Mese: maggio 2017

Patrimoni. Trust autodichiarato, effetto di segregazione patrimoniale

” La  costituzione del trust ha unicamente determinato l’effetto di segregazione patrimoniale venuta meno con la declaratoria di nullità, pronuncia che si ritiene non abbia inciso sulla titolarità del bene rimasta sempre in capo al disponente”

Testo del provvedimento

Tribunale di Monza Sezione III civile, ordinanza 17 Gennaio 2017

Il G. E.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 23.11.2016;

letta la memoria depositata dal creditore procedente nel termine concesso dal giudice fino al 15.12.2016;

osservato sul punto che:

  • Il trust trascritto in data 12.7.2010 – con il quale il sig. ………………….                                                                                                                                           aveva conferito il bene immobile gravato da ipoteca volontaria in favore di credito ………al “trust Nicholas” di cui lui stesso era settlor, trustee e beneficiario – non è opponibile al creditore procedente in quanto lo stesso è stato trascritto successivamente all’iscrizione dell’ipoteca volontaria costituita in favore della Banca.
  • La sentenza del Tribunale di Monza, con la quale è stata dichiarata la nullità del trust e condannato il sig. …..ad opere di demolizione interessanti l’immobile staggito, così come la sentenza della Corte d’appello di Milano che ha confermato la sentenza di primo grado, non risultano ad oggi ancora trascritte con l’effetto che le stesse non sono in ogni caso opponibili al creditore procedente;
  • quand’anche dette sentenze venissero trascritte nelle more della vendita dell’immobile pignorato, si osserva che la nullità del trust non travolgerebbe l’atto di disposizione con il quale il Sig……ha trasferito la proprietà del bene pignorato alla società Immobiliare …….(attuale proprietaria dell’immobile ipotecato e debitrice esecutata in quanto inadempiente al pagamento delle rate del mutuo che si è accollata), visto che la titolarità dell’immobile è sempre rimasta in capo       al…….e che la costituzione del trust ha unicamente determinato l’effetto di segregazione patrimoniale venuta meno con la declaratoria di nullità, pronuncia che si ritiene non abbia inciso sulla titolarità del bene rimasta sempre in capo al sig……… ;
  • quanto agli obblighi di facere contenuti nelle anzidette sentenze, si osserva che fintante che detti provvedimenti non verranno trascritti non se ne potrà tenere conto ai fini della determinazione del prezzo di vendita dell’immobile, ciononostante appare opportuno quantificare in perizia i costi e le spese delle opere di cui alle sentenze richiamate al solo fine di dame pubblicità agli eventuali aggiudicatari, di modo che gli stessi siano edotti dell’eventualità che, qualora dovesse nelle more intervenire la trascrizione dei provvedimenti giudiziali, resteranno a carico loro gli oneri relativi agli obblighi di facere.
  • Rilevato che il consulente tecnico nominato dal Tribunale nella propria perizia ha applicato una generica decurtazione di € 55.000,00 sul valore di vendita dell’immobile in riferimento alle sentenze emesse dal Tribunale di Monza, (N…….) e dalla Corte d’Appello di Milano (N………)                                                                                               ;
  • il Giudice dell’esecuzione ritenuto di poter procedere alla vendita dell’immobile oggetto della procedura esecutiva indicata in epigrafe

fissa

l’udienza ex art. 569 c.p.c. in data 15/03/2017 ore 9:30 per procedere alla delega delle operazioni di vendita ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c.

dispone

che il perito depositi entro 15/02/2017 , inviandone copia ai sensi dell’art. 173 bis disp. att. c.c. ai creditori ed al debitore, la perizia con la quantificazione degli oneri e delle spese necessari per dare adempimento agli obbligi di facere di cui alle sentenze pronunciate in favore dei sig……….. senza decurtare detto importo dal prezzo di vendita dell’immobile pignorato. L

Monza, 17/01/2017                                                                           II Giudice

Dott. ssa Julie Martini

Banca. L’estratto del c/c bancario ha efficacia di prova anche nei confronti del fideiussore del correntista

” Nei rapporti di conto corrente bancario, l’estratto conto ha efficacia probatoria fino a prova contraria anche nei confronti del fideiussore del correntista non soltanto per la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche nel giudizio di opposizione allo stesso e in ogni altro procedimento di cognizione, perché ove il debitore principale sia decaduto a norma dell’art. 1832 cod. civ. dal diritto di impugnare gli estratti di conto, il fideiussore chiamato in giudizio dalla banca medesima per il pagamento della somma dovuta non può sollevare contestazioni in ordine alla definitività di quegli estratti .”

Testo della sentenza

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 11 aprile – 24 maggio 2017, n. 13127 Presidente Campanile – Relatore Terrusi

Fatto e diritto

Rilevato che: il tribunale di Milano, con sentenza in data 18-2-2015, rigettava l’opposizione di D.B.M. e di C.M. al decreto ingiuntivo loro notificato dalla Banca popolare di Milano, quali fideiussori della Iti Arredo s.p.a., per la somma di Euro 867.647,00, oltre accessori, a titolo di saldo debitore del c/c n. (…); il gravame avverso la citata sentenza veniva dichiarato inammissibile, ai sensi degli artt. 348-bis e seg. cod. proc. civ., dalla corte d’appello di Milano, giusta ordinanza in data 7-82015 gli ingiunti hanno quindi proposto ricorso per cassazione, in due motivi (illustrati anche da memoria), nei riguardi della sentenza del tribunale; la Banca ha replicato con controricorso. Considerato che: il tribunale di Milano, per quanto ancora rileva, ha motivato la decisione affermando: che la Banca, attrice in senso sostanziale, aveva l’onere di produrre gli estratti conto dall’inizio del rapporto (nel caso di specie risalente al 1992), al fine di dimostrare l’effettività del credito vantato; che tali estratti erano stato prodotti solo dalla data del 30-6-2000; che tuttavia il primo estratto (al 30-6-2000) aveva evidenziato un saldo a credito del correntista (per lire 179.835.195), sicché esso ben poteva essere utilizzato al fine di ricostruire il rapporto da tale data nonostante la nullità delle clausole del contratto relative alla capitalizzazione trimestrale dell’interesse a debito; che la ricostruzione era stata fatta mediante c.t.u., la quale aveva concluso nel senso dell’effettiva esistenza di un saldo finale passivo di Euro 1.161.695,22, di gran lunga superiore, cioè, all’ammontare delle fideiussioni; che, ove gli opponenti avessero inteso invocare, invece, un maggior saldo creditore di partenza (al 30-6-2000), l’onere probatorio sarebbe stato a loro carico; la decisione del tribunale, ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., è, coi citati due motivi di ricorso, impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., atteso che il tribunale avrebbe errato nel ritenere valido, quale punto di partenza per la ricostruzione del rapporto, il primo saldo noto alla data del 30-6-2000 sol perché risultato a credito del correntista, e per avere quindi ribaltato l’onere della prova inter partes in considerazione della mancata produzione degli estratti conto integrali dall’inizio del rapporto; il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perché connessi, è manifestamente infondato; il tribunale ha in effetti accertato che il contratto di conto corrente non conteneva le specifiche condizioni di cui alla legge n. 154-92 e che era stato applicato illegittimamente l’anatocismo conseguente alla prevista capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, ferma restando invece la capitalizzazione annuale di quelli creditori; ha dunque ritenuto la nullità di tali clausole, e ha detto che la Banca non aveva allegato, né provato, l’adeguamento del contratto alla delibera Cicr del 9-2-2000; tuttavia il tribunale ha anche accertato che il primo saldo noto, attestato dagli estratti prodotti in giudizio, era a credito del correntista, e dal ricorso non emerge, in prospettiva, di autosufficienza, che sia mai stato finanche soltanto dedotto che il relativo estratto fosse stato contestato dal correntista medesimo nel termine stabilito; questa Corte ha da tempo chiarito che, nei rapporti di conto corrente bancario, l’estratto conto ha efficacia probatoria fino a prova contraria anche nei confronti del fideiussore del correntista non soltanto per la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche nel giudizio di opposizione allo stesso e in ogni altro procedimento di cognizione, perché ove il debitore principale sia decaduto a norma dell’art. 1832 cod. civ. dal diritto di impugnare gli estratti di conto, il fideiussore chiamato in giudizio dalla banca medesima per il pagamento della somma dovuta non può sollevare contestazioni in ordine alla definitività di quegli estratti (v. per tutte Cass. n. 8944-16; Cass. n. 18650-03); quanto invocato dai ricorrenti va coordinato con tale principio; non è in discussione che una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate (v. Cass. n. 20693-16; Cass. n. 7972-16; Cass. n. 21597-13); ciò nondimeno, codesto insegnamento presuppone che il conto abbia avuto un andamento a debito, perché tale è la condizione per potersi discorrere di interessi a carico del correntista; nella specie non risulta che sia stato finanche solo dedotto che, prima del 30-6-2000 (data del primo estratto conto prodotto in giudizio, evidenziante il credito del correntista), il conto abbia avuto in qualche specifico momento un andamento negativo; al punto che l’impugnata sentenza ha esplicitamente affermato senza censure in questa sede – che mai la parte opponente aveva invocato, rispetto a tale data, “un maggiore saldo creditore”; consegue che la decisione assunta dal tribunale resiste alle critiche dei ricorrenti: correttamente, in tale condizione, potevasi porre a base della ricostruzione del saldo finale quanto emergente dal detto estratto, per poi ricostruire integralmente il dare e l’avere a partire da questo, mediante la produzione integrale degli estratti successivi; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese processuali, che liquida in Euro 10.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

 

Successioni. Beni non compresi nel testamento

Secondo la Corte di legittimità (Corte di Cassazione, Sezione III civile, – SENTENZA 11 giugno 2015, n.12158 )  “La Corte di appello ha ricompreso la somma depositata sul conto corrente nell’asse ereditario in quanto ‘non oggetto di legato’, escludendoci conseguenza, il concorso con la successione testamentaria di quella legittima quanto all’attribuzione di detta somma, inclusa correttamente nella quota spettante agli eredi universali, stante la capacità attrattiva della quota stessa rispetto ad un bene patrimoniale non contemplato specificamente dalla testatrice; non potendosi, inoltre, ex art. 457 c.c., far luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria ed in particolare nel caso di testamento che, senza contenere istituzione di erede, contenga solo attribuzione di legati (Cass. n. 2968/1997). Non è dato, peraltro, ravvisare la violazione dell’art. 734, 2 co. c.c., una volta accertata la qualità di legataria dell’attuale ricorrente per la quale non può, quindi, configurarsi la qualità di erede legittima.”

Testo della sentenza

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 11 giugno 2015, n.12158 – Pres. Piccialli – est. Nuzzo

Motivi della decisione

la ricorrente deduce:

1) insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla interpretazione delle disposizioni testamentarie; la volontà attribuita dalla Corte di appello alla testatrice di assegnare il bene immobile di via (OMISSIS) come quota del patrimonio, ovvero come istituzione ereditaria ex re certa, ai sensi dell’art. 588, 2 co. c.c, era sorretta pressoché esclusivamente da un’inesatta comparazione tra l’alto valore dell’immobile stesso rispetto al minor valore degli altri beni ereditari, circostanza priva di riscontro nelle risultanze processuali e non veritiera;

2) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 588 c.c. e 457, 2 co. c.c.; la Corte di merito non aveva tenuto conto del principio fondamentale previsto dall’art. 457 2 co. c.c., secondo cui la parte dei beni non ricompresa nel testamento si trasferisce agli eredi legittimi e, nella specie il testamento non conteneva alcuna espressione che estendeva al lascito in favore di Z.M. e C.D. il cespite rappresentato dalle somme depositate sul conto corrente della de cuius;

3) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 588 c.c. e 734, 2 co. c.c.; in base al disposto di quest’ultima norma, quand’anche Z.M. e C.D. potessero ritenersi eredi e non legatari essa ricorrente doveva considerarsi chiamata all’eredità, quale erede legittima, in virtù dell’art. 734, 2 co. c.c., che, nell’ipotesi di vocazione testamentaria incompleta, prevede la devoluzione dei beni non espressamente individuati nel testamento secondo le norme della successione legittima, con la conseguenza che, nella specie, il denaro depositato sul conto corrente della de cuius, non incluso nell’assegnazione dei beni effettuata dalla testatrice, doveva distribuirsi fra gli eredi legittimi;

4) omessa e insufficiente motivazione in ordine alla mancata applicazione degli artt. 477, 2 co. c.c. e 734, 2 co. c.c.; la Corte di merito aveva omesso di motivare sull’incidenza di tali norme nella fattispecie in esame, comportanti, a fronte di una vocazione e/o divisione testamentaria incompleta, che la somma depositata sul conto corrente bancario, intestato alla de cuius alla data del 21.4.2000, fosse distribuita pro quota fra tutti gli eredi legittimi.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, l’interpretazione della volontà del testatore espressa nel testamento, si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito cui è riservata la scelta e la valutazione degli elementi di giudizio più idonei a ricostruire detta volontà, con la possibilità di avvalersi, in tale attività interpretativa, delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c., con gli opportuni adattamenti per la particolare natura dell’atto, con la conseguenza che ove tale operazione è aderente a dette regole e la statuizione è sorretta da congrua e logica motivazione, la stessa esula dal sindacato di legittimità (Cfr. Cass. n. 468/2010; n. 7422/2005).

Va aggiunto che, in tema di distinzione tra erede e legatario, ex art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (‘institutio ex re certa’) ove il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nella universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, determinati beni (Cass. n. 24163/2013; n. 13835/2007).

Tanto premesso, deve ritenersi che la motivazione del giudice di appello su tale questione, come riportata nella parte dedicata allo ‘svolgimento del processo’, sia immune da vizi logico- giuridici, essendo stata la distinzione tra istituzione di erede e legato fondata sul tenore letterale e tecnico delle espressioni utilizzate dal testatore nella scheda testamentaria, laddove si specifica: ‘istituisco miei eredi universali’…., espressione contrapposta a quella relativa all’attribuzione di determinati beni a ‘titolo di legato’.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la sentenza impugnata non ha, quindi, interpretato la volontà della testatrice di assegnare il bene immobile di via (OMISSIS) come quota di patrimonio, ovvero come un’istituzione ex re certa ex art. 588, 2 co. c.c., solo sulla base di una inesatta comparazione tra l’alto valore dell’immobile stesso e lo scarso valore degli altri beni ereditari, avendo, fra l’altro, la Corte di merito evidenziato che detta terminologia utilizzata dalla de cuius era diretta ad indicare ‘quello che nella mente della testatrice costituiva… il nucleo centrale del suo patrimonio, l’universum ius una volta sottratti i beni mobili fatti oggetto dei vari legati’ (V. pag. 8 sent. imp.).

Gli altri motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, sono anch’essi privi di fondamento. La Corte di appello ha ricompreso la somma depositata sul conto corrente nell’asse ereditario in quanto ‘non oggetto di legato’, escludendoci conseguenza, il concorso con la successione testamentaria di quella legittima quanto all’attribuzione di detta somma, inclusa correttamente nella quota spettante agli eredi universali, stante la capacità attrattiva della quota stessa rispetto ad un bene patrimoniale non contemplato specificamente dalla testatrice; non potendosi, inoltre, ex art. 457 c.c., far luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria ed in particolare nel caso di testamento che, senza contenere istituzione di erede, contenga solo attribuzione di legati (Cass. n. 2968/1997). Non è dato, peraltro, ravvisare la violazione dell’art. 734, 2 co. c.c., una volta accertata la qualità di legataria dell’attuale ricorrente per la quale non può, quindi, configurarsi la qualità di erede legittima, come invece sostenuto nel motivo sub 3).

La Corte di Appello, sulla base della interpretazione globale del testamento, ha, pertanto, correttamente escluso il ricorso ad una successione legittima quanto alla somma di denaro suddetta, ricomprendendola nella quota relitta a titolo universale, avuto riguardo alla c.d. forza espansiva della istituzione ‘ex re certa’ per Ì beni ignorati dal testatore o sopravvenuti ed implicitamente riconoscendo la volontà della testatrice in tal senso. In conclusione il ricorso va rigettato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 2700,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

 

 

Concorrenza sleale, denigrazione mediante social-network

Ricorre, invero, l’ipotesi della “concorrenza parassitaria” quando l’imitatore si ponga sulla scia del concorrente in modo sistematico e continuativo, sfruttando la creatività e avvalendosi delle idee e dei mezzi di ricerca e finanziari altrui. La “concorrenza parassitaria” si realizza in una pluralità di atti che, pur isolatamente leciti, e valutati nel loro insieme, costituiscono un illecito, poiché concretizzano una forma di imitazione delle iniziative del concorrente, che sfrutta in maniera sistematica il lavoro e la creatività altrui. Tali atti possono concretamente manifestarsi sia attraverso un’attività che in un unico momento imiti tutte le iniziative del concorrente (concorrenza parassitaria di tipo sincronico), sia attraverso la successione nel tempo di singoli atti imitativi (concorrenza parassitaria di tipo diacronico), come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass, sent. n. 13423/2004). .

Testo della sentenza

TRIBUNALE di MILANO

SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA “A” CIVILE

Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Claudio Marangoni                                                       Presidente

dott. Silvia Giani                                                                   Giudice Relatore

dott. Alima Zana                                                                   Giudice

all’esito dell’udienza del 20 aprile 2017

nel procedimento per reclamo iscritto al n. r.g. 6752/2017 promosso da:

TRADE DIRECT SRL con il patrocinio dell’avv. BRANDINA STEFANO e dell’avv. Francesca Caricato, elettivamente domiciliata in piazza FERRARI, 322 47921 RIMINI presso il difensore avv. BRANDINA STEFANO

RECLAMANTE

contro

CHAPTER 4 CORP. D.B.A. SUPREME con il patrocinio dell’avv. LAZZARINO PAOLO elettivamente domiciliato in VIA AGNELLO, 12 20121 MILANO presso il difensore avv. LAZZARINO PAOLO

E nei confronti di

A.GI.EMME DI ADRIANO MONTI con il patrocinio dell’avv. MAURI ENRICO elettivamente domiciliato in VIA CARLONI, 38 22100 COMO presso il difensore avv. MAURI ENRICO

RECLAMATI

Ha emesso la seguente

ORDINANZA

  1. Premesso che il Giudice, in accoglimento delle istanze cautelari, proposte ante causam ex art. 700 c.p.c. e 129 c.p.i. da CHAPTER 4 CORP D.B.A. SUPREME nei confronti di Trade Direct s.r.l. e di A.GI.EMME di Adriano Monti, ha inibito ogni produzione, esportazione e commercializzazione dei capi d’abbigliamento e di ogni altro prodotto recante il marchio “Supreme”; ha, inoltre, inibito a TRADE DIRECT S.R.L. l’uso del nome a dominio “supremeitalia.com” e ordinato il ritiro dal commercio dei prodotti recanti il marchio “Supreme” e dei materiali pubblicitari o promozionali relativi;
  2. la società TRADE DIRECT S.R.L. ha proposto reclamo avverso detta ordinanza, emessa in data 26 gennaio 2017, eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, Sezione Specializzata, e, nel merito, chiedendo la revoca del provvedimento per carenza dei presupposti cautelari del fumus boni iuris e del periculum in mora; in particolare, sotto il primo profilo, ha eccepito la nullità del marchio sia per carenza del requisito di novità che per carenza di capacità distintiva, nonché l’assenza di concorrenza sleale.

2.1.Si è costituita la reclamata CHAPTER 4 CORP. D.B.A. SUPREME, chiedendo il rigetto del reclamo e la conferma del provvedimento;

2.2..si è costituita, altresì, A.GI. EMME di Adriano Monti, la quale ha ribadito il proprio ruolo marginale nella vicenda, in considerazione della esiguità dei capi, acquistati in buona fede da un abituale fornitore, rimettendosi alla decisione del collegio.

Ciò premesso, il Tribunale osserva che:

  1. l’eccezione d’ incompetenza territoriale sollevata dalla reclamante non è fondata.

In applicazione del combinato disposto degli artt. 33 c.p.c. e 120, sesto comma, c.p.i. sussiste la competenza del presente Tribunale, quale ufficio giudiziario nella cui circoscrizione sono stati perpetrati i fatti contestati, nonché quale sede legale di uno dei resistenti. Trattasi di un’ipotesi di cumulo soggettivo per connessione oggettiva che determina la deroga al criterio generale previsto dall’art. 19 c.p.c., essendo stata promossa la controversia anche nei confronti di una società (la A.Gi.Emme) che, secondo i criteri generali, ha la propria sede legale nell’ambito della circoscrizione del presente Tribunale.

L’argomentazione della reclamante, secondo la quale l’estromissione di A.Gi. EMME di Adriano Monti confermerebbe la strumentalità della chiamata in causa della medesima, presuppone un evento mai verificatosi (l’estromissione) e che, di per sé, non escluderebbe la sussistenza della competenza, che va valutata allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda.

  1. Venendo al merito della controversia, si osserva che l’illiceità della condotta perpetrata da TRADE DIRECT sussiste prima facie, sia con riguardo alla fattispecie di contraffazione di marchi di cui all’art 20 lett. A c.p.i., che con riguardo all’ autonoma e diversa fattispecie della concorrenza sleale parassitaria di cui all’art 2598 n. 3 c.c.

 

Con riguardo ai marchi in contestazione, la resistente TRADE DIRECT S.R.L. ha, infatti, utilizzato un identico segno, per prodotti identici, a quelli per cui il segno è stato registrato dalla ricorrente.

Va sin da subito evidenziato che lo stesso segno, del tutto sovrapponibile a quello utilizzato dalla resistente (odierna reclamante), per lettere e caratteri grafici (scritta “Supreme”, di colore bianco, all’interno di un rettangolo di colore nero, riproducibile anche in altri colori), è stato registrato dalla ricorrente CHAPTER 4 CORP. D.B.A. SUPREME, con domanda depositata all’UIBM il 9 ottobre 2015 e, quindi, in data anteriore rispetto al deposito della domanda da parte di TRADE DIRECT S.R.L. (resistente), avvenuta in data 18 novembre 2015.

Nel caso di specie, dunque, è fatto pacifico e documentale l’anteriorità della registrazione del marchio da parte di CHAPTER 4 rispetto a quello della reclamante TRADE DIRECT S.R.L., né risulta in discussione alcuna attività di preuso da parte di Trade Direct, mai allegato e a fortiori provato.

TRADE DIRECT S.R.L. ha piuttosto eccepito la nullità del marchio, con riferimento alla carenza dei requisiti di novità e di capacità distintiva.

Tuttavia, per quanto attiene alla eccezione di nullità, con riguardo all’ assenza di capacità distintiva, la condotta tenuta dalla resistente con la registrazione dell’identico marchio, descritto da essa stesso all’atto della registrazione come “marchio di fantasia”, si pone in chiaro contrasto con la detta eccezione, essendo essa dichiarativa del suo carattere distintivo e della sua originalità (cfr. domanda di registrazione marchio della resistente, sub. documento 3).

