenza il Supremo Consesso è intervenuto per dirimere l’importante dibattito giurisprudenziale e dottrinale accesosi in seguito alla riforma dei reati societari operata dal legislatore nel 2015.

In particolare, a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 69 del 2015, non di poco momento era stabilire se il cosiddetto “falso valutativo” continuasse o meno a mantenere rilevanza penale.

Come noto, infatti, con legge 69/2015, art. 9, è stato espunto dagli articoli 2621 c.c. e 2622 c.c. l’inciso “ancorché oggetto di valutazione” e con ciò alcuni esponenti della dottrina, poi seguiti parte da una certa branca della giurisprudenza, avevano ritenuto che detta reformatio determinasse una vera e propria successione di leggi, con effetto abrogativo, limitato ovviamente, alle condotte di falsa valutazione di una realtà effettivamente esistente.

L’arresto a Sezioni Unite in commento, invece, ha posto fine alla disputa accogliendo la tesi opposta, secondo la quale la riforma non ha avuto l’effetto di escludere dal perimetro della repressione penale gli enunciati valutativi, i quali, viceversa, ben possono essere definiti falsi, quando si pongano in contrasto con criteri di valutazione normativamente determinati, ovvero tecnicamente indiscussi.

Dott. Matteo Gambarati (Studio Legale Orlandi)

Pegno di libretto di deposito

Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza n. 18597 del 12 settembre 011

Con la sentenza n. 18597 del 12 settembre scorso, la Corte di cassazione ha affrontato il tema delle differenti modalità di soddisfazione del credito riconducibile alla natura regolare o irregolare del pegno vantato dalla banca su libretti di deposito al risparmio del fallito.

Citando i propri precedenti orientamenti (Cass. Civ, sez. I, 6 dicembre 2006 e Cass. Civ, sez. I, 20 aprile 2006 n. 9306), la Cassazione ha ricordato come, qualora un cliente della banca vincoli, a garanzia del proprio adempimento, un titolo di credito o un libretto di deposito al risparmio e non conferisca alla banca il potere di disporre del relativo diritto, non si è in presenza di un pegno irregolare ma si rientra invece nella disciplina del pegno regolare.

In tale ultimo caso, la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riservare il relativo ammontare, ma è tenuta a restituire il titolo o il  documento.

Il  creditore assistito da pegno regolare è quindi tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare agli sensi dell’articolo 53 della L.F., per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione che invece opera, nel pegno irregolare, come modalità tipica di esercizio della prelazione.

Nel caso di specie, le condizioni generali di contratto riportate in calce all’atto costitutivo del pegno non conferivano alla banca il potere di disporre di libretti ma, al contrario, tale potere era espressamente escluso nella misura in cui si attribuiva alla banca il diritto di prelevare la somma depositata fino alla concorrenza di quanto dovutole, ma esclusivamente in caso di inosservanza degli obblighi assunti e dopo il corso di cinque giorni dalla richiesta di pagamento da comunicare al cliente con lettera raccomandata .

Per   tale motivo, la Corte di Cassazione, in conformità con le decisioni del giudice di merito, ha confermato la revocabilità dei prelievi eseguiti dalla banca sulle somme portate dal libretto offerto in pegno regolare.

 

Efficacia di prova della fattura fiscale

Cassazione Civile, sez. II, 10 ottobre 2011, n. 20802.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema della natura della fattura commerciale e degli effetti che ad essa si associano. In particolare, la Corte ricorda come la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza ad un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale, o di indizio circa l’esistenza del credito in essa riportato. Ne Consegue che incombe sull’emittente l’onere di provare l’esatto ammontare del proprio credito . Tale regola non varia allorchè il debitore, oltre a contestare la cifra fatturata, deduca e provi, sia pur genericamente, di aver già pagato la diversa e inferiore somma dovuta. Secondo la Corte, infatti, poichè le dichiarazioni ammissive complesse o qualificate, in virtù dell’aggiunta di fatti favorevoli alla parte che le ha rese, sono inscindibili (come si desume dall’art.2734 c.c. in materia di confessione), e inidonee a invertire l’onere della prova secondo le rispettive aree di pertinenza che l’art. 2697 c.c. assegna ai soggetti del rapporto, resta pur sempre a carico del creditore dimostrare che una frazione del proprio credito sia rimasta comunque insoddisfatta.