Peraltro, se da un lato la registrazione anteriore del marchio è idonea a farne presumere la validità, dall’altro il carattere distintivo e la sua percezione da parte di una cerchia giovane di consumatori emergono prima facie (e fatta salva ogni più approfondita valutazione nella sede del merito) dalla copiosa documentazione prodotta dalla reclamata CHAPTER 4 con riguardo alla diffusione, non solo a livello internazionale, ma anche italiano, del detto marchio (vedi in particolare i documenti prodotti sub nn. 64 e da 73 a 82).

L’ identità del segno e dei prodotti per i quali il marchio è stato registrato comporta la sussistenza della contraffazione, senza che risulti neppure necessaria la prova del rischio di confusione per il pubblico, integrandosi, nel caso concreto, la fattispecie di cui all’art. 20 lett. A c.p.i.

  1. Nel caso di specie, le prove documentali acquisite, comprovanti la ripresa, pedissequa di molteplici iniziative imprenditoriali di CHAPTER 4 da parte della resistente, integrano, altresì, la fattispecie di concorrenza sleale “parassitaria” prevista dall’art. 2598 n. 3 c.c.

Ed invero, è stato documentato l’uso, da parte di Trade Direct, non solo dell’identico segno distintivo per la medesima tipologia di prodotti, ma, altresì, è stata accertata la ripresa dei medesimi elementi decorativi nei prodotti, nonché delle medesime immagini pubblicitarie e, ancora, delle medesime modalità di promozione pubblicitaria volte, per la loro identità o per la costante e implicita ( se non addirittura, esplicita) associazione, a forme di agganciamento parassitario con l’attività e l’impresa della ricorrente CHAPTER 4. Ciò emerge in maniera palese da un raffronto dei prodotti commercializzati dalla resistente TRADE DIRECT con quelli della ricorrente (si veda il catalogo della resistente sub doc. n. 61, nonché le fotografie prodotte a pagg. 18 e 19 del reclamo), nonché dalle modalità di presentazione dell’attività svolta da TRADE DIRECT e, ancora, dalle modalità pubblicitarie da essa intraprese, di accostamento e agganciamento ai prodotti della ricorrente, così da ingenerare la convinzione della sussistenza di un collegamento, se non addirittura di una identità, con l’attività e i prodotti della ricorrente/reclamata. Esemplificativa è la presentazione di TRADE DIRECT come “licenziatario dei marchi più importanti del panorama streetwear mondiale”, contenuta nel catalogo ove sono riportati i prodotti, con i medesimi segni distintivi, le medesime caratteristiche, le immagini della città natale del marchio “Supreme”, le medesime immagini pubblicitarie utilizzate dalla ricorrente (si veda, in proposito, oltre che il catalogo sub doc. n. 61 della resistente, anche, per l’identità delle immagini, il doc. n. 137 della ricorrente e la pag. 28 del menzionato catalogo). La sistematica ripresa, da parte della resistente-reclamante, di molti dei prodotti commercializzati, del segno distintivo e, persino, della scelta dei colori e della grafica dello stesso, sono tutti elementi che fanno ritenere sussistenti, quantomeno prima facie, i presupposti dell’attività illecita di concorrenza sleale “parassitaria”, di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. Lo sfruttamento degli sforzi organizzativi e degli investimenti di carattere pubblicitario effettuati da CHAPTER 4 da parte della reclamante, la quale non ha sostenuto i relativi oneri economici, costituisce concorrenza “parassitaria”, quale integrante condotta illecita che si pone in contrasto con le regole di correttezza professionale cui deve informarsi l’attività imprenditoriale.

Ricorre, invero, l’ipotesi della “concorrenza parassitaria” quando l’imitatore si ponga sulla scia del concorrente in modo sistematico e continuativo, sfruttando la creatività e avvalendosi delle idee e dei mezzi di ricerca e finanziari altrui. La “concorrenza parassitaria” si realizza in una pluralità di atti che, pur isolatamente leciti, e valutati nel loro insieme, costituiscono un illecito, poiché concretizzano una forma di imitazione delle iniziative del concorrente, che sfrutta in maniera sistematica il lavoro e la creatività altrui. Tali atti possono concretamente manifestarsi sia attraverso un’attività che in un unico momento imiti tutte le iniziative del concorrente (concorrenza parassitaria di tipo sincronico), sia attraverso la successione nel tempo di singoli atti imitativi (concorrenza parassitaria di tipo diacronico), come affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass, sent. n. 13423/2004).

6.Sussiste, altresì, il requisito del periculum in mora in relazione alle misure richieste per gli illeciti concorrenziali posti in essere da TRADE DIRECT, atteso il concreto pericolo di sviamento della clientela, di annacquamento del marchio, nonché di compromissione dell’immagine commerciale della ricorrente; tutti elementi non ristorabili in termini puramente economici e monetari, e comunque di difficile quantificazione. L’attualità della commercializzazione dei prodotti contraffatti da parte della reclamante, inoltre, concretizza l’imminenza del pregiudizio, in conformità al disposto dell’art. 131.1 CPI.

Ai fini della valutazione del periculum in mora, è invece superflua la valutazione della sussistenza di un danno alla data della richiesta misura cautelare, il cui scopo è di cessare la prosecuzione dell’illecito o anche solo di prevenirne la verificazione. La verificazione del danno rileva semmai sul piano risarcitorio e non su quello inibitorio.

  1. Considerata la natura anticipatoria del presente procedimento cautelare, alla soccombenza della reclamante segue la sua condanna alla rifusione delle spese della fase di reclamo, le quali si liquidano, in favore di Chapter 4, in euro 5.500,00 per compensi, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge.

7.1. Tenuto conto della modesta attività difensiva svolta (costituendosi e rimettendosi al Tribunale), dichiara compensate le spese con A.GI.Emme di Adriano Monti srl.

  1. Ai sensi dell’art. 1, comma 17, della Legge n. 228 del 2012, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del reclamante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il reclamo, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata dell’impresa – A – , decidendo sul reclamo proposto da TRADE DIRECT S.R.L. nei confronti di CHAPTER 4 DBA. SUPREME e di A.GI.EMME di Adriano Monti s.r.l., così provvede

  • Rigetta il reclamo proposto da TRADE DIRECT S.R.L. nei confronti di CHAPTER 4 DBA. SUPREME e A.GI.EMME di Adriano Monti s.r.l.
  • Condanna la reclamante alla rifusione delle spese processuali, che vengono liquidate in favore di CHAPTER 4 D.B.A. SUPREME, in € 5.500,00 per compensi, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge.
  • Dichiara compensate le spese con A.GI.EMME di Adriano Monti s.r.l.
  • Dichiara, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quaterP.R. n. 115 del 2002 – come modificato dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del reclamante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deliberato in Milano, nella camera di consiglio del 20 aprile 2017

Il Relatore                                                                                                               Il  Presidente

dott.ssa Silvia Giani                                                                              dott. Claudio Marangoni

 

 

 

 

 

 

Arbitrato . Clausole vessatorie, contratti per adesione

“L’eccezione di nullità di clausole vessatorie come la clausola compromissoria, non specificamente approvate per iscritto, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

L’eccezione è tuttavia infondata nel merito, in quanto il contratto dedotto avanti al Collegio non si configura quale contratto per adesione ex art. 1341 cc..”

Testo del Lodo Arbitrale

LODO ARBITRALE

Per la soluzione della controversia insorta tra:

  • ALFA S.r.l., in persona del legale rappresentante geom. Luca ALFA, con sede in Correggio alla Via Bellelli n. 9, P.IVA 00763080355, rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Orlandi  presso il quale elettivamente domicilia in Correggio (RE) alla C.so Mazzini n. 15 e dall’ L.D. con medesimo domicilio eletto ai fini della presente controversia

e

  • V. C. residente in RE rappresentato e difeso dall’avv. N. G. Ruffini presso il quale elettivamente domicilia in RE

in dipendenza

della clausola compromissoria contenuta all’art 49 del capitolato speciale costituente parte integrante del contratto di appalto stipulato inter partes in data 28.12.2005, in controversia sorta in seguito alla sottoscrizione del predetto contratto di appalto per P esecuzione di lavori di costruzione di un fabbricato residenziale, avente ad oggetto l’ammontare di quanto dovuto all’appaltatore da parte del committente.

Si riporta qui di seguito la clausola compromissoria: “Qualunque contestazione o vertema sorta fra le parti sull ‘interpretazione, esecuzione e risoluzione del presente contratto e non composta amichevolmente, dovrà essere risolta con giudizio arbitrale. Il Collegio orbiti’al e giudicante sarà costituito a richiesta di una delle parti e la domanda dovrà essere inoltrata con lettera raccomandata. Il Collegio sarà composto di tre arbitri, dei quali due nominati da ciascuna delle parti, il terzo arbitro — che avrà funzioni di

Presidente — verrà nominato di comune accordo dai primi due entro dieci giorni dalla loro nomina ed in caso di mancato accordo dal Presidente della Camera di Commercio della provincia in cui sono localizzati i lavori, su istanza anche di una sola delle parti contraenti o del suo arbitro. Nel caso che una delle parti contraenti non provvedesse alla nomina del proprio arbitro entro il termine di venti giorni dalla richiesta dell3altra parte, vi provvederà — su istanza della parte interessata – il Presidente del Tribunale Civile di Reggio Emilia a norma dell3art. 810 c.p.c.. Il Collegio arbitrale emetterà giudizio inappellabile senza formalità di procedura e secondo equità, quale amichevole compositore. In ogni caso, il Collegio arbitrale giudicherà anche in merito all’’entità ed accollo delle spese di giudìzio. In luogo del ricorso al Collegio arbitrale, di cui ai commi precedenti, le parti, di comune accordo, possono rivolgersi alle Camere di Commercio arbitrali laddove queste si siano costituite

IL COLLEGIO ARBITRALE Composto dagli Arbitri:

Avv. D.T. – Presidente

Avv. E. B. – Arbitro

Avv. M. M. – Arbitro

HA PRONUNCIATO IL SEGUENTE LODO

FATTO E SVOLGIMENTO DELLA CAUSA

A – GLI ATTI INTRODUTTIVI E LE CONCLUSIONI DELLE PARTI.

Con atto di denuncia di lite e nomina di arbitro notificato in data 29 ottobre

2008, la ALFA s.r.L per il tramite del proprio difensore avv.  G.O. notificava a C. V. la decisione di affidare la

2

 

risoluzione della controversia insorta inter partes ad un nominando collegio arbitrale. A tale fine designava quale arbitro, per quanto di sua competenza, l’avv. E. B.i del Foro di Reggio Emilia, invitando il sig. C. a procedere nel termine di 20 giorni successivi alla nomina del proprio arbitro di parte conformemente all’art 49 (del contratto di appalto), onde consentire poi la nomina del terzo arbitro e la costituzione del collegio arbitrale. In tale atto l’esponente assumeva essere insorta controversia in ordine all’ammontare di quanto dovuto all’appaltatore da parte del committente per le opere eseguite; che il Committente aveva dapprima fatto intervenire altre imprese che si erano affiancate alle maestranze della ALFA e poi aveva revocato l’incarico all’appaltatore  prima che questi portasse a termine le opere previste; che il committente non aveva permesso la compilazione del conto finale previsto dal contratto; che aveva mantenuto la disponibilità delle attrezzature in cantiere a spese dell’appaltatore; che aveva contestato difformità e vizi dell’opera rispetto al progetto e disconosciuto i conteggi annunciando intenzione di sospendere i pagamenti. ALFA s.r.l. aveva respinto gli addebiti e invitato il committente a pagare il residuo dovuto a saldo, per le opere realizzate, oltre al mancato guadagno a seguito del recesso esercitato dal committente, alle spese di energia elettrica sostenute, a un compenso per Fuso delle attrezzature, al corrispettivo per arretrati da fornitura di materiali e opere e ai danni tutti.

All’udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 1.12.2011, mediante foglio allegato a verbale così concludeva la ALFA s.r.l.: “Voglia il Collegio Arbitrale, ogni avversa domanda reietta:

  1. accertare e dichiarare che la ALFA Srl ha eseguito le opere previste dal capitolato d’appalto sino al momento dell’esercizio del recesso da parte del committente;
  2. accertare e dichiarare che la stessa ha altresì eseguito le opere in economia descritte nei documenti contabili per l’accertamento dei lavori e delle somministrazioni e pertanto nei verbali, negli stati di avanzamento, nei registri, nei libretti, nelle liste apposite;
  3. accertare, in base alla convenzione contrattuale inter partes e, per le opere in economia, in base ai verbali, alle apposite liste, ai registri, ai libretti, nonché all’elenco prezzi allegato al contratto stesso, che l impresa ALFA S.r.l. per l’opera prestata sino al momento della interruzione dei lavori, è creditrice della residua somma dì € 205.588,68 olti’e IVA o di quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio, oltre interessi convenzionali di mora al tasso pari al prime rate maggiorato di 2 punti percentuali:
  4. accertare, altresì che in seguito all’intervenuto recesso esercitato dal committente e/o, comunque, per avere affidato ad altre imprese le opere previste nel contatto, la ALFA, ai sensi dell’art. 1671 cc, vanta un credito nei confronti del committente, per mancato guadagno, che ammonta a € 120.419,13 oltre IVA 4% come per legge o a quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio, anche, all’occorrenza, in via equitativa olti’e interessi convenzionali di mora dal di del dovuto al saldo;
  5. in via subordinata condannarsi il C., per inadempienza contrattuale, al risarcimento dei danni patiti dall’appaltatore per mancato guadagno, danni che si quantificano in € 120.419,13 olti’e IVA 4% come per legge, o in quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio, anche, all’occorrenza, in via equitativa oltre interessi di mora dal dì del dovuto al saldo;
  6. accertare altresì che la ALFA Srl, per consumo di energia elettrica e uso dei ponteggi da parte del committente, per il periodo 23.06 – 07/08/2008, vanta un credito che ammonta a € 4.245,24 o a quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio oltre interessi di mora;
  7. accertare, inoltre, che la ALFA vanta un credito nei confronti del committente per l ’uso della gru da parte di altre imprese – sia durante che dopo la fine dei lavori – per l’esecuzione dei lavori previsti dal contratto, che ammonta a € 11.300,94 o a quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio oltre interessi di mora;
  8. condannare C. Vincenzo, pertanto, a pagare tutto quanto dovuto alla ALFA Sri per le causali di cui in premessa e di cui ai punti precedenti e pertanto al pagamento della somma di € 553,99 oltre IVA 4%, o dì quella maggiore o minore che sarà accertata in corso dì giudizio oltre a interessi di mora al tasso convenzionale pari al prime rate maggiorato del 2% e maggior danno da ritardato pagamento dal di del dovuto al saldo;
  9. condannare, infine e comunque, il committente – per effetto delle inadempienze contrattuali e comunque per le causali di cui in narrativa – a risarcire alla impresa ALFA i danni tutti dalla stessa patiti, danni che si quantificano in € 50,000,00 o in quella maggiore o minore somma che sarà accertata, eventualmente anche in via equitativa, oltre a interessi di mora; j) condannare e/o comunque dire tenuto il C. V. al pagamento a favore della ALFA Srl di quanto dovuto e accertato, oltre agli interessi convenzionali, dalla mora al saldo, e al maggior danno ex art 1224 ult. comma cc in misura pari a quanto corrisposto o da corrispondere da parte di ALFA S.r.l. per il ricorso al credito bancario o, comunque, in rapporto alla svalutazione monetaria rilevata dagli indici ISTAT;


  1. k) respingere per l’effetto le domande tutte avanzate dal C., anche in via riconvenzionale, in quanto infondate in fatto e diritto; l) condannare, infine, il committente al pagamento delle spese per la procedura arbitrale, dei compensi per gli arbitri e dei collaboratori, nonché al pagamento delle spese di CTU e CIP.

In via istruttoria :

  1. Insiste perché il collegio voglia disporre una integrazione della CTU assegnando allo stesso Ing. P. il compito di rispondere ai quesiti elencati nella memoria 01.06.11;
  2. chiede che il collegio voglia ordinare al C. di esibire tutte le fatture, nessuna esclusa, emesse dalle imprese artigiane che hanno lavorato nel cantiere (tra le quali l’impresa C. F., / ‘impresa o le imprese che hanno eseguito gli impianti elettrici, idrici e del gas e ogni altro tipo di impresa) per le opportune comparazioni con quelle sino ad ora prodotte. Nello stesso tempo chiede che il Collegio voglia ordinare o comunque richiedere/invitare alle imprese che hanno eseguito gli impianti elettrici, idrici e del gas a esibire copia delle fatture emesse e intestate ai C. per le opere eseguite nel cantiere di cui è causa.

Si costituiva in giudizio il Signor V. C., contestando nella latitudine più ampia le pretese di pagamento appena sopra riportate ed in particolare asserendo che la ALFA aveva eseguito le opere in ritardo rispetto ai termini contrattuali, non in modo puntuale nè secondo le regole dell’arte; che intere parti dell5edificio, in particolare modo le due torri erano state eseguite in modo difforme dal progetto, come anche il ALFA aveva riconosciuto abbattendone una ed ammettendo la propria incapacità, cosa che aveva indotto la committenza a incaricare altra e diversa impresa (C.) per terminare l’opera; che questi eventi avevano comunque  incrinato il rapporto fiduciario, tant’è che C contestava l’opera di ALFA e sospendeva il pagamento del 6 SAL. Le parti risolvevano quindi il contratto di appalto con atto scritto del 4 giugno 2008 prodotto in atti con il quale la ALFA rinunciava alle pretese e si impegnava ad eseguire ulteriori opere nel termine di giorni 60 ed a lasciare gratuitamente in cantiere le attrezzature con intenzione di definire il collaudo in un momento successivo. Nonostante quanto promesso, la ALFA abbandonava però il cantiere in modo inatteso il 7 agosto 2008 dopo l’invio di un fax appena poco prima del fatto.

All’udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 1.12.2011,

mediante foglio allegato a verbale, così concludeva il sig. C. V.:

“Previa rimessione in istruttoria per 1’espletamento dei mezzi istruttori dedotti e non accolti, previa acquisizione dei documenti tutti allegati, senza accettare il contraddittorio su domande nuove o diverse di controparte, ACCERTATO che l’opera oggetto di appalto (doc. n. 1) non venne eseguita completamente e giaceva incompiuta alla data del 7 agosto 2008 allorquando l’impresa appaltatiice abbandonò il cantiere,

ACCERTATO che l’opera è comunque affetta da vizi e difetti e comunque non eseguita a regola d’arte,

DICHIARARE inadempimento di ALFA s.r.L

previo accertamento del giusto corrispettivo dovuto in ragione della sola parte di opere effettivamente eseguita se eseguita secondo contratto e regola d’arte, tenendo conto delle ragioni di credito già liquido a favore di C. per € 91.000,00

CONDANNARE ALFA srl a pagare in favore di C. la somma di € 91.000 oltre interessi; somme rivalutate


DISPORRE riduzione del corrispettivo finale in favore di ALFA srls in ragione delle difformità, dei vizi e dei difetti di esecuzione del l’opera e delle finiture non eseguite, e conseguentemente rideterminare la mercede dell ’appaltatore ALFA srl in ragione dì vizi e difetti dell’opera

ACCERTARE la responsabilità dell1 appaltatore ALFA srl sia per incompleta, che per tardiva che per inesatta esecuzione delle opere, comunque non a regola d’arte e

CONDANNARE la stessa ALFA srl al risarcimento dei danni tutti – sia per danno emergente che per lucro cessante – patiti e patiendì da C. V. per fatto e colpa della prima per € 1.154.614,75 secondo la specifica quantificazione riportata nell’elaborato peritale del CTP Ing. S. in atti.

Somme tutte maggiorate di interessi legali dalla domanda al giorno del saldo effettivo: somme comunque rivalutate secondo dati ISTAT

Ribadito che C. nega e contesta di dovere ulteriori somme a favore di ALFA srl, in denegata ipotesi che il Collegio ritenesse comunque dovute somme a favore di ALFA srl

DISPORRE compensazione fra le rispettive ragioni di dare ed avere CONDANNANDO ALFA srl a pagare le maggiori somme risultanti a credito di C.

CONDANNARE ALFA srl in ogni caso a pagare in favore di C. tutte le spese e gli onorari e le anticipazioni di causa oltre epa ed iva. (….) ”

* * *

B – LO SVOLGIMENTO DELLA PROCEDURA ARBITRALE

In data 18 giugno 2009, presso lo studio dell’ Avv.. D. T., si riuniva il Collegio Arbitrale, nelle persone dell’ Avv.. Enrico Barilli, nominato arbitro dalla ALFA S.r.l. con atto notificato al sig. V.C. in data 29-31.10.2008 e l’avv. M.M., nominato arbitro dal sig. V.C. con atto efficace dal 29.11.2008.

I due arbitri in tale data dichiaravano di accettare la nomina e, di comune accordo, confermavano la designazione quale terzo arbitro con funzioni di Presidente dell’avv. D. T.; gli Arbitri quindi, dando atto che il Collegio Arbitrale era stato regolarmente costituito, approvavano il regolamento dell’arbitrato, che di seguito si riporta:

1) la sede del Collegio è stabilita in Reggio Emilia alla Via della Torre n. 4, presso lo studio del Presidente; 2) il deposito di atti e documenti dovrà avvenire in Reggio Emilia, presso la sede del Collegio, entro le ore 19.00 del giorno indicato quale relativo termine di scadenza; 3) le memorie ed i documenti dovranno essere prodotti in un originale ed in 3 copie, oltre ad

una copia per la controparte, salva la eventuale necessità di regolarizzazione fiscale degli atti, rispetto alla quale le parti espressamente esonerano gli arbitri da ogni responsabilità; 4) le comunicazioni, da effettuarsi a cura del Presidente del Collegio Arbitrale alle parti presso i loro difensori, verranno formalizzate a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo telefax della cui ricezione, di volta in volta, le parti dovranno dare espressa conferma; 5) gli originali degli atti e dei documenti saranno custoditi presso la sede del Collegio; 6) le riunioni del Collegio Arbitrale potranno avvenire presso luogo diverso dalla sede del Collegio, 7) giusta le previsioni della clausola compromissoria (art. 49 sopra richiamato), il Collegio “emetterà giudizio inappellabile sema formalità di procedura e secondo equità, quale amichevole compositore”;

l’arbitrato è pertanto rituale, con regola di giudizio secondo equità (ex multis, nei termini, Cass. civ., Sez. 1, 10 novembre 2006, n. 24059); 8) il Collegio pronuncerà il lodo entro 240 (duecentoquaranta) giorni decorrenti dalla data odierna di costituzione del Collegio, salvo proroga autorizzata dalle parti; 9) su tutte le questioni che si presenteranno nel corso del procedimento gli Arbitri dovranno decidere con ordinanza non soggetta a deposito, ma semplicemente da comunicare ai difensori a mezzo raccomandata AR oppure a mezzo fax o e-mail, delle quali verrà data dalle parti conferma di ricezione; 10) gli Arbitri dovranno deliberare il lodo a maggioranza di voti, riuniti in conferenza personale; 11) se uno degli Arbitri sarà assente alle riunioni, convocate dal Presidente, sema giustificato motivo, il Collegio nella maggioranza dei suoi membri continuerà i propri lavori, senza che tale ingiustificata assenza possa essere invocata in ogni sede; 12) il lodo, redatto per iscritto in tanti originali quante sono le parti, dovrà essere motivato e sarà consegnato a ciascuna di loro, anche mediante spedizione in plico raccomandato nei domicilio eletto, entro dieci giorni dalla data dell’ultima sottoscrizione; 13) gli atti del procedimento arbitrale saranno conservati dal Presidente del Collegio per cinque anni decorrenti dalla data di ultima sottoscrizione del lodo; 14) le parti espressamente mallevano e tengono indenne gli arbitri da ogni pretesa di carattere fiscale in forza degli atti redatti in esecuzione dell’incarico loro conferito, nonché assumono in solido l ‘obbligo dì versare immediatamente agli arbitri quanto fosse agli stessi richiesto dall’Amministrazione finanziaria per il titolo predetto e comunque formulano espressa autorizzazione agli arbitri di procedere alla formulazione e/o al deposito della loro determinazione soltanto subordinatamente al versamento della somme da costoro richieste e ritenute necessarie per la registrazione della determinazione predetta, restando inteso che il mancato versamento di tali somme esonererà gli arbitri dal rispetto dì qualsiasi termine per 10 l‘esecuzione dell’incarico loro conferito; 15) un segretario sarà nominato dal Collegio Arbitrale, se ritenuto necessario, per le singole riunioni.

Alla successiva seduta del 2 luglio 2009 le parti concordavano sulla volontaria applicazione alla procedura dei termini di sospensione feriale dal primo agosto al 15 settembre 2009 compresi, con ciò’ dandosi atto reciprocamente mediante la sottoscrizione del verbale che i termini di definizione della controversia erano conseguentemente prorogati di giorni 45 oltre ai 240 già assegnati ex lege. Mediante la sottoscrizione del verbale, inoltre, le parti dichiaravano l’accettazione del tipo di arbitrato (rituale e con regola di giudizio secondo equità), oltre che del regolamento arbitrale innanzi riportato. Il Collegio, quindi, fissava nella medesima seduta i termini :

1) per ciascuna parte la data del 30.07.2009 per il deposito in originale degli atti di ingresso arbitrale notificati, in una al mandato al proprio difensore conferito da ciascuna delle parti; 2) in capo a parte ricorrente la medesima data del 30.07.2009 per il deposito del contratto contenente la clausola compromissoria, anche in copia semplice purché debitamente vistata dalla controparte e dalla parte ricorrente stessa in segno di autenticazione; 3) per ciascuna parte la data del 16.09.2009 per il deposito di una memoria con la formulazione ed illustrazione dei quesiti ed eventuali • domande riconvenzionali, la richiesta di ammissione di eventuali mezzi istruttori, nonché per il deposito di documenti; 4) per ciascuna parte la data del 10.10.2009 per il deposito di memorie di replica, con facoltà di formulazione di quesiti meramente esplicativi di quelli già proposti e di mezzi istruttori a controprova; 5) la data del 15.10.2009 alle ore 16.00, presso sede arbitrale, per l’esperimento del tentativo di conciliazione, ordinando per tale adempimento la comparizione personale delle parti in causa (o loro delegati all’uopo muniti di procura speciale con poteri di transigere e conciliare); 6) la medesima data del 15.10.2009 in prosieguo, sempre presso la sede arbitrale per l’esame dei mezzi istruttori e per le decisioni sulla ammissione degli stessi, per l’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione sopra fissato non producesse esito positivo; oppure per l’emanazione degli altri provvedimenti più idonei alla prosecuzione del giudizio in caso di mancata richiesta di mezzi istruttori.

Le parti depositavano, ciascuna per quanto di propria spettanza, i documenti e le memorie autorizzate ed alla successiva udienza del 29 ottobre 2009 (alla quale il collegio era pervenuto stante giustificato motivo di rinvio per impossibilità professionale di un componente) veniva esperito il tentativo di conciliazione che dava esito negativo.

In tale occasione Avv. R. insisteva per l’utilizzo del documento scrittura privata 4.6.2008 allegato n. 2 e quindi nei caso che controparte insistesse nel disconoscimento sollevato, chiedeva che il Collegio comunque ne tenesse conto e che del caso procedesse a verificazione; avv. O. deduceva come da foglio da allegare al verbale.

Alla suddetta udienza del 29.10.2009, poi, il tentativo di conciliazione in tale sede esperito dava esito negativo.

Con ordinanza 4 novembre 2009 il collegio assegnava termine alla difesa C. fino al 12 novembre 2009 per depositare l’originale del documento contestato e per Farticolazione dei mezzi di prova nonché delle incombenze ex art 216 c.p.c.: veniva inoltre disposta perizia CTU grafologica in ordine alla autenticità della sottoscrizione apposta al documento transattivo ed il successivo 12 dicembre 2009 veniva nominato CTU la Dott.ssa C. C., nata a Reggio Emilia il 22.09.1953, ivi residente, con studio in Viale Umberto I n. 37, consulente grafologa, perito giudiziario del Tribunale di Reggio Emilia, che si dichiarava disponibile ad assumere l’incarico.

Veniva formulato il seguente quesito:

“Accerti il CTU l’autenticità’ della sottoscrizione attribuita al sig. L. ALFA ed apposta in quattro esemplari nella scrittura privata dì transazione datata 4.6.2008 e contraddistinta con il n. 63 della produzione C., fornendone l’originale che e’ stato depositato insieme alla memoria Avv. R. datata 12.11.2009 ”

Con perizia depositata il 22 gennaio 2010 il CTU dott.ssa C.i rispondeva al quesito dichiarando che le quattro sottoscrizioni apparentemente attribuibili a ALFA apposte nella scrittura provata di transazione datata 4 giugno 2008 “sono apocrife ed otiemne tramite ricalco da manice di firma ” autografa individuata nella comparativa A3 riprodotta.

Il successivo 27 gennaio 2010 i difensori delle parti depositavano due distinti atti di proroga, dei termini per emanazione del lodo in favore del Collegio Arbitrale sino alla data del 30 novembre 2010. I procuratori delle parti avanzavano separate istanze atteso l’esito della CTU TECNICA ed insistevano nelle prove richieste come in atti.

Con ordinanza comunicata fuori udienza del 3 febbraio 2010 poi parzialmente modificata con invito a ridurre le sovrabbondanti richieste istruttorie in data 6 maggio 2010, il Collegio ammetteva le prove richieste e si dava corso alle prove orali che avevano il seguente svolgimento.

Il 17 febbraio 2010 si procedeva all’interrogatorio formale del sig. Vincenzo

  1. e di Luca ALFA, rispettivamente parte e legale rappresentante della ALFA s.r.l. e si iniziava l’escussione dell’Ing. P. L. C., direttore dei lavori, che si protraeva al 24 febbraio 2010 ed al successivo 3 marzo 2010; il 19 marzo 2010 veniva escusso il teste D. P.; il 16 aprile 2010 viene escusso il teste S.; il 29 aprile 2010 venivano escussi G. M. e D. S. Del teste M.G. veniva contestata in udienza l’indifferenza dall’Avv. D., per avere tale teste negato l’esistenza di fatti storici di cui poteva essere a conoscenza diretta solo se fosse stato presente in cantiere, nonché per il grado di parentela; l’avv. D. chiedeva poi il confronto con altri testimoni. A tali richieste si opponeva l’avv R.. Quanto al teste S., si chiedeva verbalizzazione da parte dell’avv. R. che questi avesse risposto “sì è vero ” ancor prima che venissero materialmente a lui esibiti i documenti da confermare. A tale eccezione si opponeva avv. O.G.

Il 6 maggio 2010 veniva emessa ordinanza che invitava le parti a ridurre le richieste istruttorie.

In data 27 maggio 2010 venivano escussi F. C. e G. R. a proposito del quale ultimo avv. R. lamentava si fosse fermato in conferenza con la parte ALFA.

In data 9 giugno 2010 venivano escussi i testi M. M., F. K. e M. M.

L’Avv R. faceva rilevare che la testimone F. K. rispondeva sul doc. 16/41 (Documento di trasporto) confermando cifre che non erano riportate nel documento e quindi, a precisa obiezione dell’avv. R., manipolava il fascicolo di parte ALFA ed estraeva documento 16/41 fattura che prima non gli era stata esibita. L’Avv. R. quindi eccepiva e contestava l’attendibilita’ del testimone che evidentemente già’ conosceva i documenti del fascicolo di parte per fatto e comportamento proprio evidentemente precedente il contraddittorio e l’esame testimoniale; l’Avv. R. chiedeva conseguentemente che la deposizione della teste fosse ritenuta inattendibile, riservando ogni ulteriore iniziativa. A tali richieste si opponeva avv. O.G.

In data 8 luglio 2010 venivano escussi T. V., B. F. e S. F..

L’Avv.. R. eccepiva l’incapacità’ e l’inattendibilità del teste V., facendo rilevare che la società’ R era controparte di C. in una causa civile (procedimento possessorio) intentata dalla stessa R. contro C. relativamente allo stesso cantiere e per le stesse opere oggetto dell’odierna deposizione; lo stesso Avv. R. faceva presente che il procedimento possessorio si era concluso nel 2009. ma che era in corso tuttora una controversia con la stessa Reset appunto per l’impiantistica oggetto di deposizione come da raccomandata che si riservava di esibire. L’Avv. O. si opponeva.

À questo punto il collegio dava ammissione alla consulenza tecnica richiesta da ambo le parti e nominava CTU ing. R. P. con studio in ………………..L’ing. P. si dichiarava disponibile ad assumere l’incarico, che effettivamente assumeva, all’udienza del 16 settembre 2010. Il Collegio formulava quindi il seguente quesito:

“Dica il CTU, esperiti i necessari sopralluoghi ed esaminati gli atti, i documenti di causa, nonché ogni altro elemento utile e con autorizzazione ad eventuali accessi presso uffici pubblici se necessario; esperito il rituale tentativo dì conciliazione;

  • quali siano le opere – previste in contratto, in economia od a misura, accantonate o meno – eseguite dall1Impresa ALFA srl presso il cantiere C., avuto riguardo sia al sesto che al settimo SAL;
  • quantifichi quindi gli importi relativi all’uno ed all’altro SAL, avuto riferimento ai prezzi concordati tra le parti in contratto ed in capitolato;valuti se sussistano i vizi denunciati negli atti di causa dalla committenza C. e quale sia la quantificazione delle opere necessarie per la loro eliminazione;
  • valuti quali siano le opere previste dal contratto e non eseguite dall’impresa ALFA, nonchè’ il mancato utile dell’impresa ALFA avuto riguardo sempre alle opere ed ai prezzi previsti dal contratto e dal capitolato;
  • valuti il CTU ogni altro elemento utile alla decisione, ivi compresa la congruità ‘ del costo dei noli per gru e ponteggi indicato in memoria O. del 30.07.10, nonche’ la congruità’ dei costi ulteriori prospettati

sempre dalla difesa ALFA.

Con propria Ordinanza dei 22.10.2010 il Collegio, su istanza del CTU, precisava che:

  • quesiti numero uno e due sono relativi ai soli sesto e settimo SAL, come peraltro chiesto dalle parti;
  • i quesiti numero tre e quattro non hanno riferimento a specifici SAL ma riguardano l’intera opera, salve le determinazioni in merito da parte del Collegio in sede di decisione della lite;
  • il quinto quesito ha portata generale. ”

Con successiva Ordinanza del 30.12.2010 il Collegio concedeva termine ulteriore al CTU per il deposito della perizia; precisava inoltre

a) che non è consentito alle parti produrre al CTU ulteriore documentazione, non presente negli atti di causa, stanti le preclusioni processuali già ‘ formatesi per effetto della scadenza dei termini alle parti medesime assegnati; b) che eventuale documentazione può ’ essere acquisita presso Uffici od Enti dal CTU nell‘ambito dell’’incarico a lui conferito;

  • Subordina l’efficacia della presente Ordinanza alla concessione di proroga per l’emanazione del lodo di eguale termine con scadenza dello stesso al 30 giugno 2011, con consenso delle parti da manifestarsi entro e non oltre il 14 gennaio ”.

Ancora, con successivo provvedimento dei 16.02.11 il Collegio, su specifica istanza del CTU Ing. PE., ulteriormente disponeva: “Il Collegio da atto di essersi riunito su istanza dell’Ing. PE., il quale espone oggi alcune questioni inerenti il metodo da seguire nell’espletamento dell’incarico, chiedendo al Collegio di formulare i relativi indirizzi. Ascoltate dette questioni, su intesa col CTU, il Collegio formula i seguenti criteri ai fini della definizione dell’’elaborato:

  • ~ il CTU dovrà : esporre ogni elemento utile al Collegio ai fini della formazione del convincimento del Giudice; in particolare, nei casi dubbi, dovrà rappresentare in ogni suo aspetto la situazione di fatto e gli eventi come si sono svolti, nonché i documenti cui fare riferimento, esprimendo la quantificazione relativa, salva ogni decisione del Collegio;
  • – il CTU dovrà’ tenere conto dei soli documenti ammessi dal Collegio, non tenendo invece conto dei documenti esclusi dal Collegio medesimo;
  • – il CTU risponderà a tutti i quesiti a lui sottoposti, indicando tutti gli elementi in fatto e documentali utili alla decisione del Collegio.
  • ~ Ferma ogni altra determinazione precedentemente assunta.

Con successiva Ordinanza dell’8.3.2011 veniva concessa altresì ulteriore proroga al CTU per il deposito della perizia, con scadenza al 13.04.2011.

In data 11 marzo 2011 veniva depositato ricorso ex art 92 Disp. Att. CPC dalla difesa ALFA. Il Collegio all’udienza del 31 marzo 2011 dichiarava inammissibile ed improcedibile il ricorso, confermando in toto i precedenti provvedimenti e, in particolare, la precedente Ordinanza del 16.02.2011.

Il 13 aprile 2011 il CTU depositava l’elaborato peritale e il collegio, con ordinanza del 21.04.11 assegnava termine al 19 maggio 2011 alle parti per osservazioni e fissava udienza al 26 maggio 2011 per discussione orale delle osservazioni proposte; detta udienza si svolgeva poi il 9 giugno 2011 (erroneamente all’inizio del verbale viene indicata la data del 9 maggio 2011, da leggersi come 9 giugno 2011).

Con successiva Ordinanza del 7.7.2011 il Collegio liquidava le spettanze del CTU, ponendole provvisoriamente a carico di entrambe le parti; disponeva l’audizione a chiarimenti del CTU sulle osservazioni presentate dalle parti alla data del 29.09.2011, assegnando al CTU termine sino a tale data per sintetiche note di chiarimenti.

Alla successiva udienza del 29 settembre 2011 veniva sentito il CTU PE. in contraddittorio con le parti e i rispettivi tecnici di parte; con Ordinanza emanata Io stesso giorno (e non. come erroneamente indicato all’inizio del provvedimento, il 3.12.2011 né – come indicato alla fine del provvedimento – il 26.09.11), veniva fissata udienza per la precisazione delle conclusioni al giorno 1.12.2011.

In tale data le parti precisavano le conclusioni ed il Collegio, su richiesta concorde delle parti, tratteneva la causa a decisione a partire dal 7 dicembre 2011, autorizzando il ritiro dei fascicoli di parte a far tempo dalla medesima data; assegnava alle parti, con decorrenza dalla medesima data, il termine di giorni 60 per il deposito di comparse conclusionali e di giorni 20 per le memorie di replica. Tale termine veniva poi prorogato al 31 maggio 2012. In data 17 febbraio 2012 veniva sentito dal Collegio, su sua espressa richiesta, il CTU Ing. PE., il quale comunicava di avere ricevuto una citazione per danni da parte di C. in merito a sua responsabilità professionale per la consulenza tecnica prestata. Il Collegio in tale sede dava atto di ciò e confermava la propria stima ed apprezzamento all’ing. PE.; trasmetteva poi il verbale alle parti, che nulla eccepivano. Ambedue le parti hanno poi depositato conclusionali e repliche.

Con nota poi del 29.03.2012 e su espressa richiesta dell’Ufficio ai fini delle indagini penali, veniva inoltrata alla Procura delle Repubblica di Reggio Emilia l’originale (rectius i due originali, ciascuno recante sottoscrizione di una delle parti) della transazione che aveva in precedenza formato oggetto della perizia grafologica della Dott.ssa C.C., perizia peraltro già in precedenza richiesta ed acquisita dalla medesima Procura.

Successivamente, con Ordinanza del 29.05.12 il Collegio disponeva accesso sui luoghi della controversia ai sensi degli arti. 258 e ss. CPC nonché, in relazione ali’adempimento istruttorio, proroga sino al 15.07.2012 ai sensi deipari. 820 CPC e salve ulteriori proroghe (ove ne sorgesse necessità) nel rispetto del termine di 180 giorni di cui alla norma in questione.

L’accesso veniva successivamente fissato per il 26.06.2012 ed in tale data esperito. Veniva redatto verbale delle operazioni, raccolte le dichiarazioni dei presenti e venivano scattate n. 19 fotografie che a detto verbale si trovano allegate.

C-LA SINTESI DEI FATTI A BASE DELLA CONTROVERSIA

In data 13 ottobre 2005 il comune di Reggio Emilia rilasciava il permesso di costruire n° 6253 sulla base di un progetto elaborato dal geom. S., in favore dei signori C. V., C. M e C. L., consistente in un complesso di tre ville site in via Manenti in Reggio Emilia

In data 28 dicembre 2005 il sig. C. V. stipulava, con la ALFA s.r.l., un  contratto di appalto per € 959.962,00 avente ad oggetto l’esecuzione a misura dei lavori di costruzione del suddetto fabbricato residenziale in conformità al progetto redatto dal geom. Scarni e costituito dalle planimetrie conformi al permesso di costruire; il contratto comprendeva le opere e le somministrazioni di materiale e mano d’opera relative alla costruzione, oltre che all’assistenza che l’appaltatore avrebbe dovuto fornire per quelle opere non oggetto del contratto di appalto e del relativo capitolato.

Direttore dei lavori veniva nominato l’Ing. P. L. C.

Il CTU (pag. 8 della perizia) ha sin da subito evidenziato che la somma aritmetica delle voci di cui al computo metrico (€ 997.469,73) non coincideva con quella indicata nel contratto di appalto, ove era di circa ventimila € inferiore (invece di € 959.962,00 invece di € 997.469). Lo sconto era fissalo nel ó%. Altre finiture (pavimenti tavelle e coppi, impianti elettrici e serramenti) sarebbero state affidate ad altre imprese.

Il prezzo per l’opera, come detto, era stato fissato in € 959.962,00 (stante la discordanza con il computo metrico sopra evidenziata) con ribasso del 6%; eventuali lavori in economia o a misura avrebbero dovuto essere liquidati come da prezziario anch’esso allegato ed il termine di consegna era fissato in 720 giorni. L’opera avrebbe dovuto essere collaudato entro 30 giorni dalla ultimazione dei lavori. Il prezzo finale dell’appalto veniva calcolato a misura e, secondo l’art. 3 del Contratto, “..non vincola il risultato finale della liquidazione

Le opere “al grezzo” avevano un controvalore di € 690.062,48 mentre quelle di finitura erano pari ad € 300.313,33; le forniture erano fissate in 7.093,92 come meglio indicato nel Computo metrico allegato al contratto.

  • lavori cominciavano ufficialmente il 1 maggio 2006 con la stesura di un processo verbale di consegna dei lavori alla presenza dell’ing. CI. direttore dei lavori e del geom. ALFA Luca, legale rappresentante della ALFA srl. In tale occasione venivano altresì svolti rilievi e misurazioni, oltre che il “„posizionamento del fabbricato rispetto ai confini in modo sommario.. ” da parte del Direttore Lavori e consegnati i lavori all’appaltatore.

Il successivo 19 maggio 2006 il sig. C. V. comunicava all’autorità competente l’inizio lavori.

Verso la fine dell’anno 2007 e dopo le feste di natale del 2008, la committenza C. manifestava di non apprezzare la torre in sasso il cui rivestimento era stato effettuato dall’impresa ALFA completamente per una torre e per circa due metri per P altra; tale rivestimento veniva abbattuto (demolito) dal ALFA e terminato da un terzo artigiano, il sig. C. F..

In data 22 giugno 2008 l’impresa appaltatrice comunicava l’ultimazione dei lavori al Direttore dei lavori; questi comunicava che in data 24 giugno 2008 si sarebbe tenuto attento sopralluogo per la verifica. In tale data, l’ing.CI certificava che i lavori erano ultimati il giorno 24 giugno 2008 come da elenco sommario delle opere eseguite; che altre opere previste in contratto sono state affidate ad altre imprese e che quelle effettuate erano state eseguite con competenza e secondo le direttive ricevute. Il 26 giugno 2008 il direttore dei lavori certificava la regolare esecuzione delle opere (docc. E. F. G. H allegati alla Consulenza Tecnica d’Ufficio).

In precedenza, nel maggio 2008 (nota ALFA del 19.05.08, doc. I allegato alla Consulenza Tecnica d’Ufficio). la ALFA srl aveva lamentato la presenza in cantiere di personale esterno cui erano stati affidati lavori compresi tra quelli elencati nell’appalto e nel computo estimativo, in particolare la posa di strato isolante sugli impianti di cui alle voci 50 e 51 del computo metrico.

In data 7 agosto 2008 avveniva la rimozione delle attrezzature di cantiere, compreso lo smontaggio gru, da parte della ALFA s.r.l..

Nel successivo novembre 2008 veniva inviata raccomandata di contestazione da parte dell’Ing.CI (Allegato A alla parte relativa al quesito n. 3 trattato nella Consulenza Tecnica d’Ufficio), cui seguivano nota Avv.. O. del 9.2.2009 e nuova nota di chiarimenti del Direttore dei Lavori ing.CI del 31.03.2009 (Allegato B alla parte relativa al quesito n. 3 trattato nella Consulenza Tecnica d’Ufficio), nonché nuova nota ALFA srl del 10.04.09 (Allegato C alla parte relativa al quesito n. 3 trattato nella Consulenza Tecnica d’Ufficio).

Seguivano poi l’atto di ingresso arbitrale e la controversia di cui oggi al presente lodo, il cui termine per la pronuncia, come innanzi precisato, e’ stato da ultimo prorogato al 15 luglio 2012 per effetto di apposite dichiarazioni espressamente rilasciate dalle parti, di volta in volta e prima della scadenza dei termini di pronuncia già fissati, nonché di Ordinanza Collegiale del 29.05.12.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  • – Giova, preliminarmente alla formulazione dei motivi della decisione,evidenziare come l’esposizione degli stessi cercherà di essere il più possibile aderente al dettato dell’art. 823, co 2, n. 5 CPC, che prescrive appunto

’esposizione sommaria dei motivi” tra i requisiti del lodo.

La precisazione è d’obbligo; il Collegio è difatti pienamente consapevole della enorme attività spesa nella controversia oggi in decisione: tre anni di procedimento, numerosi testimoni assunti insieme all5 interrogatorio formale, due Consulenze tecniche di ufficio, ventidue sedute di udienza, ventuno ordinanze, centodiciotto comunicazioni per lettera del Presidente alle parti ben rappresentano la ponderosa e poderosa attività istruttoria espletata per pervenire alla decisione con un’assistenza tecnica delle parti prestata da Patroni battaglieri e puntuali. Le parti personalmente, di quanto sopra consapevoli, hanno a loro volta concesso proroghe che hanno differito il termine di pronuncia del lodo al 31 maggio 2012, seguito da ulteriore differimento ex art. 820 CPC sino al 15 luglio 2012 (rectius, al 16 luglio, cadendo il 15.07 di domenica).

Dette entità, quindi, potrebbero facilmente indurre ad una alluvionale motivazione: il Collegio cercherà di addivenire viceversa alla formulazione del dispositivo in maniera il più sintetica possibile, procedendo con la disamina dei vari punti salienti della questione che, una volta affrontati e risolti, rappresentano il paradigma delle singole statuizioni che verranno conseguentemente adottate.

H – L’arbitrato è rituale e la regola di giudizio è secondo equità.

Ciò non solo si evince facilmente dalla convenzione di arbitrato integralmente riportata supra in epigrafe; non solo è stato oggetto di specifica valutazione ed esposizione da parte del Collegio, come risultante dal verbale del 18.06.2009, la cui specifica parte sopra è riportata; ma soprattutto ha costituito oggetto di espressa accettazione ad opera delle parti mediante sottoscrizione del verbale del 18.06.09 nella successiva udienza del due luglio 2009.

L’art. 49 del contratto di appalto prevede infatti che “qualunque contestazione sorta tra le partì sull’interpretazione, esecuzione e risoluzione del contratto dovrà essere risolta con giudizio arbitrale; il collegio arbitrale giudicante sarà composto di 3 membri, emetterà giudizio inappellabile senza formalità di procedura e secondo equità, quale amichevole compositore. In o caso, il collegio giudicherà anche in merito all’entità ed all’accollo delle spese di giudizio “.

Il  tenore della clausola ed in particolare le espressioni usate depongono nel senso della natura rituale dell’arbitrato. Invero, l’uso ripetuto di espressioni quali “giudizio di un Collegio arbitrale costituito da 3 arbitri”, “emetterà giudizio”, “giudicherà” e “spese di giudizio”, meglio si attaglia alla attività degli arbitri rituali chiamati ad emettere – all’esito di un giudizio privato in cui le parti vogliono e si impegnano a far proprio il procedimento attraverso il quale si perviene al lodo – una decisione potenzialmente fungibile con quella degli organi della giurisdizione. Anche il riferimento all’ “inappellabilità” appare connesso più ad un’ attività che – pur nella natura privatistica dell’intero svolgimento e dello stesso lodo finale – è matrice di effetti parificati a quelli di una sentenza, come avviene nell’arbitrato rituale, piuttosto che ad un istituto (come l’arbitrato irrituale) che non solo muove dall’autonomia privata, ma che in essa ha il suo fine (cfr. in un caso identico Cass. Civ. Sez. I. 10.11.06 n. 24059).

La deliberazione dovrà poi avvenire secondo equità ex art. 822 epe.

Gli arbitri sono svincolati nella formazione del loro giudizio dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto avendo facoltà di far ricorso a criteri, principi, valutazioni di prudenza e opportunità che appaiano i più adatti e i più equi secondo la loro coscienza per la risoluzione del caso concreto; resta dunque preclusa l’impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale o per errores in iudicando che non si traducano nell’inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti. (Cass. Sez. 1,20.01.06 n. 1183).

Gli arbitri autorizzati a decidere secondo equità ben possono decidere secondo diritto allorché ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che per essi sia necessario affermare e spiegare tale coincidenza che, potendosi considerare presente in via generale, può desumersi anche implicitamente. L’esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso nell’arbitrato rituale può configurarsi solo quando gli arbitri neghino a priori l’esercizio di poteri equitativi, o quando riscontrando una difformità tra il giudizio di equità e quello di diritto, pronuncino secondo diritto (Cass. Sez. I, 07.05.03 n. 6933; Cass. Sez. I, 25.05.07 n. 12319).

Tale regola di giudizio secondo equità, pertanto, uniformerà la pronuncia del lodo in ordine ai motivi della decisione ed alle statuizioni conseguenti, relativamente a ciascun capo della pronuncia ed alla pronuncia stessa nel suo complesso.

IH – Infondata è l’eccezione di nullità della clausola compromissoria ex art. 1341 CC sollevata dalla difesa C..

L’eccezione di nullità di clausole vessatorie come la clausola compromissoria, non specificamente approvate per iscritto, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

L’eccezione è tuttavia infondata nel merito, in quanto il contratto dedotto avanti al Collegio non si configura quale contratto per adesione ex art. 1341 cc..

Nel caso di specie, difatti, il contratto di appalto recante anche la clausola compromissoria è stato predisposto e sottoscritto al fine di regolare i rapporti unicamente tra le parti (ALFA srl e C.) e non si tratta quindi di contratto standard destinato a regolare una serie indefinita di rapporti, quale viceversa ricorre nella fattispecie disciplinata dall’art. 1341 CC citato.

“ tema di condizioni generali dì contratto, l’efficacia delle clausole onerose – tra cui rientra la clausola compromissoria istitutiva di arbitrato rituale – è subordinata alla specifica approvazione per iscritto nei soli casi in cui le dette clausole siano inserite in strutture negoziali destinata a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioè, predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale  all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioè, predeterminate nel contenuto a mezzo dì moduli o formulari utilizzabili in serie). La mera attività di formulazione del regolamento conti’attuale è da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, non potendo considerarsi tali le clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio, ed a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenutcf (Cassazione civile, sez. L 23.05.2006. n. 12153; in termini, Cass. Civ. 24.04.07 n. 1154; Cass. Civ. 16.02.01 n. 2294).

Dirimente poi, nel caso di specie, risulta la circostanza che detto contratto non è stato predisposto dal contraente forte (quale in tesi avrebbe potuto essere l’impresa appaltatrice ALFA, ove esplicante attività contrattuale all’indirizzo di pluralità indifferenziata di soggetti) bensì da colui che – sempre in tesi – potrebbe essere il contraente debole, ovvero dal committente privato C..

È difatti provato che il contratto è stato predisposto dalla parte C. che ha delegato all”uopo il proprio professionista di fiducia ing .CI, come risulta ai sensi dell’art. art. 15 lettera a) del contratto; tale elemento in fatto è stato inoltre confermato dallo stesso Ing.CI nella seduta arbitrale del nella quale tale professionista ha dichiarato di avere redatto lui stesso l’atto, oggetto di specifica contrattazione tra le parti.

Non occorreva quindi alcuna espressa approvazione per iscritto della clausola arbitrale, non rientrando il contratto in questione – né soggettivamente né oggettivamente – nella fattispecie di cui al più volte richiamato art. 1341 CC.

L’eccezione di nullità va pertanto rigettata, in quanto infondata.

Né può portare soccorso alle tesi della difesa C. la precisazione di non aver sottoscritto il contratto in ogni pagina (comparsa conclusionale C., pagg. 2 e 3) atteso che al contratto la parte stessa ha dato esecuzione; tale contratto ha invocato ai fini della propria tutela nel corso del giudizio e prima; in base a tale contratto ha esercitato le proprie prerogative il Direttore Lavori dal C. nominato. Infine, l’eccezione è generica, non avendo la parte nemmeno indicato quali potrebbero essere (a parte il rilievo sulla nullità della clausola compromissoria) le singole parti od articoli che difetterebbero di approvazione per mancanza di sottoscrizione.

Anche tale eccezione è pertanto infondata e va respinta.

IV – Le parti, ciascuna autonomamente argomentando, hanno sollevato eccezione di nullità della CTU redatta dall’Ing. PE. e che d’ora in avanti – al fine di tenerla distinta dalla CTU grafologica redatta dalla Dott.ssa C. – sarà anche indicata come “CTU tecnica”.

Al riguardo, il Collegio ritiene infondate dette eccezioni.

In via preliminare si osserva qui, difatti, che all’esito delle espletamento delle indagini peritali il CTU ha ottenuto espresso consenso dai Consulenti Tecnici di Parte (CTP) al proprio operato ed a quello collegialmente svolto, come risultante da verbale del giorno 8 febbraio 2011 che reca la seguente dizione “Prima della conclusione della seduta, il CTU ha chiesto ai tecnici delle parti se ritengono che le operazioni peritali si siano svolte in modo corretto, ottenendo la loro approvazione Il verbale è poi sottoscritto da entrambi i CTP.

Non solo, ma nella propria perizia di parte il CTP Ing S. (pag. 5, ultimo periodo) esprime apprezzamento per il metodo del CTU che, tra l’altro, “ha permesso ai CTP di esporre le proprie tesi nel modo più completo ed esaustivo possibile senza prevaricazioni di sorta ”

Ciò già, di per sé, sarebbe sufficiente a confermare la bontà del procedimento peritale, condiviso espressamente dai rappresentanti tecnici delle parti. Nondimeno, si esaminerà qui di seguito, sinteticamente, la posizione di ciascuna delle difese all’indomani del deposito della CTU tecnica IV A – L’eccezione di nullità della CTU tecnica sollevata dalia difesa Corredini appare intempestiva, oltre che infondata.

Trattasi difatti di eccezione che, se accolta, dà luogo a nullità relativa, sanabile se non tempestivamente sollevata nella prima difesa utile; l’eccezione inoltre non è stata ribadita in sede di precisazione delle conclusioni. Nemmeno poi l’eccezione era stata tempestivamente sollevata in modo specifico nella prima istanza o difesa successiva al deposito (Cass. Civ., Sez. n, 25.10.06 n. 22843; Cass. Civ. Sez. II, 15.04.02 n. 5422).

Nel merito dell’eccezione il Collegio rileva che nemmeno è stato precisato in che maniera le irritualità sollevate possano aver violato il diritto di difesa (Cass. Civ., sez. II, 08.06.2007, n. 13428).

Invero, nella memoria autorizzata del 31.05.11, C. impugna genericamente le risultanze peritali richiamando le note del proprio ctp S. del 18.02.11, ma non specifica irritualità dell’espletamento tali da procurare violazione in concreto del diritto di difesa: si limita piuttosto a criticare le valutazioni espresse dal ctu perché confliggenti con quelle del proprio ctp ed imputa al CTU di non aver esaminato i verbali di causa. Sennonché, come sopra detto, proprio in tali note il CTP S. elogia il CTU per aver garantito il pieno rispetto del principio del contraddittorio nello svolgimento delle operazioni (cfr. pag. 5). Anche nel verbale di operazioni peritali  dell’08.02.11 i ctp riconoscono che le operazioni si sono svolte in modo corretto. Anzi, specificamente, sul punto della mancata lettura dei verbali di causa, in sede di audizione del CTU a chiarimenti (udienza del 29.09.2011) e’ emerso che lo stesso CTP Ing. S.  si era opposto alla lettura dei verbali delle prove testimoniali.

In ogni caso, si ribadisce ancora una volta che la difesa C. nemmeno ha chiarito in che maniera tale aspetto della mancata lettura dei verbali possa aver leso il diritto di difesa o fuorviato il CTU (in contraddittorio con i CTP) nella formazione del proprio convincimento.

Per completezza, poi, si evidenzia che i rilievi formulati (tardivamente ed implicitamente rinunciati stante la mancata formulazione in sede di precisazione delle conclusioni) in comparsa conclusionale C. sono infondati. Ciò in quanto: a) l’addebito di aver fondato il proprio convincimento su documenti allegati da ALFA e disconosciuti da C. è infondato, per avere il CTU dichiarato, a pag. 1-2 e 16 della relazione, di non aver tenuto conto ex art. 33-34 del contratto, di somministrazioni e lavori in economia non sottoscritti dal committente V.C. o per lui da Lorenzo C., espressamente a ciò delegato dal committente (ciò si rileva qui, salva la valutazione che sul punto esprimerà il Collegio nel prosieguo del lodo); b) l’addebito di aver raccolto deposizioni al di fuori del contraddittorio e del processo (cfr. conclusionale pagg. 5 e pag. 38 in merito alle deposizioni di CI e Z.; cfr. udienza di chiarimenti a pag. 3 ove Avv. R. chiede al ctu se le dichiarazioni del D.L.CI menzionate nella ctu tecnica siano quelle rese in udienza o assunte durante le operazioni; nonché udienza di chiarimenti a pag. 7 ove l’Avv. R. chiede se il ctu abbia sentito durante le operazioni Z. G. fornitore dei sassi per la torre come da doc. 12/86 e pag. 20 e 71 della ctu tecnica) è parimenti infondato.

La censura relativa all’asserita audizione di Z. è infondata: come precisato dal ctu nell’udienza di chiarimenti e come emerge dall’esame della relazione peritale (pag. 20 e 71) e delle note di chiarimento (pag. 6 con richiamo all’allegato 2, fax P/Z. del 22.08.11), il fornitore delle pietre di rivestimento delle torre, Z. G., non è stato sentito dal CTU. La questione dell’assunzione di informazioni dal DLCI durante ìe operazioni peritali appare egualmente infondata, in quanto l’assunzione di informazioni dal ctu ex ari. 194 epe. è utilizzabile se relativa ad elementi accessori rientranti nel’ambito strettamente tecnico della consulenza e sempre che vengano indicate le fonti (Cass. Civ., sez. ni, 06.06.2003, n. 9060). Libera è poi l’assunzione di informazioni da pare del CTU ex art. 194 CPC, pur in mancanza di espressa autorizzazione del giudice_(Cass. Civ., sez. UT, 10.05.2001, n. 6502).

Resta poi al Collegio il compito della valutazione di dette informazioni, che non sono strumenti di prova (testimoniale).

  • B – Parimenti infondata è l’eccezione di nullità della CTU tecnica sollevata dalla difesa ALFA, che opera varie contestazioni nella memoria 01.06.11. Infondato è l’addebito della mancata allegazione alla ctu tecnica delle relazioni dei ctp, in quanto il ctu nelle note di chiarimento ha precisato dì aver consegnato insieme alla relazione anche le memorie dei ctp. In ogni caso, la violazione dell’art. 92, 2°comma epe. (che impone al ctu di inserire nella relazione anche le osservazioni e istanze delle parti) non darebbe luogo a nullità non essendo la sanzione espressamente prevista.
  1. ALFA contesta inoltre l’illegittima acquisizione nel corso delle operazioni peritali di documenti prodotti dalla parte C. tramite il ctp S.: relazioni e calcoli di C. e S., foto e disegni allegati alle memorie del ctp. Conseguentemente solleva eccezione di nullità delle indagini e delle valutazioni del ctu fondate su questi documenti (pag. 10). L’eccezione non coglie nel segno, poiché le conclusioni e le valutazioni del ctu non sono fondate su questi documenti: o il ctu non ne ha tenuto conto (v. 26 relativamente alle foto degli ascensori: pag. 46 fattura M. su serramenti; pag. 64 per i disegni sugli sbalzi) come precisato dallo stesso ctu nelle note di chiarimento del 19.09.11 a pag. 4; o ha tratto conclusioni divergenti rispetto ad essi (v. relazioni CI –S. sugli sbalzi, disattese dal ctu).
  2. ALFA censura l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal DL al ctu soprattutto in materia di quantificazione del danno (v. pag. 9), senza però sollevare specifica eccezione di nullità. A sua volta, il ctu ha utilizzato le dichiarazioni del DL solo relativamente alla quantificazione del danno per le opere di vario genere (pag. 29-34).

In tutti gli altri casi (errata pendenza solaio corsello pagg. 37-41; serramenti pagg. 44-46, ripristino cantiere pagg. 47-49) o il ctu ha provveduto autonomamente alla quantificazione del danno, oppure non ha riconosciuto nessun danno (cfr. sconfinamento pagg. 42-43; quota solaio calpestio pagg. 35-36).

Nelle opere di vario genere il ctu ha quantificato i ripristini sulla base della lettera del DL del 14.11.08 (doc. 6 C.) e soprattutto sulla base della lettera del D.L. del 31.03.09 prodotta dalla difesa ALFA (doc. 32) che alle luce delle precisazioni sui punti 10 e 11 della lettera suddetta rese dal D.L. nella seduta del 16.12.10 (sul punto 10: precisa 4 ore per ognuna delle aperture velux; sul punto 11 : conferma 2 giorni di lavoro per muratore e precisa 1 giorno di lavoro per elettricista) in contraddittorio coi ctp delle parti che nulla hanno obiettato.

Il  Collegio – pur valutandole poi nella propria autonomia – ritiene che dette informazioni rese dal D.L. al ctu siano utilizzabili, perché relative a fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza.

Anche l’eccezione di nullità della difesa ALFA è pertanto rigettata.

  • — In generale, poi, il Collegio precisa sin d’ora che si atterrà alle risultanze della CTU tecnica, attesa la sua natura di CTU “percipiente ” (diretta cioè ad accertare fatti determinabili solo con il ricorso a cognizioni tecniche) e non “deducente” (diretta cioè a valutare fatti già acquisiti al processo, operazione questa riservata alla libera valutazione del Giudice).

Ciò vale a maggior ragione alla stregua delle considerazioni espresse dal CTU tecnico in premessa della sua relazione (pag. 1), laddove evidenzia che, per numerosi aspetti o non ha potuto esprimere proprie valutazioni per non aver trovato traccia dei vizi o difetti lamentati; oppure ha dovuto attingere a documentazione che, però, si è rivelata insufficiente sotto il profilo tecnico/probatorio, per cui ai fini delle proprie valutazioni il CTU ha dovuto attingere alla propria esperienza. In tali casi, difatti, nemmeno il Collegio avrebbe strumenti e cognizioni tecniche per discostarsi dalle conclusioni del Perito incaricato.

Per contro, il Collegio esprimerà specifica motivazione in ordine alle questioni sulle quali la CTU tecnica ha sospeso il giudizio (es., questione degli sconfinamenti) od ha espresso semplici valutazioni oppure ancora nei residui casi in cui riterrà di discostarsi dalle conclusioni del Perito.

VI – Sempre in tema di apporto tecnico alla controversia, il Collegio prende atto del fatto che la CTU grafologica ha appurato che la sottoscrizione apposta al documento transattivo prodotto dalla difesa C. è apocrifa. Come esposto in narrativa, la Dott.ssa C.C., CTU incaricato dal Collegio, ha risposto al quesito postole dichiarando che le quattro sottoscrizioni apparentemente attribuibili a Luca ALFA apposte nella scrittura provata di transazione datata 4 giugno 2008 “sono apocrife ed ottenute tramite ricalco da matrice di firma” autografa individuata nella comparativa A3 riprodotta.

Il  Collegio non ritiene di discostarsi dalle conclusioni del Perito e ne fa

proprie le risultanze.

Sotto altro profilo poi. nemmeno la scrittura potrebbe valere mai come transazione, in quanto per la sua natura di contratto deve essere provata per iscritto e sottoscritta da tutte le parti interessate. Nel caso di specie, si è già esaminato il difetto di sottoscrizione; a ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 1967 CC la transazione può essere provata solo per iscritto, di talché le prove orali assunte sul punto risultano inammissibili e le relative deposizioni inutilizzabili.

Sulla questione risulta inoltre che siano in corso indagini della Procura della Repubblica di Reggio Emilia che, come pure in fatto sopra esposto, ha chiesto l’acquisizione sia della relazione peritale che dell’originale (rectius, dei due originali) della scrittura.

La conseguenza immediata dell’accertamento tecnico e delle conclusioni peritali è rappresentata dalla inutilizzabilità di detta scrittura privata di transazione nella presente lite. La scrittura quindi non ha novato né definito il rapporto tra le parti, con la conseguenza che detto documento è tamquam

Ulteriore conseguenza è rappresentata dalla condanna che il Collegio oggi pronuncia a carico del C. – parte che ha inteso avvalersi della scrittura – al pagamento delle spese di detta consulenza grafologica per l’intero, come meglio sarà precisato nel dispositivo della presente pronuncia.

  • – Va precisato preliminarmente, ai fini della risoluzione di numerosi aspetti della controversia, il ruolo del direttore dei lavori Ing. P.L.C. (che sarà indicato anche con l’acronimo DL nel prosieguo della pronuncia).

Questi, ai sensi dell’art. 9 co. 2 del contratto di appalto e del successivo art. 10, è mandatario del Committente e tecnicamente ne impegna le determinazioni, in special modo nella contabilizzazione dei lavori a misura (arti. 31, 33, 36 e 38 dei contratto di appalto), mentre ai sensi dell5art. 33 dello stesso contratto le somministrazioni ed i lavori in economia sono  contabilizzati a parte e soggetti alla sottoscrizione del committente.

“lì direttore dei lavori assume la rappresentanza del committente limitatamente alla materia strettamente tecnica e le sue dichiarazioni sono, pertanto, vincolanti per il committente medesimo soltanto se siano contenute in detto ambito tecnico, come l’accetazione dell’opera purché conforme al progetto ed eseguita ad opera d’arte“ Cass. Civ., Sez. II, n. 8528; ib. 28.05.01 n. 7242; ib. 01.03.1995 n. 2333).

Non solo, ma in nessuna punto della controversia è emerso che il Direttore dei Lavori sia stato sconfessato nel proprio operato tecnico dalla Committenza: se si eccettua difatti la supervisione cui la contabilità dei lavori è stata sottoposta dopo il sesto SAL (cfr. la deposizione testimoniale del 17.02.10 dell’Ing.C I), il DL ha sempre svolto la propria funzione, sino alla emanazione del certificato di ultimazione lavori del 24.06.2008 e del certificato di regolare esecuzione lavori del 28.06.2008 senza che mai risultasse contestazione alcuna della sua attività o del suo ruolo da parte del committente signor V.C..

Ciò permette al Collegio di far risalire e quindi attribuire alla committenza medesima, in linea di massima e con speciale riguardo ai lavori a misura, la conduzione del rapporto di appalto e la gestione del cantiere nonché, in generale, le scelte fatte nella realizzazione dell’opera, in una sorta di rapporto di immedesimazione relativa alla gestione del cantiere e delle opere.

Si avrà modo di tornare in seguito sull’operato del Direttore Lavori Ing.CI. nell’ ambito dell’opera per cui è controversia: sin d’ora, però, il Collegio non può esimersi dal rimarcare che una più puntuale partecipazione dei DL nel corso della esecuzione dell’ opera ed ai fini, in generale, dello svolgimento dell’incarico professionale commessogli avrebbe molto probabilmente evitato l’insorgere di parte delle problematiche sfociate poi nella controversia per la quale è la presente pronuncia.

Il  DL, quindi (cd in ogni caso, indipendentemente dalle valutazioni o dagli obiter dicta del Collegio) è da considerare parte interessata alla controversia, per cui le dichiarazioni dallo stesso rese potranno essere valutate in tale prospettiva.

  • – Il Collegio si è riservato di decidere unitamente al merito le eccezioni di incapacità (rectius, e/o di inattendibilità) dei testi, mentre ha respinto con ordinanze del 01.07.10 e del 05.08.10 le richieste di confronto avanzate dalle parti. A tali ordinanze, sul punto, il Collegio si richiama.

Quanto alle eccezioni di incapacità e/o di inattendibilità, il Collegio osserva preliminarmente ed in generale che, visti l’andamento e le risultanze di dette prove costituende, le stesse non appaiano per lo più determinanti ai fini del decidere: in generale, i testi si sono vicendevolmente contraddetti oppure hanno dato risposte non esaurienti o non attendibili.

In ogni caso, per completezza di giudizio, occorre sciogliere la riserva formulata sul punto. Pertanto si statuisce come di seguito.

VII a – la difesa C. ha eccepito in sede di escussione:

  • L’incapacità del teste R. G. (riunione 27.05.10) per un colloquio intercorso con ALFA prima dell’escussione e per la dipendenza economica da ALFA e ha chiesto confronto con teste S.. Al riguardo, il Collegio non può accogliere l’eccezione e deve rigettarla, atteso non è emerso quale fosse il contenuto del colloquio (a prescindere dal suo effettivo svolgimento e dalla sua durata, che per forza di cose sarà stata minima per sede e circostanze, in quanto presumibilmente svoltosi in un intervallo tra una prova testi e l’altra) e quindi la sua incidenza sulla deposizione, posto non esservi un divieto di colloquio tra la parte ed il teste, ma solo di subornazione; in ordine alla dipendenza economica, risulta poi che il R. sia artigiano autonomo, anche se esercita la propria attività prevalentemente in favore della ALFA;
  • l’incapacità del teste V T (riunione 08.07.10) perché controparte di C. in causa civile (procedimento possessorio concluso nel 2009) e per essere in corso una controversia come da raccomandata che si è riservato di esibire. Il Collegio con ordinanza del 05.08.10 ha rigettato l’autorizzazione al deposito di documenti e la richiesta di confronto avanzata dall’Avv. R; l’eccezione deve essere disattesa in quanto tardiva e, oltretutto, suffragabile con documentazione di cui è stata vietata l’esibizione in quanto a sua volta tardiva. Lo stesso teste, poi, ha dichiarato che il contenzioso era cessato all’epoca della assunzione della prova;
  • l’inattendibilità della teste Ferrari Katia (riunione 09.06.10) per asserita conoscenza di un documento della produzione ALFA. Sul punto, il Collegio delibera di disattendere l’eccezione, atteso che la conoscenza di un documento, esistente o meno, non può determinare l’inattendibilità dell’intera deposizione, in generale; in particolare, che la risposta data sul punto dalla teste è apparsa esaustiva, dato che la stessa ha chiarito di aver visto il logo della fattura della ditta Pergetti e di esserne stata attratta, per aver manipolato in ufficio più volte detto documento;

VII b – la difesa ALFA ha eccepito in sede di escussione:

  • contestazione circa P indifferenza del teste ALFA Giuliano, marito di Milena in separazione dei beni e cugino di ALFA Luca (perché non presente in cantiere, perché usava la locuzione noi e per il grado di parentela) e ha chiesto confronto con testi non individuati (riunione 29.04.10). Il Collegio ha rigettato le richieste di confronto con ordinanza del 01.07.10; rigetta l’eccezione di incapacità in quanto lo stato di separazione dei beni (indipendentemente dallo stato di separazione o meno tra coniugi) permette l’assunzione della prova.

VII C – Le eccezioni di incapacità della difesa C. non riproposte in sede di pc. si intendono rinunciate; nel merito, le eccezioni appaiono infondate non avendo i testi in oggetto interesse concreto e attuale nel procedimento.

VIII — Del pari devono essere disattese le richieste di rimessione in istruttoria, sub specie di rinnovazione della ctu o di ulteriore supplemento di ctu (chieste da entrambe le parti).

Difesa C.: nella memoria di osservazioni alla ctu del 31.05.11 ha chiesto la rinnovazione totale della ctu (a pag. 2); all’udienza di chiarimenti del ctu del 29.09.11 ha chiesto supplemento di ctu sulla collaudabilità dell’edificio anche alla luce della normativa antisismica vigente e sul rispetto della garanzia contrattuale antisismica (pag. 7).

La difesa ALFA, nella memoria di osservazioni alla ctu del 01.06.11 ha chiesto di porre quesiti al ctu; all’udienza di chiarimenti del ctu del 29.09.11 ha chiesto supplemento di ctu sul quesito inerente la situazione degli sbalzi alla luce della attuale normativa antisismica (pag. 7); in sede di udienza di pc. del 01.12.11 ha reiterato istanza di integrazione della ctu sui quesiti di cui alla memoria 01.06.11 ed in particolare sulla valutazione degli sbalzi alla luce della più recente normativa antisismica.

La rinnovazione della ctu implica che vi sia una valutazione del Giudice di insufficienza dei risultati raggiunti o per vizi di forma che rendono la consulenza inutilizzabile o per carenze degli accertamenti. Trattasi di valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità.

La sostituzione del ctu può essere disposta in caso di grave negligenza o grave imperizia del ctu tali da integrare i gravi motivi ex art. 196 epe.; il provvedimento di sostituzione rientra tra i poteri discrezionali del Giudice e deve essere adeguatamente motivato.

Nel caso di specie, le surriferite eccezioni ed istanze vanno disattese, atteso che il Collegio ritiene completa ed esaustiva la CTU tecnica e le sue risultanze (relazione e supplemento), idonei come tali a definire la questione per aver trattato ampiamente ed adeguatamente ogni aspetto tecnico della stessa ed in ogni caso in quanto permette e non impedisce la decisione anche per quegli aspetti sui quali non ha ritenuto di pronunciarsi (es. caso dei rivestimenti in pietra delle torri o degli sconfinamenti dal lato cd. “Po.”, come si vedrà) in quanto ha comunque messo a disposizione del Collegio ogni elemento utile ai fini del decidere.

IX – Va rigettata l’istanza di assunzione del teste V. avanzata dalla difesa C..

L’istanza è difatti inaccoglibile, ben potendo e dovendo il teste essere indicato nei termini istruttori assegnati: invero, il suo ruolo nella vicenda era ben noto alla difesa C. sin dall’inizio e non è stato appreso a seguito delle dichiarazioni rese da altri testi.

X- All’udienza di precisazione conclusioni del giorno 1.12.2011 il Collegio si è riservato di decidere sull’ammissibilità delle produzioni documentali fatte dalle parti in tale sede.

Per la difesa C.: nota raccomandata del 07.10.11 di denuncia dei vizi vizi occulti e raccomandata Z. sul rivestimento delle torri: per la difesa ALFA: fatture del CTP ing. P, e schede contabili dell’impresa ALFA relative al pagamento di dette fatture.

Il Collegio ritiene inammissibili e comunque irrilevanti dette produzioni, rigettandone pertanto la richiesta di ammissione in quanto:

Xa – la denuncia dei vizi occulti è irrilevante in quanto superflua, essendo la scoperta di vizi di tal genere emersa in corso di CTU tecnica e valendo per tale situazione quanto di seguito verrà evidenziato; peraltro, se non fosse irrilevante, tale denuncia sarebbe tardiva, essendo stata formulata successivamente alla introduzione del giudizio. Se ne deduce l’inammissibilità della produzione documentale relativa.

Quanto specificamente alla irrilevanza della denuncia dei vizi occulti ed alla sua sottrazione alle limitazioni di cui all’art. 1667, II co. CC, il Collegio rileva che la Suprema Corte (Cass. Civ. sez. H, 27.02.91 n. 2110) si è espressa in un caso analogo ed ha ritenuto:

Xa.l) inutile un’ulteriore denuncia dei vizi accertati nel corso della ctu

all’esito della ctu. “ Va d’altra parte considerato che la norma, che impone la denuncia, dei vizi o difformità del committente entro sessanta giorni dalla scoperta, è posta nell’interesse dell’appaltatore, in quanto lo scopo della denuncia, nel cennato breve termine dalla scoperta. è quello di consentire all’appaltatore sollecite verifiche, sia ver conti’olio quanto di vero sia nella denunzia sia per eliminare con tempestività vizi e difformità, Ora non è dubbio che le parti traendo occasione dal contraddittorio in atto, nel sollecitare gli accertamenti detti, anche in relazione alle opere eseguite nel corso del giudizio, abbiano soddisfatto il rispettivo interesse, che era quello di evitare ritardi e contestazioni in alti’a sede. Ciò posto. è di tutta evidenza la inutilità di una ulteriore denunzia dei vizi e difformità all’esito dì quegli accertamenti. L’appaltatore non ignorava che gli accertamenti erano stati affidati al consulente tecnico – per averli direttamente sollecitati o per avervi aderito o per avervi partecipato – ed era posto in grado, al pari del committente, dì conoscere l’esito di quegli accertamenti, con il deposito della relazione di consulenza

La giurisprudenza (Cass. Civ., sez. II, 23.01.99 n. 644; Cass. Civ., Sez. II, 03.12.81 n. 6479; Cass. Civ., sez. II, 25.05.11 n. 11520) ha poi chiarito che è sufficiente una denuncia sintetica, idonea a consentire l’azione anche per quei difetti che sia possibile accertare nella loro effettiva consistenza dopo la denuncia.

Xa.2) ricompreso nella domanda riconvenzionale formulata dal committente (domanda di riduzione del corrispettivo e risarcimento del danno nell9ambito delle azioni di garanzia ex artt. 1667-1668 cc. così come documentata dalla formulazione dei quesiti al ctu) il vizio accertato dalla ctu espletata in corso di causa.

Anche nel caso di specie, il committente ha formulato domanda di accertamento dei vizi e difetti nell’opera ex art. 1667 cc con richiesta di riduzione proporzionale del prezzo e risarcimento del danno “in ragione di quanto risulterà in corso di causa ed all’esito della espletando CTU”. Peraltro la disposizione dell’art. 1667, E co. CC si riferisce solo ai vizi occulti.

La difesa C. ha chiesto in I memoria di disporre ctu finalizzata ad accertare “se le opere siano state eseguite secondo la regola dell ’arte e con la dovuta diligenza da parte dell’appaltatore; vizi difetti e difformità delle opere comunque riscontrabili materialmente e/o anche documentalmente; il costo delle opere di rifacimento e/o ripristino necessarie; i danni subiti da C. in diretta conseguenza del comportamento dell’appaltatore ALFA anche, ma non solo. per ritardo dì consegna dell’opera”.

E’ evidente che la domanda del C. è relativa anche ai vìzi occulti e che la CTUI tecnica fu disposta anche in relazione ai vizi occulti (v. formulazione del quesito sub 3 all’udienza del 16.09.10 con riferimento all’accertamento dei vizi denunciati da C. in atti e alla quantificazione delle opere per la loro eliminazione).

Tanto più che l’esigenza di verificare l’esecuzione a regola d’arte delle opere e le spese per gli eventuali ripristini è stata avvertita, nel caso di specie, anche dall’appaltatore.

La difesa ALFA, infatti, nella II memoria dell’11.10.09, ha chiesto di formulare al CTU un quesito specifico sulle spese di ripristino (sanzione pecuniaria di € 300 euro) necessarie per eliminare il vizio di sconfinamento rilevato dal Comune e per cui è stata emessa ordinanza di sospensione lavori (pag. 13).

All’udienza del 16.09.10 (conferimento incarico) il Collegio ha chiesto al CTU di accertare i vizi denunciati da C. negli atti di causa (in I memoria la difesa C. parla espressamente di mancata esecuzione dell’opera a regola d’arte e di vizi da accertare tramite CTU) e di determinare l’importo dei lavori da eseguire per ovviare a tali manchevolezze. Con ordinanza del 22.10.10 il Collegio ha precisato che il quesito 3 (sui vizi) riguarda l’intera opera, senza riferimenti a specifici SAL. Nella memoria di osservazioni alla CTU tecnica del 01.06.11, la difesa ALFA ha chiesto al CTU di specificare quali vizi siano stati riscontrati visivamente nella loro reale entità specificando di ritenere inammissibili ed irrituali gli accertamenti relativi ai vizi non verificati (pag.8 e 11), mostrando così implicitamente di ritenere ammissibili e rituali gli accertamenti sui vizi riscontrati. Inoltre chiede che al CTU siano posti a chiarimento due quesiti relativi al vizio degli sbalzi pur dichiarando di non accettare il contraddittorio sui punto (pag. 17 e 18).

Nell’udienza di chiarimenti del 29.09.11, la difesa ALFA chiede che il CTU risponda al quesito formulato nella sua memoria 01.06.11 alla lettera t) a pag. 17 sul fatto che gli sbalzi debbano ritenersi verificati in base alla nuova normativa antisismica, anche se poi rileva trattarsi di difetto nuovo e si oppone al supplemento di CTU tecnica chiesto da C. (sulla collaudabilità dell’opera dal punto di vista sismico).

Nel foglio di p.c. del 01.12.11 ALFA insiste perché al CTU venga reiterato il quesito sulle condizioni e lo stato degli sbalzi alla luce della più recente normativa antisismica del 2008.

Ne discende che la CTU ha legittimamente investigato anche i vizi occulti.

“Qualora, nel giudizio promosso dal committente nei confronti dell’appaltatore, con azione di garanzia ai sensi degli art. 1667 e 1668 c.c., venga disposta consulenza tecnica. su istanza anche del convenuto. O comunque con la sua adesione o partecipazione, al fine di accertare difformità o vizi occulti dell’opera, si deve escludere che l’attore, in relazione ai difetti riscontrati da tale consulenza, sia tenuto, a pena di decadenza, alla denuncia contemplata dal comma 2 del citato art. 1667, dato che la controparte già conosce od è in grado di conoscere l’esito dell’indagine peritale” (Cassazione civile, sez. II, 27/02/1991, n. 2110; Cassazione civile, sez. II, 14/07/1981, n, 4606).

Né potrebbe sostenersi essere intervenuta mutatio libelli perché non è stata introdotta una nuova causa petendi.

Con riferimento ai diritti eterodeterminati (Trib. Venezia, 09.08.02), la causa petendi è il rapporto giuridico dedotto in giudizio, Tatto costitutivo come causale dell’azione proposta: nella fattispecie il titolo dedotto in

giudizio è l’appalto e la causale proposta è la garanzia per vizi ex art. 1667 ec.: ne deriva che non vi è stata mutatio libelli né immutazione dei fatti costitutivi del diritto con alterazione dell’oggetto sostanziale dell’azione e introduzione di nuovo tema d’indagine (Cass Civ, Sez. II, 12.10.10 n. 21074; Cass Civ, Sez. II, 03.09.07 n. 18513). Il vizio occulto rientra nella garanzia per vizi azionata dal committente.

Xa.3) ammissibile il mutamento della quantificazione della domanda (in

sede di pc è stato chiesto oltre 1 milione di euro dalla difesa C.

La formula ”somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non può essere considerata, di per sé, come una clausola meramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi; ove, invece, l’ammontare dell’importo preteso sia risultato, all’esito dell’istruttoria compiuta anche tramite consulenza tecnica d’ufficio, maggiore di quello originariamente chiesto e la parte, nelle conclusioni rassegnate, si sia limitata a richiamare quelle originarie contenenti la menzionata formula, tale principio non può valere, perché l’omessa indicazione del maggiore importo accertato evidenzia la natura meramente di stile della formula utilizzata” (Cassazione civile, sez. E, 16/03/2010, n. 6350)

“ Quando l’attor e, con l’atto introduttivo del giudizio, rivendichi, per lo stesso titolo, l’attribuzione di una somma determinata, ovvero dell’importo, non quantificato, eventualmente maggiore, che sarà accertato all’esito del giudizio, non incorre in ultrapetizione il giudice che condanni il convenuto al pagamento di una somma maggiore dì quella risultante dalla formale quantificazione inizialmente operata dall’istante, ma acclarata come a quest’ultimo spettante in base alle emergerne acquisite nel corso del processo” (Cassazione civile, sez. II, 07/03/2006, n. 4828).

“La formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento dì un importo indicato in una determinata somma “o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia” (nella specie, anche a mezzo di c.t.u.) non può essere considerata – agli effetti dell’art. 112 cp.c. – come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche” (Cassazione civile, sez. IH, 08/02/2006, n. 2641).

Xb ~ Sono irrilevanti: la raccomandata Z. sul rivestimento delle torri, perché superato dalle indagini e risultanze istruttorie sia delle prove testimoniali che della CTU; inammissibili perché tardive ed irrilevanti, per quanto verrà di seguito statuito, le fatture del CTP ing. P.;

irrilevanti altresì le schede contabili dell’impresa ALFA relative al pagamento di dette fatture, atteso che – ove la spesa fosse oggetto di condanna da parte del Collegio a carico della controparte, nessuna importanza potrebbe avere che il pagamento sia già materialmente avvenuto

o   meno.

  • – Alla luce di quanto sopra esposto, occorre quindi ora precisare la portata e gli effetti del verbale di ultimazione lavori del 24.06.2008 e del certificato di regolare esecuzione dei lavori del 28.06.2008, entrambi redatti in contraddittorio tra l’Impresa ALFA ed il Direttore dei lavori Ing.CI, da entrambi sottoscritti.

La formazione e la sottoscrizione di tali documenti determinano difatti, a giudizio dei Collegio, notevoli effetti nei rapporti tra le parti.

Xla – Emerge in primo luogo, in virtù del rapporto di immedesimazione del Direttore Lavori con la committenza sopra analizzato, un principio di generale accettazione delle opere eseguite dall’Impresa ALFA. Ciò anche per le ragioni che saranno di seguito esposte, valutate alla luce del potere equitativo conferito al Collegio.

II principio vale sia per le opere a misura che per quelle in economia, nonché per le somministrazioni, queste ultime (economie e somministrazioni) purché comprovate in ordine alla relativa spesa da accollare al committente.

Irrilevante, al riguardo, è la limitazione del potere del Direttore Lavori per quanto riguarda la contabilità (artt. 33, 36, 38 del contratto d’appalto) estesa

ai soli lavori a misura: viene qui in rilievo, a giudizio del Collegio, l’approvazione dei lavori come potere conferito al DL ai sensi dell’art. 37 del Contratto di appalto, che riguarda in generale tutte le opere sotto il profilo della constatazione del compimento delle stesse e, in virtù del certificato di regolare esecuzione, del positivo giudizio di qualità che ne consegue. Non solo, ma osserva il Collegio che, ai fini della accettazione delle opere medesime, rilevi la disciplina del collaudo contrattualmente prevista dagli artt. da 41 a 47 del Contratto di appalto.

Ai sensi difatti dell’art. 41 citato, scopo del collaudo e’ la verifica dell’esecuzione a regola d’arte dell’opera “e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite”. Ai sensi dell’art. 42, poi, l’impulso al collaudo deve venire dalla committenza , dovendo l’appaltatore “essere invitato” alle relative operazioni( co. 2), da svolgersi “entro trenta giorni dalla data di ultimazione dei lavori Effetto del compimento delle operazioni di collaudo è quindi l’accettazione dell’opera da parte del committente; il medesimo effetto sortisce però dal mancato compimento del collaudo (art. 42 co. 5 ed art. 46, co. 3 n. 2) entro il medesimo termine di trenta giorni.

L’appaltatore rimane tuttavia responsabile per i vizi occulti ex art. 42 co. 6. Xlb – Calando la disciplina di cui sopra nella fattispecie in esame, osserva il Collegio come in essa si sia verificata accettazione dell’opera.

Non vi è contestazione tra le parti circa la compilazione e la sottoscrizione, nonché la data, del certificato di ultimazione dei lavori: entro quindi il 24 luglio il collaudo avrebbe dovuto aver luogo, su impulso della Committenza. Anche quindi ove si volesse ritenere che il certificato di regolare esecuzione del 28.06.2008 non valesse ad impegnare il committente (ma ciò in ogni caso il Collegio esclude, in considerazione del rapporto di immedesimazione tra la parte ed il DL, nonché della disciplina specifica del contratto), in ogni caso l’avverarsi della data del 24 luglio 2008 ha determinato l’accettazione dell’opera direttamente da parte del committente e quindi l’impossibilità di contestare vizi palesi e quella di contestare solo vizi occulti o comunque non riconoscibili a tale data.

XIc – Ulteriore effetto del verbale di ultimazione lavori (e dell’allegato elenco di opere eseguite), del certificato di regolare esecuzione e del (mancato) collaudo è l’impossibilità di sollevare da parte del committente contestazioni circa i tempi di esecuzione del contratto, che debbono necessariamente ritenersi accettati in considerazione della complessiva accettazione delle opere.

Xld – Espressamente, poi, sia il verbale di ultimazione lavori (con l’elenco opere allegato) che il certificato di regolare esecuzione attestano che l’impresa ha seguito le direttive della committenza e del Direttore Lavori. Anche sul punto, quindi, ritiene il Collegio che ogni contestazione sia preclusa.

Xle – infine, il certificato di ultimazione lavori da atto che committenti hanno affidato l’esecuzione delle restanti opere previste dal contratto dì appalto in data 28.12.2005 ad altra impresa”. Ciò. a giudizio del Collegio, vale a dirimere – come di seguito e nei limiti in cui si dirà – anche la questione relativa alla risoluzione del contratto ed alla conseguente debenza del mancato utile all’impresa ALFA o, alternativamente, delle spese di ripristino cantiere alla committenza C..

Xlf – Anche sul presente capo, identificato sub XI, il Collegio delibera a maggioranza e con il voto dissenziente dell’Arbitro M., la quale allega in busta chiusa e sigillata le proprie ragioni riguardo esclusivamente alla rilevanza ed applicabilità delle disciplina del collaudo, contrattualmente prevista, e alle conseguenze che qui se ne traggono.

  • — Quanto alle ulteriori istanze di ammissibilità di produzioni documentali o comunque di ammissibilità di ulteriori mezzi istruttori, il Collegio fa rinvio alle Ordinanze emanate in corso di causa, che qui integralmente conferma, salva la correzione dell’errore materiale di data relativo all5udienza del 9 giugno 2011 (erroneamente all’inizio del verbale viene indicata la data del 9 maggio 2011, da leggersi come 9 giugno 2011); ed all’udienza e relativa ordinanza del 29 settembre 2011 (e non, come erroneamente indicato all’inizio del provvedimento, del 3.12.2011 né – come indicato alla fine del provvedimento – il 26.09.11).

Tali errori materiali vengono pertanto corretti mediante la presente pronuncia.

XII Passando all’esame delle questioni di merito ed affrontando innanzitutto quelle maggiormente dibattute o poste dalle parti come maggiormente importanti, il Collegio affronta in primis la domanda di pagamento dei lavori di rivestimento delle torri in pietra proposta dall’impresa ALFA, domanda che ritiene fondata.

Detti lavori sono stati al centro di una intensa attività istruttoria svolta sia dal Collegio in sede di acquisizione delle prove testimoniali che dal CTU Ing. PE. in sede di accertamento peritale.

Il Collegio, ai fini della risoluzione della questione, ha dovuto innanzitutto porsi il problema del tipo di lavorazione e soprattutto della rilevanza del risultato dell’opera relativa al rivestimento in sasso della intera cd ‘‘torre Lorenzo” e per una parte (dell’altezza al massimo di due metri) della cd. “Torre Milena”, incontestabilmente eseguito dalla ALFA.

La questione da valutare è se tale tipo di lavorazione fosse tale da determinare nel caso di specie, se mal fatta, difetti funzionali o se, viceversa, determinasse semplicemente un mancato gradimento estetico: in altre parole, se il lavoro fatto fosse da demolire in quanto tecnicamente inadeguato (es. perchè la posa in opera delle pietre potesse determinare crepe od infiltrazioni o quant’altro) ; oppure perché semplicemente non soddisfacesse il gusto della committenza, alla stessa maniera in cui ad es. un pavimento posato in opera non piaccia più a chi lo ha commesso e vada quindi rimosso a spese del committente medesimo.

Dirimente, sul punto, risulta la testimonianza resa dall’Ing.CI, Direttore dei Lavori, all’udienza del 17.02.2010 e che si ritrascrive integralmente “Capitolo 2) Era prima dell’estate; ima torre era già’ rivestita; dell’altra era fatto un pezzettino. Quella già’ fatta non era piaciuta alla committenza; sono lavori manuali in cui ognuno ha la sua mano; la persona che aveva trovato ALFA non aveva la mano che piaceva a C.; siccome ALFA non aveva altre persone che facevano questo mestiere, C. ne ha trovato una; ALFA ha demolito la torre e la nuova persona ha cominciato il rivestimento. ADR: questa persona era / ’impresa Cassano; ADR: immagino che, siccome era in cantiere e data la precisione del responsabile sicurezza S. fosse in possesso della documentazione necessaria (DURC); ADR: vado per esclusione: se non ci fosse stato il consenso di ALFA, l’impresa Cas. sarebbe stata mandata via. ”

Se dunque è questione “di mano ” (nel senso che ciascun artigiano realizza l’opera come meglio ritiene, per cui il risultato estetico può piacere o meno a seconda del gusto del committente, ma non inficia l’idoneità tecnica del manufatto), appare evidente che sarà la committenza ad assumersi le conseguenze delle proprie valutazioni estetiche: a maggior ragione poi quando, come nel caso di specie, la parte ha approvato oltre il 50% dell’opera, realizzata in circa due mesi e mezzo, e non ne ha fermato la realizzazione prima dell’inizio della parte (oltre un metro da terra) relativa alla seconda torre.

A conferma di ciò intervengono alcune considerazioni: come difatti evidenziato dal CTU Ing. PE. nella propria relazione (pag. 70, voce casi particolari, rivestimento torre Lorenzo) il ALFA, prima di dar corso al lavoro di rivestimento vero e proprio, aveva fatto eseguire un campione, che non risulta contestato dal C. e che anzi si deve presumere approvato; il Direttore dei lavori non è mai intervenuto nel corso di tale speciale lavorazione per evidenziare eventuali disfunzioni tecniche o difetti strutturali della posa in opera; la committenza, pur presente spesso in cantiere, mai ha obiettato alcunché durante il lungo periodo della lavorazione e quindi dopo la campionatura; la committenza stessa ha individuato altro artigiano per il rifacimento del lavoro; l’importo della realizzazione delle torri è stato inserito dal DL nella contabilità a misura del sesto SAL e come tale specificamente approvato dallo stesso Ing.CI. sul quale nessuna influenza può avere la riserva successivamente espressa dal DL in data 30.03.2008 (doc. 45 di parte C.). in quanto detta riserva (o ritrattazione) perviene esclusivamente alle opere in economia.

Né le altre prove testimoniali smentiscono quanto sopra: il teste Scarni conferma che si tratta “di mano” del posatore (con evidente differenza di gradimento dei risultati estetici) e con evidente riferimento all’estetica ed al gradimento per l’opera finale dell’uno o dell5altro artigiano di difetti di posa. Ad onor del vero, il teste S. parla anche di “difetti di posa e difficoltà nella messa in opera, dovute presumo alle difficoltà che trovava il posatore ad andare su spedito ed a tenere perpendicolari i pezzi ma aggiunge che usi decise di farlo lavorare comunque in quanto il risultato sarebbe stato adeguato ed arrivato alla fine non soddisfaceva. ”, assumendo generici difetti che si tramutano in quanto tali in un giudizio precluso al teste; e confermando che fu disposto che il ALFA continuasse, con tutta evidenza ritenendo che poi in realtà vizi non ve ne fossero.

Gli altri testi o non adducono argomenti rilevanti o si contraddicono a vicenda (teste ALFA Giuliano riporta un giudizio: “visti i difetti, ALFA riconobbe che sarebbe stato meno costoso rifarla ex novo piuttosto che sistemarla”; teste Cassano, che parla di decisione di abbattere presa da ALFA, ma all’evidenza del mancato gradimento della committenza; teste R., che riferisce dell’istruzione data dopo Natale a ALFA di smontare le pietre) o irrilevanti (teste F., che riferisce di aver saputo da ALFA delle scelte inerenti il rivestimento)

Così ricostruita la questione, la demolizione del rivestimento operata dallo stesso ALFA appare mera esecuzione della volontà della committenza, – abbia lo stesso promesso di pagarla o meno – piuttosto che come riconoscimento di un vizio o difetto; per la medesima ragione, appare irrilevante il consenso della ALFA alla presenza dell’artigiano C. in cantiere, posto che quest’ultimo veniva chiamato ad eseguire un’opera del tutto autonoma rispetto al complesso delle attività commesse alla ALFA.

Va così riconosciuto l’importo in favore dell’Impresa ALFA di € 19.080,00 inserito in contabilità ed indicato dal CTU, che sul punto aveva sospeso il proprio giudizio.

Nulla il Collegio ritiene di riconoscere ulteriormente quanto alla fornitura di pietre, già ricompresa nell’importo suddetto addebitato a misura; né per la voce assistenza alla posa, in quanto affermata e non provata nell’an e nel quantum.

XIII – Altra questione aspramente dibattuta ha riguardato i cd. “sbalzi lati est ed ovest” (od anche “sporti”), descritti nella relazione di CTU tecnica dell’Ing. Rino PE. alle pagine da 59 in poi.

Trattasi di corpi aggettanti, progettualmente previsti, che appunto sui lati est

ed ovest sporgono rispetto al corpo del fabbricato, prolungandosi entrambi sul lato nord ove si ricongiungono alla loggia che su tale lato prospetta (il lato est si vede nella fotografìa allegata sub B a pag. 72 della relazione tecnica del CTU Ing. Rino PE., ritratto alla data del 29.11.2010 e prima della collocazione dei sostegni in ferro, cd. “cristi”, dei quali pure si dirà nel prosieguo).

Proprio la complessità e la peculiarità della vicenda inerente gli sbalzi hanno indotto il Collegio ad emanare l’Ordinanza 29.05.12, mediante la quale è stato disposto sopralluogo ai sensi dell’art. 258 CPC ed ad effettuare poi l’accesso di cui è verbalizzazione – unitamente a relativa documentazione fotografica – in data 26.06.2012, nell’immediatezza dei gravi eventi sismici che hanno colpito le Province di Modena e Reggio Emilia.

Sostiene parte convenuta C. che sì tratta di vìzi occulti, riconosciuti solo in sede di accesso del CTU (cfr., da ultimo, il verbale di sopralluogo del 26.06.12), allorquando è stata scoperta “una testa di rivestimento in mattoni erroneamente ritenuta elemento portante e che quindi fa spessore ” (dichiarazione punto 6 del verbale, fatta dall’ing. S.); che la erronea realizzazione di tali sbalzi (che in sostanza sporgono ben più di quanto progettato) ha determinato un pregiudizio in sede dinamica (in caso cioè di eventi sismici) e non in sede statica (cioè nella ordinaria situazione di utilizzo dell5immobile) (stessa dichiarazione a verbale); che tale pregiudizio è da accertare e che da tutto ciò debba derivare condanna a carico dell’impresa ALFA superiore da un milione di euro..

Ritiene il Collegio, alla luce delle risultanze della CTU tecnica e della documentazione di causa, che il pregiudizio sussista e che lo stesso vada risarcito, anche per ragioni di equità, sia pure con le precisazioni che seguono.

E’ innanzitutto incontestato tra le parti che gli sbalzi in questione siano stati realizzati in maniera difforme dal progetto esecutivo, tanto da sporgere sui lati est ed ovest di cm. 142 dal filo esterno del cordolo in cemento armato (ovvero dai pilastri) come precisa il CTU Ing. PE. a pag. 63 della propria relazione, a fronte di una previsione progettuale originaria di cm. 1,17 rispetto a detto cordolo.

E’ parimenti un fatto obiettivo che il vizio sia stato solo in sede di CTU (cfr. verbali delle operazioni peritali del 20.01.2011)

Il vizio (occulto) è stato allegato dalla difesa C. per la prima volta nella memoria autorizzata del 31.05.11, essendo emerso durante la CTU

tecnica: per quanto sopra esposto, tuttavia, ritiene lì Collegio che la domanda con cui si contestano vizi e difetti ex art. 1667 CC, nonché esecuzione non a regola d’arte con richiesta di risarcimento dei “danni quali risulteranno provati in corso di causa, danni che si quantificano in €

  • o in quella somma maggiore o minore che risulterà all’esito del procedimento” comprenda anche i vizi occulti; non risulta quindi esserci stata mutatio libelli.

L’Impresa ALFA ha precisato che l’allargamento derivava da ima necessità di “allineamento degli scuretti

La difesa C. ha sempre sostenuto, poi, che ai sensi del contratto di appalto, l’edificio dovesse essere realizzato nel rispetto della normativa antisismica: ed in effetti l’Ing. PE. da atto, nella prima parte della propria CTU a pagg. 9 e 10 dell’avvenuto deposito presso il Comune della documentazione antisismica in data 19.05.2006 (e quindi dopo la sottoscrizione del contratto di appalto). In realtà, il Collegio non ha rilevato l’esistenza di un obbligo specifico contrattuale, a carico dell’appaltatore, di realizzazione dell’opera secondo una particolare e specifica prescrizione di antisismicità che non rientrasse nel rispetto della progettazione e che quindi fosse ulteriore rispetto all’obbligazione del progettista e del Direttore Lavori di osservare e di far osservare detta normativa.

Ai fini del decidere, quindi, occorre fare riferimento a dette previsioni progettuali ed al rispetto delle medesime, valutando come effetto ulteriore del mancato rispetto P eventuale situazione di pericolo che ne possa derivare. Lo stesso CTU Ing. PE., sia nel proprio elaborato peritale che in sede di audizione innanzi al Collegio ha confermato la pericolosità in caso di terremoto, ma non in situazione statica, con ciò concordando con quanto dichiarato dallo stesso CTP di parte, Ing. S.i, anche da ultimo in sede di sopralluogo.

In effetti il Collegio, in occasione dell’accesso, ha potuto constatare l’esistenza di crepe longitudinali sugli sporti in relazione alle quali il Geom. Scarni in sede di sopralluogo ha dichiarato: “tra l’estate e l’inverno le crepe si allargano e si restringono ” (punto 4 del verbale); ha potuto in effetti verificare la collocazione di cd “cristi” (sostegni da puntellamento in ferro) sotto alla parte finale degli sporti in questione, in verità non tutti saldamente ancorati sia al suolo che allo sporto medesimo, come osservato dall’Ing. Prandi (punto 5 del verbale).

Verificata pertanto la sussistenza dei presupposti sia in fatto che in diritto per il risarcimento, il Collegio non può che rimettersi alle risultanze della Consulenza Tecnica d’Ufficio, dalla quale non ritiene di avere alcun motivo per discostarsi non possedendo le cognizioni tecniche necessarie, ma avendo comunque constatato nel corso dell’(utilissimo) accesso di cui sopra l’esistenza della problematica dallo stesso CTU evidenziata.

Il CTU ha pertanto indicato sia le opere necessarie ai fini della messa in sicurezza degli sbalzi, opere consistenti in un sostanziale alleggerimento della struttura muraria (pag. 67 della parte “casi particolari” della relazione); sia ha quantificato in € 14.000,00 le opere che “l’impresa avrebbe dovuto eseguire per alleggerire la struttura ” (pag. 68), con evidente riferimento al periodo in cui l’impresa era presente in cantiere con le relative attrezzature. La relativa facilità di risoluzione del problema appare inoltre escludere una pericolosità degli sbalzi come realizzati per la struttura dell’intero immobile. D’altra parte, ragionando in maniera empirica, il forte evento sismico che si è avuto non pare aver inciso in maniera significativa sulla struttura, dato che la stessa parte C. (punto 3) del verbale di accesso del giorno 26.06.2012) riferisce che “prima dei cristi vi erano solo cavillature”, mentre i cristi risultano collocati “nell’ottobre 2010,! (punto 2 del verbale di sopralluogo, dichiarazione dei C.), ancorché si tratti di relativa imprecisione, dato che la fotografia sopra richiamata (foto B. pag. 73 della CTU tecnica), mostra al novembre 2010 il lato ovest privo di sostegni. Sempre poi ragionando empiricamente, non è dato comprendere come mai senza i sostegni vi fossero solo cavillature e con i sostegni delle crepe.

In ogni caso, la stima operata necessita tuttavia di essere rapportata alla situazione corrente, nella quale occorrerebbe reinstallare le attrezzature occorrenti ed il relativo cantiere: per cui, sia facendo riferimento a quanto informalmente emerso nel corso dell’audizione dell’Ing. PE. innanzi al Collegio Che ad un criterio di equità, il Collegio ritiene di raddoppiare la somma in perizia indicata.

Il Collegio, pertanto, in ragione di quanto sopra accoglie, pur riducendone l’importo, la domanda riconvenzionale sul punto proposta dalla difesa del signor C., dichiarando essere tenuta l’Impresa ALFA a risarcire il danno causato per il titolo in esame in favore del suddetto signor C. in ragione di € 28.000,00, oltre IVA se per legge dovuta. Respinge ogni altra domanda, eccezione e conclusione sul punto.

  • – Il Collegio deve ora affrontare la questione relativa alla domanda proposta dalla ALFA srl di accertamento del recesso (unilaterale) che sarebbe stato esercitato dal committente C. V. e della conseguente condanna del committente medesimo al pagamento del mancato utile (guadagno), in domanda quantificato in € “419,13 oltre IVA 4% come per legge, o in quella maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di giudizio, anche, all ‘occorrenza, in via equitativa oltre interessi di mora dal dì del dovuto al saldo

XlV a – In punto di fatto, occorre risalire alla cronologia degli eventi ricollegando l’alterazione dei rapporti tra committente ed impresa, anche alla stregua delle prove testimoniali, al momento della presentazione ed approvazione da parte del Direttore Lavori del VI SÀL (28.03.2008), anche se in realtà i testi hanno fatto riferimento all’episodio della demolizione e rifacimento del rivestimento delle torri per significare una situazione non più serena tra le parti (episodio peraltro di poco antecedente). Anzi, il collegamento tra tale episodio ed il mancato pagamento del VI SAL viene operato dalla stessa difesa C. nel proprio atto introduttivo.

Resta comunque un fatto che, a seguito di tale approvazione del VI SAL, il DL viene esautorato e posto sotto tutela, tanto che l’approvazione del 6 SAL è subordinata al controllo delle economie da parte del committente e di un suo incaricato (V.).

Osserva tuttavia il Collegio che resta però approvato, in ragione del meccanismo rappresentativo contrattuale in relazione alle funzioni e poteri del DL nei confronti della Committenza, il VI SAL per le opere a misura.

  • documenti (cfr. lett. ALFA sub Allegato I alla relazione del CTU Ing. PE., prima parte) e le prove testimoniali, poi hanno confermato che – almeno dal maggio 2008, si rilevava la presenza in cantiere di lavoratori esterni. Tale presenza era lamentata dal ALFA (cfr. nota richiamata) come “violazione del contratto ” per essere i relativi lavori affidati per contratto di appalto alla ALFA srl. Analoga contestazione risulta effettuata con nota ALFA del 17.06.2008 e nella lettera O. del giorno 8.8.2008.
  • fatto appena considerato (presenza di altre imprese in cantiere e svolgimento da parte delle stesse di lavori per contratto affidati alla ALFA), unitamente al mancato pagamento da parte della Committenza del VI SAL nonché mancata compilazione del VII SÀL potrebbe già valere, a giudizio del Collegio, a ritenere quanto meno inadempiente il C. medesimo nei confronti della ALFA, con causazione di danno risarcibile sub specie di mancato utile.

Ad inquadrare la fattispecie giuridica in maniera migliore, tuttavia, giova ancora una volta il verbale di ultimazione lavori del 24.06.2008: detto atto, difatti, reca l’espressa dizione “Inoltre si da atto altresì che i committenti hanno affidato l’esecuzione delle restanti opere previste dal contratto di appalto in data 28.12.2005 ad altra impresa

Ritiene quindi il Collegio che la concatenazione degli episodi sia tale da ritenere sussistente il recesso unilaterale da parte del C., manifestatosi dapprima con il rifiuto di pagare le opere a misura (ed a maggior ragione quelle in economia e le somministrazioni) del VI SAL; di poi con l’affidamento ad altre imprese delle opere restanti e con l’inserimento di dette imprese in cantiere; ancora, con la certificazione di tale condotta nei confronti della ALFA mediante il verbale di ultimazione lavori ed infine con la mancata esecuzione delle ulteriori attività contrattuali (redazione ed approvazione del VE ed ultimo SAL).

Conferma di ciò deriva, ancorché indirettamente in quanto assumente consistenza di una ammissione, dalla copia dell’atto di querela datato 31.03.2012 (ammesso con propria Ordinanza dal Collegio in data 3.12.2011), che attesta la decisione dei C. tutti (ma ciò rileva, ai fini della presente causa, per il solo committente dell’epoca signor V.C.) “di risolvere il contratto e di affidare il completamento delle opere ad un altro specializzato” (che si è poi visto essere l’impresa Cassano).

A fronte di ciò., quindi, il ALFA non ha fatto altro che comunicare con proprio atto del 23.06.2008 l’ultimazione dei lavori ed attivare il meccanismo per tale evenienza previsto.

XlV b – Resta quindi, relativamente al titolo dedotto ed appena sopra esaminato, da collegare l’applicazione del recesso alla condotta delle parti successiva al suo verificarsi: le parti medesime hanno difatti redatto un verbale di ultimazione lavori, con elenco delle opere effettuate e certificazione di regolare esecuzione.

Al riguardo il Collegio, anche in via di equità, ritiene che l’applicazione alla fattispecie del meccanismo contrattuale relativo a fine lavori, regolare esecuzione e disciplina del collaudo ad opera delle parti non possa valere a contrastare 1*avvenuta manifestazione di recesso da parte del C., atteso che le parti hanno con tutta evidenza fatto applicazione di tale meccanismo in quanto unico idoneo a regolare i rapporti tra di loro, ancorché il contratto di appalto fosse oramai risolto; d’altra parte, i partecipanti a tali attività (Impresa e Direttore Lavori) non hanno fatto altro che documentare nell’unica maniera possibile la fine delle operazioni inerenti il cantiere, senza che ciò potesse avere influenza sulle cause per le quali il rapporto medesimo si era concluso.

In altre parole, il Collegio ritiene che un utilizzo parziale di meccanismi contrattualmente previsti per la fine del rapporto non valga ad inficiare le ragioni per le quali (recesso unilaterale) il rapporto medesimo si era concluso, ancorché per forza di cose non tutte le opere contrattualmente previste fossero state concluse.

Resta poi conseguenza naturale di tale agire il ritiro delle attrezzature e lo smontaggio della gru operato dall’Impresa ALFA il 7.8.2008, peraltro oggetto di preavviso via telefax.

XTVc – Rimane da quantificare il pregiudizio, normativamente previsto sub specie di mancato utile per l’appaltatore, derivante dal recesso come esercitato.

Al riguardo, il Collegio non ha motivo per discostarsi dalla liquidazione operata dal CTU Ing. PE. nella propria relazione, per la somma di € 44464,23 a titolo di mancato guadagno.

XlVd – Consegue a quanto sopra il rigetto delle domande proposte dalla difesa C. per ritardo, accertato come inesistente o comunque non invocabile; nonché per ripristino cantiere, all’evidenza non dovuto in quanto parte che ha esercitato il recesso.

XIVe – Sul presente capo, identificato sub XTV, il Collegio delibera a maggioranza e con il voto dissenziente dell5Arbitro M., la quale allega in busta chiusa e sigillata le proprie ragioni al riguardo.

  • — La parte C. ha chiesto altresì, in via riconvenzionale (prima memoria difensiva autorizzata del 14.09.2009) il riconoscimento e la rifusione di spese di rifacimento di opere sul confine VD, di costruzione di muretto stesso lato e di somme pagate alla medesima confinante, per € 7622 + 5000 4- 25.000.

XVa – La questione viene trattata dal CTU a pag. 35 della parte di perizia relativa al quesito n. 3. Il CTU ritiene non fondata la richiesta, sostenendo che l’Impresa ALFA ha eseguito le opere in conformità del progetto esecutivo; che il progettista tale quota ha stabilito senza operare in sede di progettazione un rilievo pianimetrico; che la scrittura privata stipulata con la signora Viani prevede il versamento di una somma di € 25.000,00 a fronte della possibilità per il signor C. di mantenere detto livello altrimenti non consentito, nonché della possibilità di allargare il posizionamento delle opere (muretto di confine) impegnando la proprietà confinante per 20 cm (punto 2 lett. a della convenzione V/C., allegata dal CTU sub doc. D alla relativa parte della perizia).

XVb – Il Collegio a sua volta ritiene non dovuta detta somma e che quindi la relativa domanda della difesa C. vada rigettata, ma per motivazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle – pur condivise – espresse dal CTU.

Viene difatti, innanzitutto, in rilievo il fatto che la transazione non ha visto alcun coinvolgimento dell’Impresa ALFA e che quindi sia res inter alios acta, come tale ad essa non opponibile.

Non solo, ma nemmeno risultano in corso di rapporto contestazioni od ordini di servizio nei confronti dell’Impresa medesima.

Risulta per contro che il Direttore Lavori fosse stato avvisato della differenza di livello: nella assunzione di prova testimoniale del 17.02.2010, lo         stesso Direttore lavori precisa che l’Impresa ALFA ha agito sotto sua direttiva; che egli era ben cosciente di seguire il progetto e la concessione (titolo) edilizia; che anche il posizionamento delle palancole è avvenuta sotto la sua direzione (“Preciso che la tecnica costruttiva consiglia di 60 piantare le palancole in maniera rettilinea perche1 non si riesce a fare degli angoli precisi; ho seguito nel disegno e sul terreno tale tecnica e così 1 si spiega la difformità1 col confine catastale, anche tenuto conto che le palancole tendono a flettere per un effetto naturale della pressione del terreno. La palancola non e1 rettilinea, ha dei nasi che tendono ad andare nel terreno del vicino e che per accordo con lo stesso sono stati demoliti);

che il confine catastale non era rettilineo; che i rilievi erano stati comunque eseguiti; che lo stesso DL ha fatto proprie le risultanze della complessiva operazione presentando variante in corso d’opera (“Preciso che, con variante in corso d’opera ho spostato il sedìme del fabbricato in sede di progetto esecutivo e di tracciamento rispetto al progetto architettonico depositato in Comune; l’Impresa ALFA ha seguito le mie indicazioni e, per quanto riguarda il progetto esecutivo, dovrei andare a misurare al centimetro. Preciso pero ‘ che il tracciamento e1 stato fatto in una buca (interrato) ed e ’ difficile vedere oltre in tale situazione. ”).

A fronte ciò, il Collegio osserva che dal complesso delle dichiarazioni del Direttore Lavori, risulta che questi ha assunto su di sé tutte le conseguenze della complessiva operazione che ha poi portato all’accordo con la confinante Viani, avendo oltretutto egli impartito precise direttive all’Impresa, il cui operato al momento dei fatti non è stato contestato.

Per altro profilo, il Collegio osserva che, in realtà, sulla base di tali presupposti il committente C. ha acquisito un duplice vantaggio per effetto della transazione, consistente nel diritto di tenere il solaio rialzato rispetto alle quote di campagna e nel diritto di fruire di una striscia di terreno ulteriore per posizionare le proprie opere: in cambio di ciò, ha sborsato la somma indicata dall’atto stipulato con la vicina Viani ed ha effettuato le opere il cui costo chiede di addebitare alla ALFA.

La Committenza C. ha quindi legittimato e fatto proprio tutto ciò sia mediante la sottoscrizione della convenzione con la vicina Viani; sia mediante la sottoscrizione della variante in corso d’opera presentata in Comune dal Direttore Lavori.

Ritiene il Collegio quindi che la testimonianza del DL sia esaustiva della questione e scrimini l’Impresa ALFA nella vicenda in esame.

XVb ~ Rimane solo ora da affrontare la rilevanza o meno delle prescrizioni contrattuali per le modalità di opposizione dell’imprenditore a ordini o direttive – o semplicemente a prescrizioni progettuali – che impediscano una corretta esecuzione (a regola d’arte) delle opere. Vengono in rilievo, al riguardo, gli articoli IL 12 e 50 del contratto di appalto, che prevedono modalità di comunicazione scritta delle opposizioni o delle contestazioni delF appaltatore e modalità di conferma scritta e congiunta di ordini e disposizioni da parte del Committente e del Direttore Lavori. Sul punto, il Collegio ritiene che le modalità dettate dal contratto di appalto abbiano una valenza solamente ad probatiomm, finalizzata cioè alla dimostrazione da parte dell’appaltatore di essersi attenuto ad ordini provenienti da soggetti legittimati ad evitarne l’incorrere in responsabilità. Ove quindi, come nel caso di specie, vi sia poi conferma diretta od indiretta (per ammissione del DL; per conferma dell’operato da parte della proprietà) non si pone la necessità per l’appaltatore di dimostrare di aver eseguito disposizioni, restando ciò dimostrato da ammissioni ed altri elementi in altro modo acquisiti.

II Collegio, pertanto, conferma il rigetto della domanda sul punto, richiamando oltre ai motivi logico – giuridici sopra esposti anche motivi di equità, scaturenti dalla considerazione che l’appaltatore, pur avendo fedelmente rilevato i problemi appena sopra trattati, non ha subito alcuna contestazione ed è stato tenuto fuori da ogni trattativa con la parte confinante, venendo chiamato solo ora a rispondere di situazioni a lui obiettivamente estranee: non solo, ma essendo chiamato a pagare pur a fronte dell’indubbio duplice vantaggio acquisito dalla proprietà C.. Le considerazioni appena svolte, quindi, corroborano e confortano quindi sotto ulteriore profilo (equità) le conclusioni appena sopra raggiunte.

XVc – Sul presente capo, identificato sub XV, il Collegio delibera a maggioranza e con il voto dissenziente dell’Arbitro M., la quale allega in busta chiusa e sigillata le proprie ragioni al riguardo.

  • – Analogamente il Collegio rigetta la domanda avanzata dalla difesa
  1. in via riconvenzionale nella medesima prima memoria difensiva autorizzala dei 14.09.2009. recante richiesta di risarcimento per € 50.000.00 per “errato posizionamento del fabbricato a distanza inferiore dal confine rispetto alla distanza minima consentita (con costo di demolizione e rifacimento di un ‘intera ala del fabbricato

XVIa – La questione è trattata dal CTU Ing. PE. a pag. 42 della perizia, mediante argomentazioni che il Collegio, anche per ragioni di equità analoghe a quanto esposto nel precedente punto XV, ritiene di condividere non discostandosi dalle risultanze della relazione peritale.

Secondo il CTU ed in sostanza, gli obblighi di tracciamento e di consegna dei lavori gravanti sul DL scriminano, ancora ima volta, l’Impresa ALFA dai rilievi di responsabilità ad essa accollati.

Valga poi, ad ulteriore argomentazione, richiamare anche qui quanto riferito

dal Direttore dei Lavori Ing.CI in sede di assunzione di prova

testimoniale e che si ritrascrive per la parte di interesse: “Rispetto al confine

  1. – B, la distanza e ‘ stata rispettata, mentre rispetto al confine D V la distanza non e ’ stata rispettata. Preciso che, con variante in corso d’opera ho spostato il sedime del fabbricato in sede di progetto esecutivo e di tracciamento rispetto al progetto architettonico depositato in Comune; l‘Impresa ALFA ha seguito le mie indicazioni e, per quanto riguarda il progetto esecutivo, dovrei andare a misurare al centimetro. Preciso pero ‘ che il tracciamento e ‘ stato fatto in una buca (interrato) ed e ’ difficile vedere oltre in tale situazione.

La dichiarazione appare pertanto chiarificatrice per entrambi gli addebiti (confine cd. P., qui in esame; confine Viani, trattato al precedente punto XV).

In disparte poi la genericità della quantificazione del danno, il Collegio ritiene di discostarsi dalle conclusioni del CTU unicamente in ordine alla impossibilità da questi espressa di pronunciarsi “poiché la pratica di abuso è tuttora in corso di esame presso il Comune dì Reggio Emilia ”. Viceversa, ritiene il Collegio che la domanda sia da rigettare per quanto sopra esposto. XVI b – Anche sul presente capo, identificato sub XVI, il Collegio delibera a maggioranza e con il voto dissenziente dell’Arbitro M., la quale allega in busta chiusa e sigillata le proprie ragioni al riguardo.

XVH – Il Collegio ritiene di esaminare congiuntamente i vizi denunciati dal C. nella lettera del 14.11.98 e verificati in sede di accertamento peritale. A tale proposito si veda la relazione del ctu ai punti 2.1, 2.3 e 2.5.

Il Collegio osserva:

in riferimento alle “opere di vario genere” quantificate dal ctu in complessivi € 12.552,99, ritiene il Collegio che € 3.173,44 relativi al difetto esecutivo riguardante la muratura del corsello est e ovest non siano dovuti perché il difetto non è stato tempestivamente denunciato. Si rimarca infatti che non si tratta di vizio occulto trattandosi di difetto facilmente verificabile (il fuori piombo).

Identica valutazione porta ad escludere anche € 1.371,52 relativi a difetti di non perfetto allineamento dei balconi sul lato nord trattandosi di difetto palese e che pertanto risulta assorbito dalla emissione del certificato di regolare esecuzione delle opere (doc,13/~).

Con riferimento invece alla somma indicata in € 8.008,03 che residua per le opere di vario genere, agli € 10.000 relativi al costo di ripristino del solaio corsello, nonché agli € 7.000 relativi ai serramenti, si ritiene che tali vizi siano stati tempestivamente denunciati e verificati nel contraddittorio peritale e conseguentemente si accoglie la quantificazione fattane dal ctu. Pertanto, si accoglie la riconvenzionale C. nella misura di € 25.008.03.

Con riferimento ai diritti di crediti vantati dall’appaltatore, il Collegio ha ritenuto di non affidare a controllo peritale i SAL anteriori al 6°. Tale decisione è stata presa sul presupposto che i primi 5 SAL erano stati approvati e i relativi certificati di pagamenti erano stati emessi conformemente alle prescrizione contrattuale. Il certificato di pagamento, lo stato di avanzamento lavori e il libretto misure risultano sottoscritti dal D.L.. Il Collegio ritiene quindi provato e corrispondente ad equità il riconoscimento dei relativi crediti, a nulla rilevando eventuali e cavillose inadempienze formali sollevate da parte C., senza però allegare né fornire elementi concreti comprovanti la non debenza delle prestazioni indicate nei documenti, né contestare in modo rigoroso e verificabile l’ammontare delle somme richieste o la fornitura di terzi dei materiali effettivamente utilizzati in cantiere. Il Collegio ritiene pertanto dovuto il credito di € 532,16 in relazione al SAL 3; ritiene altresì dovuto, il credito residuo sul SAL 5, in ragione di € 18.445,91.

  • Crediti relativi ai SAL 6 e 7 sono invece stati accertati e verificati a seguito di rigoroso contraddittorio peritale al quale il Collegio ritiene di aderire nella misura indicata in perizia per l’ammontare riconosciuto dal perito di € 39.238,27 per il SAL 6, nonché € 84.275,42 per il SAL

Identica valutazione si ritiene di come per le opere accantonate conteggiate in € 6.830,42.

  • Collegio, equitativamente, ritiene di riconoscere il corrispettivo indicato in perizia per il nolo di gru e ponteggi in € 3.405,13, in quanto se è vero che la decisione di non smontare le opere al momento della consegna lavori è stata comunque presa dall’appaltatrice, è altrettanto vero che tali attrezzature

risultano essere state utilizzate dalle altre imprese subentrate in cantiere XVHI – Ritiene il Collegio che vada respinta la domanda proposta dall’Impresa ALFA di danno da inadempienza contrattuale, generica nella sua formulazione e non provata.

Per contro, va accolta la domanda, avanzata da entrambe le parti, di rivalutazione monetaria, per ragioni di equità: per l’Impresa ALFA, in quanto le somme non corrisposte avrebbero potuto evitare il ricorso al credito fisiologico per l’Impresa in tempo di crisi; per la parte C., in quanto la disponibilità delle somme rivendicate avrebbe permesso rendimenti viceversa preclusi.

XIX — Le spese di Collegio Arbitrale, di Consulenze Tecniche e legali seguono la soccombenza e restano regolate pertanto nella misura e nelle proporzioni, anche secondo equità, in dispositivo stabilite.

PQM

Il   Collegio Arbitrale, riunito in conferenza personale degli Arbitri, definitivamente pronunciando con applicazione di regola di giudizio di  equità nella controversia in epigrafe identificata, ogni altra domanda, eccezione e conclusione respinta, così dispone:

  • Accoglie, per quanto e nei limiti di cui in motivazione, le domande

proposte dall’Impresa ALFA Srl e condanna la parte C. V.al pagamento della complessiva somma di 216.271,54 (euroduecentosedicimiladuecentosettantunovirgola54), oltre IVA nella misura di legge e se dovuta, in favore di detta Società; somma (al netto di IVA) da maggiorarsi di interessi convenzionalmente stabiliti e di rivalutazione monetaria dal di della domanda giudiziale e sino al soddisfo;

  • Accoglie, sempre per quanto e nei limiti di cui in motivazione, le domande riconvenzionali proposte da C. V. e condanna la parte Impresa ALFA Srl al pagamento della complessiva somma di (eurocinquantatremilazerozeroottovirgolazerotre), oltre IVA nella misura di legge e se dovuta; somma (ai netto di IVA) da maggiorarsi di interessi al tasso corrente come da domanda e di rivalutazione monetaria dal dì della domanda giudiziale e sino al soddisfo;
  • Liquida in 000,00 le spese della procedura arbitrale per onorari degli Arbitri, da attribuirsi a ciascuno di essi come per legge, ed in € 75,70 per spese non imponibili (postali) anticipate dal Presidente del Collegio; somme che, in ragione della reciproca soccombenza, pone a carico della parte ALFA per un quinto ed a carico della parte C. per i rimanenti quattro quinti, dedotti gli acconti ricevuti;
  • Pone definitivamente a carico della parte C. e per intero le spese della perizia grafologica, già liquidate con Ordinanza del 3.1.2010 in € 1278,19 oltre oneri fiscali di legge;
  • Pone definitivamente a carico delle parte C. per quattro quinti e ALFA per un quinto le spese della perizia tecnica dell’Ing. PE., già liquidate con Ordinanza del 7.7.2012 in € 19.211,10 oltre oneri fiscali di legge, dedotti gli acconti ricevuti;
  • Liquida in € 25.000,00, oltre oneri fiscali di legge e come da notula, le spese del difensore della parte ALFA, ponendole per i quattro quinti a carico della parte C.;
  • Condanna ciascuna delle parti al pagamento delle somme come sopra liquidate;
  • Dichiara assorbita ogni altra diversa domanda, eccezione e conclusione, quando non si abbia per implicitamente respinta;
  • Conferma l’approvazione all’unanimità dei voti del presente lodo da parte degli Arbitri, ad eccezione dei punti della presente pronuncia in motivazione individuati che vengono approvati a maggioranza, dando atto che le ragioni del dissenso come espresse dall’Arbitro Àw. M. su detti punti restano documentate su unico atto redatto e sottoscritto dalla medesima, nonché dagli Arbitri per ricezione, contenuto in busta chiusa e sigillata che resta conservata a cura del Presidente.
  • Dispone che il presente lodo sia eseguito come per legge.

Cosi deciso in conferenza personale degli Arbitri presso la sede dell’Arbitrato.

Reggio Emilia, lunedi 16.07.2012.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Locazioni. Il malcostume del conduttore che cerca di sottrarsi al pagamento dei canoni per i mesi che precedono il rilascio dell’immobile

“…. il pagamento dei canoni è dovuto fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso, indipendentemente dal fatto che il rilascio sia avvenuto in un momento anteriore”

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 6 aprile – 24 maggio 2017, n. 13092

Fatto e diritto

Rilevato che: comunicata dalla locatrice disdetta di un contratto ad uso diverso per la scadenza del 30.6.2012, i conduttori hanno manifestato, con missiva del 29.7.2011, la volontà di rilasciare anticipatamente l’immobile, provvedendovi nel mese di agosto 2011 e omettendo di pagare ulteriori canoni di locazione; la Corte di Appello – come già il Tribunale – ha individuato nella comunicazione del 29.7.2011 una manifestazione di recesso per gravi motivi e ha confermato la condanna dei conduttori al pagamento dei canoni per mancato preavviso; ricorrono per cassazione i soccombenti, denunciando – con unico motivo – la violazione e falsa applicazione degli artt. 27 I. n. 392/1978 e 1453 cod. civ.. Considerato che: una volta che il locatore abbia comunicato – con la disdetta – la volontà di non rinnovare il contratto, non può riconoscersi al conduttore la facoltà di sottrarsi – mediante rilascio anticipato e in mancanza di diverso accordo col locatore – al pagamento del canone dovuto fino alla scadenza (cfr. Cass. n. 17681/2011, conforme a Cass. n. 19478/2005); peraltro, resta salva la possibilità per il conduttore di esercitare (ove ne ricorrano le condizioni) il recesso per gravi motivi, con obbligo di pagamento dei canoni fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso, indipendentemente dal momento (eventualmente anteriore) di materiale rilascio dell’immobile (cfr. Cass. n. 25136/2006 e Cass. n. 12157/2016); ne consegue che, intervenuta la disdetta del locatore, il conduttore è tenuto al pagamento dei canoni fino alla scadenza del contratto, salva la possibilità di esercitare ricorrendone le condizioni – il recesso per gravi motivi ex art. 27, ult. co. L. n. 392/78 e fermo restando che, in questo caso, il pagamento dei canoni è dovuto fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso, indipendentemente dal fatto che il rilascio sia avvenuto in un momento anteriore. La Corte di merito si è attenuta a questi principi, effettuando una lettura della comunicazione della parte conduttrice in termini di esercizio del recesso che risulta del tutto plausibile e che non ha affatto pregiudicato la posizione degli odierni ricorrenti (giacché, in caso diverso, i conduttori sarebbero rimasti tenuti al pagamento dei canoni fino alla naturale scadenza del contratto conseguente alla disdetta); il ricorso va pertanto rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite; trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13. Motivazione semplificata.

Contrattualistica. Clausole vessatorie, l’approvazione in blocco le rende inefficaci

“Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle  che non hanno carattere oneroso, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, delle clausole vessatorie.”

In un’epoca in cui il consumatore è continuamente sollecitato ad assumere impegni contrattuali mediante adesione a moduli prestampati  scarsamente intelleggibili (ad es. i contratti per l’erogazione dei servizi o per l’acquisto di prodotti  on-line) è certamente importante acquisire informazioni per difendersi dalle aggressioni dei sempre più incalzanti  e abili procacciatori o dalle offerte veicolate dalla rete .

Costituisce ormai un principio acquisito nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che l’adempimento della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie può dirsi assolto soltanto quando le stesse siano oggetto di un’approvazione separata, specifica e autonoma, distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni dell’accordo. Il requisito assolve in tal modo alla finalità di richiamare l’attenzione del contraente debole verso il significato di quella determinata specifica clausola a lui sfavorevole, sicché esso può reputarsi assolto soltanto quando la sottoscrizione avviene con modalità idonee a garantire tale attenzione.

Numerose sentenze si sono susseguite nell’ultimo decennio a tale proposito  (tra le altre Cass. n. 9492/2012, Cass. n. 24262/2008, Cass. n. 5733/2008, Cass. n. 7748/2007, Cass. n. 4452/2006, Cass. n. 13890/2005 )-

Riassumiamo qui i tratti salienti di due pronunce tra le più recenti.

Il Trib.le di Reggio Emilia (Sent. 30.10.2014 ) è stato  chiamato a decidere una controversia in cui una Banca aveva risolto un contratto di leasing in seguito al mancato pagamento di alcuni canoni da parte dell’utilizzatore Alfa, ed era rientrata in possesso di beni. Il curatore del fallimento Alfa aveva evocato in giudizio la  Banca e, sul presupposto della natura traslativa del leasing e quindi dell’applicazione analogica dell’articolo 1526 c.c. aveva chiesto la restituzione dei canoni versati, con deduzione dell’equo compenso per l’uso dei beni ( nella specie era stato pagato l’86% dei canoni pattuiti).

La Banca nel costituirsi in giudizio eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito, richiamando la clausola contrattuale che prevedeva la competenza esclusiva del Foro di Milano.

Il Tribunale ha ritenuto, a questo proposito, l’inefficacia dell’approvazione della clausola, perché l’approvazione di tutte le clausole del contratto, “comprese anche quelle non vessatorie, integra un riferimento generico che priva l’approvazione della specificità e della separatezza richiesta dall’art. 1341 cc rendendo difficoltosa la selezione e la conoscenza delle clausole a contenuto realmente vessatorio, in quanto la norma richiede non solo la sottoscrizione separata ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l’attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate”

Lo stesso principio aveva affermato la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con sentenza n. 2970/12 accogliendo il ricorso della parte che assumeva che non potevano essere considerate vessatorie, in particolare, le clausole contrattuali disciplinati il corrispettivo, i tempi di esecuzione del contratto e le penali e la risoluzione del rapporto e, tra le condizioni generali, quella attinente alla documentazione ed al criterio di prevalenza, di conoscenza delle condizioni di esecuzione, in materia di inadempienze. Ha ribadito, quindi, con riferimento all’ipotesi in cui la distinta sottoscrizione richiami più condizioni generali di contratto, che l’adempimento in parola può ritenersi realizzato soltanto nel caso in cui tutte le clausole richiamate siano vessatorie, mentre il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l’elencazione delle stesse secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia, ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, di quelle onerose.

 

Alimenti. Contraffazione della scadenza . Responsabilità per frode

Alimenti. Ritenuta la responsabilità per frode in commercio anche del dipendente

Cassazione, sentenza n. 3394/2017, Sezione Terza Penale

In un supermercato è stata rilevata una frode dovuta alla correzione della  scadenza di alcuni prodotti alimentari posti in vendita.  Il dipendente si è difeso  affermando di essersi limitato ad eseguire l’ordine impartito dalla responsabile della struttura.

Entrambi però sono stati ritenuti responsabili .

Secondo la Corte, infatti, non è invocabile l’esimente dello stato di necessità ( di cui all’articolo 54 del codice penale) per avere il ricorrente agito, in qualità di lavoratore dipendente, in quanto costretto dalla necessità di non perdere il posto di lavoro. Non è stato ritenuto ricorrere , nella specie, l’elemento essenziale, ai fini dell’operatività della scriminante, dell’inevitabilità del pericolo che, invece, poteva essere facilmente evitato, come hanno sottolineato i giudici del merito, denunziando la condotta illecita della responsabile della struttura, cosicché il ricorrente avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori, posto che la predetta aveva anche in precedenti  occasioni e nei confronti di altri lavoratori impartito analoghi ordini illegittimi.
Testo della sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2016 – 24 gennaio 2107, n. 3394 Presidente Amoresano – Relatore Di Nicola

Ritenuto in fatto

  1. A. T. e F. P. C. ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Palermo ha confermato per la prima e parzialmente riformato per il secondo la sentenza del tribunale di Palermo che aveva condannato i ricorrenti per il reato di cui agli articoli 56, 110, 515 del codice penale, perché, in concorso tra loro, la prima nella qualità di dipendente della “GI.DI. Giacalone distribuzione SRL” e responsabile del punto vendita “Eurospin” con sede in Palermo, e il secondo quale dipendente subordinato alla prima, detenevano per la vendita prodotti alimentari con la data di scadenza alterata, nella specie rappresentati da una decina di confezioni di hot dog, così compiendo atti idonei in modo non equivoco a commettere il reato di frode nell’esercizio del commercio non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà, in Palermo in data anteriore e prossima al dicembre 2009. 2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza i ricorrenti sollevano le seguenti doglianze, qui enunciate ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. La T., con un unico mezzo di annullamento, lamenta la violazione della legge processuale e il difetto di motivazione per aver la Corte d’appello fondato il giudizio di colpevolezza sulle propalazioni accusatorie del coimputato, C. F. P., erroneamente ritenute pienamente attendibili sotto il profilo intrinseco, nonché estrinsecamente riscontrate in modo individualizzante, senza aver, e in violazione dell’articolo 194 del codice di procedura penale, proceduto all’esame dei testi de relato, che avrebbero fornito le informazioni alle fonti utilizzate ai fini del riscontro e, prima ancora, senza che nel processo emergessero i nomi delle fonti dichiarative dirette, confezionando in tal modo una motivazione manifestamente illogica e lacunosa, in relazione ai fatti processualmente affermati. 2.2. Il C., con un primo motivo, denunzia la violazione di legge per eccesso di potere nonché, con un secondo motivo, lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale per insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sul rilievo che non sarebbe possibile affermare che il ricorrente avesse, nella evidente e provata compromissione totale del suo libero discernimento, cognizione dell’antigiuridicità penale del comportamento impostogli dal diretto superiore sicché, non essendo stato ritenuto applicabile il disposto dell’art. 54 del codice penale, la motivazione confezionata dai giudici del merito si segnalerebbe per difetto di coerenza interna. Deduce, con un terzo motivo, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità, e decadenza sul rilievo che non sarebbe stato provato in alcun modo che il ricorrente fosse il responsabile del banco frigo e neppure potevano essere utilizzate in tal senso le dichiarazioni auto accusatorie dell’imputato che avevano una valenza esclusivamente contra alios e giammai contra se. Con il quarto motivo, il ricorrente eccepisce la mancata assunzione di prova decisiva e, con il quinto motivo, lamenta la mancanza della motivazione in ordine all’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.

Considerato in diritto

  1. I ricorsi non sono fondati. 2. Il primo ed il quarto motivo di impugnazione del C. sono inammissibili in quanto aspecifici. Al di là infatti della loro difficile comprensione, le censure sono state sollevate per la prima volta nel giudizio di legittimità e comunque non si concentrano su punti determinati della decisione impugnata cosicché non svolgono alcuna funzione critica rispetto all’apparato argomentativo della decisione censurata, non consentendo, in tal modo, al giudice dell’impugnazione di operare l’auspicato controllo sulla sentenza impugnata. 3. Il quinto motivo di impugnazione proposto dal C., circa il difetto di motivazione in ordine alla negata applicazione della causa di non punibilità (ex articolo 131-bis del codice penale), è inammissibile per manifesta infondatezza, posto che la Corte territoriale ha correttamente osservato che, sebbene il Tribunale avesse ritenuto di applicare la sola pena pecuniaria, la condotta dell’imputato conservasse un apprezzabile offensività per la pericolosità intrinseca della sua condotta, che aveva cagionato un vulnus alla sicurezza del mercato alimentare. La circostanza che il tentativo di frode posto in essere dall’imputato non sorti effetti pregiudizievoli in ragione del fatto che la sua condotta fu sventata prima di essere consumata, non esclude la obiettiva gravità della frode realizzata su diverse confezioni di Hot Dog ed estrinsecatasi in una condotta che aveva esposto a rischio l’incolumità e la salute di un elevato numero di potenziali consumatori. La motivazione, oltre a possedere i requisiti della adeguatezza e della logicità, è corretta anche in diritto perché l’articolo 131-bis del codice penale richiede, ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, l’esiguità non solo del danno ma anche del pericolo di offesa al bene tutelato. 4. I restanti motivi, rispettivamente sollevati dai ricorrenti, possono essere congiuntamente esaminati, essendo tra loro strettamente connessi. Essi sono infondati. Per rendersene conto è sufficiente considerare come il C., all’epoca pacificamente responsabile del banco frigo del supermercato, riconobbe, per quanto emerge dal testo della sentenza impugnata, di essere l’autore materiale della condotta contestatagli, affermando, tuttavia, di aver agito su ordine impartitogli dalla T., ordine al quale avrebbe ottemperato per timore di subire ritorsioni sul luogo di lavoro da parte della coimputata. Quest’ultima, in occasione del proprio interrogatorio davanti alla P.G., e in sede di spontanee dichiarazioni, negò di aver posto in essere la condotta contestatale affermando di non aver mai dato delle direttive specifiche al dipendente quanto all’alterazione delle date di scadenza di confezioni di hot dog. 4.1. La Corte d’appello, con logica ed adeguata motivazione, ha ritenuto, quanto alla posizione della T., che la chiamata in correità del C. dovesse ritenersi intrinsecamente attendibile, in quanto quest’ultimo non aveva manifestato ragioni di risentimento nei confronti della coimputata, tali da poterlo indurre a formulare accuse calunniose, e le sue dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio, e poi in udienza, si erano mantenute costanti e coerenti. Il C., poi, non aveva alcun» precipuo interesse a operare la contraffazione in questione onde, secondo la Corte di appello, la verosimiglianza che fosse stato indotto a porre in essere la condotta illecita su indicazione del suo diretto superiore che, pur non avendo potere di licenziamento, poteva provocare un giudizio negativo nei suoi confronti ed in estrema ipotesi indurre la dirigenza ad un suo licenziamento, avendo poteri di vigilanza sul personale dell’unità operativa. Inoltre, la Corte del merito ha sottolineato come la chiamata in correità del C. avesse trovato significativo riscontro nelle dichiarazioni del teste G., amministratore giudiziario della società GI.DI S.r.l. il quale aveva confermato che la T., quale responsabile del punto vendita in questione, si occupava di diverse funzioni, tra cui anche quella di controllare le date di scadenza dei prodotti esposti in vendita all’interno del supermercato e di segnalare eventuali carenze nella produttività del personale dipendente. A specifica domanda il teste aveva anche confermato di avere ascoltato tutti i dipendenti e di avere appreso che il C. aveva operato su richiesta e determinazione della T. riferendo di avere intrapreso, sulla scorta di tali informazioni, un procedimento disciplinare conclusosi con il licenziamento di quest’ultima, anche in ragione di altre violazioni, e una diversa sanzione disciplinare nei confronti dei lavoratori che avevano ottemperato alle sue prescrizioni illecite. La C., coadiutore dell’amministratore giudiziario e responsabile amministrativa della “GI.DI. Giacalone Distribuzione S.r.l.”, aveva, a sua volta, ricordato che erano stati rinvenuti nei banchi frigo circa una decina di confezioni di hot dog, pronti per la vendita, sui quali era stata contraffatta la data di scadenza, la quale era in origine anteriore di circa venti giorni, e nel magazzino furono rinvenuti i materiali utilizzati per cancellare l’originaria scadenza riportata sulle confezioni, riferendo altresì di avere sentito diversi dipendenti del punto vendita, i quali avevano confermato che la T. aveva dato, anche in altre occasioni e a soggetti diversi dal coimputato C., disposizioni di contraffare le date di scadenza dei prodotti alimentari, soprattutto nel caso in cui si trattava di prodotti in giacenza nel magazzino. La teste aveva ricordato che alcuni lavoratori presentarono al riguardo un documento scritto. Dalle concordanti informazioni offerte dai testi G. e C., i quali non avevano alcun interesse a riferire cose diverse da quelle apprese direttamente sul luogo di lavoro dai dipendenti dell’azienda, la Corte distrettuale ha tratto il corretto convincimento circa l’idoneità delle stesse a fungere da riscontro individualizzante alla chiamata di correità dell’imputato C., sottolineando che la testimonianza de relato, quale quella in oggetto, non è utilizzabile soltanto se, a richiesta della difesa, il giudice non dispone la citazione dei testi alle cui dichiarazioni è stato fatto riferimento, ma dall’esame dei verbali di udienza non emerge che la difesa avesse avanzato tale istanza, sebbene fosse agevole procedere all’identificazione dei lavoratori dipendenti del punto vendita. 4.2. Quanto alla posizione del C., alle rimostranze circa la mancanza dell’elemento soggettivo del reato ed al fatto di essere stato l’imputato costretto ad agire per l’ordine illegittimo impartito dalla coimputata, la Corte del merito ha affermato, condividendo l’analogo approdo cui era giunto il tribunale, che la giustificazione del C. di aver osservato l’ordine illecito impostogli dalla T. per timore di subire ritorsioni lavorative poteva essere presa in considerazione nel caso in cui ad ordinare la condotta vietata fosse stato un soggetto che rivestisse una posizione apicale nell’organigramma aziendale, in quanto il lavoratore non avrebbe avuto altri superiori ai quali denunciare il comportamento illecito impostogli. Tuttavia, nel caso in esame, il C. avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori, posto che la T. aveva avanzato richieste irregolari anche nei confronti di altri dipendenti del supermercato e che alcuni di essi si erano rifiutati di adempiere alle sue indebite pretese. Sulla base di ciò, quindi, la Corte territoriale ha escluso che ricorressero, nel caso di specie, i presupposti della scriminante dello stato di necessità poiché, anche a voler ritenere che l’imputato avesse soggettivamente ritenuto di correre il pericolo di essere licenziato o di subire un pregiudizio nella sua posizione lavorativa in seguito al rifiuto opposto alla direttrice, certamente non ricorreva l’altro presupposto della scriminante ossia l’inevitabilità del pericolo che avrebbe potuto essere evitato, appunto, denunziando la condotta illecita della T.. Peraltro, il giudizio di responsabilità a carico dell’imputato è stato fondato sulla sua ampia confessione di essere stato l’autore materiale della contraffazione, in ragione della specifica richiesta avanzatagli dal suo diretto superiore, la coimputata T., cosicché neppure è giustificata la doglianza circa la carenza dell’elemento soggettivo, mentre la censura circa l’inutilizzabilità cantra se delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie, oltre ad essere nuova e pertanto non ammissibile, è destituita di qualsiasi fondamento, trattandosi di confessione assunta senza alcuna violazione di norme processuali. 5. L’approdo cui è giunta la Corte del merito è dunque ineccepibile perché, quanto al fulcro della doglianza sollevata dalla T., la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di testimonianza indiretta, il divieto posto dal comma settimo dell’art. 195 cod. proc. pen. non opera in maniera automatica ma solo quando il testimone non sia in grado di fornire elementi idonei ad una univoca ed immediata identificazione della fonte delle informazioni da lui riferite, e non sia possibile discutere, sulla base di dati certi e non seriamente controvertibili, dell’esistenza ed attendibilità di tale fonte (Sez. 6, n. 37370 del 14/05/2014, Romeo, Rv. 260251). Ne consegue che costituisce onere della parte richiedere l’esame del teste de relato, cosicché l’imputato, qualora abbia mostrato disinteresse alla conoscenza della fonte diretta, consentendo la legittima acquisizione del dato processuale costituito dal contenuto della prova orale, non può poi dolersi del fatto che, non essendo stata riferita nominativamente la fonte dalla quale il fatto sia stato appreso, non sia stato possibile escuterla e così inficiando il contenuto della testimonianza indiretta, con l’ulteriore conseguenza che l’onere di richiedere l’esame della fonte diretta vale tanto nel caso in cui questa sia nominativamente indicata, quanto nel caso in cui, come nella specie, sia facilmente identificabile ed alla sua identificazione non si sia pervenuti per il disinteresse mostrato dal soggetto cui la legge attribuisce il potere di chiedere l’esame del teste diretto. E’ pertanto esatta l’affermazione secondo la quale la dichiarazione de relato non è utilizzabile soltanto se, a richiesta della parte interessata, il giudice non abbia disposto la citazione dei testi identificati o facilmente identificabili alle cui dichiarazioni sia stato fatto riferimento (nel caso di specie, tanto il G. quanto la C. avevano riferito di aver appreso il fatto dichiarato, ossia dell’ordine illegittimo impartito dalla T. al C., da tutti i lavoratori del supermercato, dei quali era agevole procedere all’identificazione trattandosi di dipendenti del punto vendita). Né rilevano, al cospetto di una prova dichiarativa ampiamente riscontrata, le affermazioni, che si risolvono in censure fattuali il cui ingresso non è consentito nel giudizio di legittimità, circa l’interesse che il C. avrebbe avuto nell’accusare la T. e dell’eventuale assenza da parte di quest’ultima di un movente che avesse potuto sostenere la condotta denunciata dalla fonte di prova. Allo stesso modo, non è invocabile l’esimente dello stato di necessità, di cui all’articolo 54 del codice penale, per avere il ricorrente agito in qualità di lavoratore dipendente, in quanto costretto dalla necessità di non perdere il posto di lavoro. Infatti, non ricorre, nella specie, l’elemento essenziale, ai fini degl’operatività della scriminante, dell’inevitabilità del pericolo che, invece, poteva essere facilmente evitato, come hanno sottolineato i giudici del merito, denunziando la condotta illecita della T., cosicché il ricorrente avrebbe potuto rifiutarsi di ottemperare all’ordine illecito impostogli e avrebbe potuto denunciare l’accaduto ad altri suoi superiori, posto che la T. aveva anche in diverse occasioni e nei confronti di altri lavoratori impartito analoghi ordini illegittimi. Neppure risulta applicabile la scriminante di cui all’articolo 51 del codice penale perché, secondo un risalente ma ancora valido indirizzo della giurisprudenza di legittimità, tale disposizione, che trova la sua giustificazione nel divieto imposto ai cittadini di sindacare le norme giuridiche e di disubbidire agli ordini legittimi della pubblica autorità, considera non punibili i fatti preveduti dalla legge come reati, se siano commessi per adempiere ad un dovere derivante da tali norme ed ordini. Tuttavia, gli ordini, come si evince dalla precisa e chiara formulazione della legge, debbono emanare da una pubblica autorità, il che significa che i rapporti di subordinazione presi in considerazione sono esclusivamente quelli che sono previsti dal diritto pubblico. Nei rapporti di diritto privato, tra i quali sono compresi quelli che intercorrono tra i privati datori di lavoro e i loro dipendenti, non è applicabile la causa di giustificazione sopra indicata, perché manca un potere di supremazia, inteso in senso pubblicistico, del superiore riconosciuto dalla legge (Sez. 6, n. 133 del 22/10/1971, dep. 1972, Alunni, Rv. 119833). 6. Consegue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

Reati tributari – Omesso versamento di IVA – Confisca del profitto

Reati tributari – Omesso versamento Iva (art. 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000) – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente verso organi della persona giuridica non estranea al reato

La pronuncia in commento si inserisce nel solco della controversa vicenda relativa alla distinzione tra sequestro diretto e sequestro per equivalente, aventi entrambi finalità di confisca. La tematica è da qualche anno a questa parte una tra le più dibattute da dottrina e giurisprudenza, stanti le importanti ricadute anche e soprattutto sul piano del diritto quotidianamente praticato nelle aule giudiziarie.

In particolare, i giudici della Terza sezione di Cassazione hanno ricostruito – anche alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite nel caso Gubert – i rapporti tra sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell’indagato e sequestro sul patrimonio dell’Ente in tema di reati tributari.

La problematica non è di poco conto atteso che, nella maggior parte dei casi di illecito fiscale, la persona fisica-autore del reato non coincide con il reale beneficiario dell’evasione delle imposte sui redditi o dell’Iva.  Allorché il contribuente sia una persona giuridica, infatti, l’Ente rappresentato dall’autore del reato, pur essendo soggetto ontologicamente differente, trae giovamento dai benefici fiscali derivanti dalla commissione dell’illecito.

La domanda che ne consegue, pertanto, è se, ed in quali circostanze, la divergenza soggettiva nello schema di commissione del reato testé delineato possa riflettersi sull’individuazione del soggetto su cui far ricadere gli effetti della misura cautelare reale finalizzata alla confisca del profitto.

Ebbene, nelle ipotesi tipicamente ricorrenti in materia di reati tributari – come nel caso di omesso versamento d’Iva previsto dall’art. 10 ter D.Lgs. 74/2000 – la Terza Sezione della Cassazione è ormai decisamente propensa a ritenere possibile la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica per reati commessi dal legale rappresentante della stessa; confisca da intendere non già per equivalente bensì in via diretta e, dunque, legittima, laddove avente ad oggetto beni fungibili come le somme di denaro.

Dott. Matteo Gambarati

Testo della sentenza

Cassazione penale, Sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano – Rel. Manzon – P.M. Gaeta (diff.) – Ric. P.P. (Avv. di Santo)Annulla con rinvio Trib. Foggia 24 luglio 2015

 

Omissis. – Ritenuto in fatto: 1. Con ordinanza in data 24/07/2015 il Tribunale di Foggia rigettava la richiesta di riesame proposta da P.P. avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP presso il Tribunale stesso in data 11/05/2015 avente ad oggetto beni dell’indagato.

Rilevava il Tribunale che, essendo sufficiente ai fini cautelari l’astratta configurabilità di un reato (nel caso di specie quello di cui al D.L. n. 74 del 2000, art. 10 ter, anno di imposta 2011, Euro 340.429,00 IVA non versata), la mancata escussione preventiva del patrimonio dell’Ente rappresentato dall’indagato (effettivo contribuente) non potevasi considerare condizione di validità del disposto sequestro. Soggiungeva che l’estraneità al reato del P. avrebbe dovuto essere oggetto del giudizio meritale, non potendosene comunque escludere il dolo. Infine affermava la non revocabilità del sequestro essendo finalizzato, ancorché “per equivalente”, alla confisca obbligatoria né la sostituibilità dei beni sequestrati, stante il disposto dell’art. 324 c.p.p., comma 7.

  1. Avverso tale decisione, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso per cassazione il P. deducendo un unico motivo articolato in diversi profili di violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter e art. 322 ter c.p.

2.1 Anzitutto censura l’ordinanza impugnata, affermando di non essere l’autore del reato in quanto non firmatario della correlativa dichiarazione annuale IVA, a suo dire non bastando a tal fine la qualifica rivestita di legale rappresentante pro tempore dell’Ente societario soggetto passivo di tale imposta. Il ricorrente si duole della non adeguatezza sul punto della motivazione del Tribunale, a suo dire limitatosi ad un recepimento acritico della tesi accusatoria, senza adeguata ponderazione dei contrari elementi addotti difensivamente.

2.2 Il P. poi lamenta la mancata preventiva escussione del patrimonio dell’Ente rappresentato, affermando la sequestrabilità del patrimonio dello stesso. – Omissis. Considerato in diritto: 1. Il ricorso è fondato.

1.1 Il complesso motivo di ricorso proposto, pur essendo inammissibile per il profilo articolato in ordine agli aspetti inerenti il merito dell’imputazione provvisoria, pacificamente non sindacabili da questa Corte, risulta dirimentemente accoglibile per gli altri profili dedotti.

1.2 Si deve rilevare in premessa che avverso le ordinanze emesse dal Tribunale in sede di riesame ex art. 324 c.p.p., è prevista dall’art. 325, stesso codice, la possibilità del ricorso per cassazione, ma soltanto per violazione di legge. Peraltro la giurisprudenza consolidata di questa Corte ravvisa tale vizio anche nella mancanza assoluta di motivazione o per la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p. – che impone la motivazione anche per le ordinanze – ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art. 606 c.p.p., lett. e) (cfr. Cass., S.U., n. 5876 del 28.1.2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv.226710). Sempre le S.U. di questa Corte hanno anche specificato che nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (sentenza n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, Rv. 25932).

Nel caso concreto la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta affetta dalle carenze suindicate e deve quindi affermarsi non conforme allo standard previsto dalle norme processuali correlative ed in particolare da quella di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, apparendo tale radicale vizio motivazionale sussistente rispetto ad entrambi i primi due profili della censura articolata dal ricorrente.

1.3 Ciò anzitutto deve essere rilevato rispetto al punto motivazionale inerente la sussistenza del fumus commissi delicti.

Il Tribunale ha in merito evocato risalenti ed ormai superati precedenti giurisprudenziali di questa Corte, essendosene evoluto il correlativo indirizzo ermeneutico nel senso che «Nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell’individuazione del “fumus commissi delicti“, non è sufficiente la mera “postulazione” dell’esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice, nella motivazione dell’ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale» (così, ex multis, Cass., sezione quinta, n. 28515 del 21/05/2014, Ciampani e altri, Rv. 260921).

La difesa del P. aveva posto delle questioni in ordine alla ascrivibilità del reato fiscale de quo all’indagato/sequestrato. Si tratta di specifiche argomentazioni difensive, concernenti i tempi e le modalità di assunzione da parte del P. del mandato rappresentativo dell’Unione Sportiva Foggia spa, il fatto che egli non abbia firmato la dichiarazione IVA relativa al 2011, l’assenza dell’elemento soggettivo. Su tali questioni il Tribunale del riesame foggiano non ha risposto (limitandosi alla mera presa d’atto della tesi accusatoria ovvero adducendo una motivazione postergatoria e comunque meramente apparente) mentre, alla luce di detto orientamento della giurisprudenza di questa Corte, doveva farlo.

1.4 Ancor più inconsistente risulta essere la motivazione dell’ordinanza impugnata sul secondo profilo dedotto dal ricorrente, incentrato sulla mancata previa escussione del patrimonio della società rappresentata dall’indagato, limitandosi a citare un unico precedente di legittimità, anch’esso ampiamente superato nell’evoluzione giurisprudenziale di questa Corte in tema di sequestro preventivo “diretto” e per “equivalente”.

Per vero, tuttavia nemmeno il ricorrente pone la questione nei suoi esatti termini giuridici.

Non si tratta infatti di affermare un insussistente beneficium excussionis in favore delle persone fisiche che, agendo quali rappresentanti legali di persone giuridiche, siano autori di reati fiscali del cui profitto si implementi il patrimonio degli Enti rappresentati, quanto piuttosto, ai fini della rispettiva operatività, di distinguere le due tipologie di sequestro preventivo previste dagli artt. 321 c.p.p., comma 2 bis, in riferimento all’art. 322 ter c.p., commi 1 e 2, ossia, a detti fini, di distinguere tra sequestro preventivo “diretto” del profitto del reato fiscale e sequestro preventivo “per equivalente”.

In questo senso ha fatto definitiva chiarezza la sentenza delle S.U. penali di questa Corte n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, sia in termini generali sia, per ciò che appunto rileva nel caso in oggetto, relativamente alla corretta consecuzione giuridico- procedimentale tra le due tipologie di sequestro finalizzato alla confisca.

Tale arresto nomofilattico in particolare (punto 2.10 del Considerato in diritto) ha statuito che “È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica”.

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio”.

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”.

“La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”.

Risulta dunque evidente che nel caso di specie tali principi di diritto siano stati violati, essendosi fatta applicazione erronea delle norme processuali e sostanziali evocate dal ricorrente. Il Tribunale di Foggia infatti, come detto richiamando un precedente nemmeno effettivamente pertinente, non ha minimamente considerata la possibilità, pure concretamente prospettata dal ricorrente stesso, che la misura cautelare reale preventiva potesse e possa essere attuata “direttamente” sul patrimonio dell’Ente rappresentato, quale percettore/detentore del profitto del reato fiscale ossia della somma pari a quella non versata per l’Iva dovuta in relazione all’anno d’imposta 2011. Ma questa carenza motivazionale è chiara conseguenza delle violazioni di legge che sono state sopra rilevate.

  1. In conclusione l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Foggia affinché, considerati i principi di diritto enunciati, proceda a nuovo riesame della misura cautelare in oggetto. – Omissis.

Le registrazioni audio e video fatte col cellulare tra i presenti costituiscono prova documentale lecita e perfettamente utilizzabile nel processo

Registrazioni audio e video effettuate tra presenti, valore di prova nel processo (Corte di Cassazione III Sezione Penale Sentenza n. 5421/2017)

Testo della sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale Sentenza 12 maggio 2016 – 3 febbraio 2017, n. 5241  Presidente Ramacci – Relatore Socci

Ritenuto in fatto  1. Il Tribunale di Perugia, sezione per il riesame, con ordinanza del 23 febbraio 2016, confermava l’ordinanza, del Giudice per le indagini preliminari di Perugia del 4 febbraio 2016, di applicazione nei confronti di T.S. , degli arresti domiciliari, per i reati di cui agli art. 319 quater cod. pen. (capo A) e 609 bis comma 2, n. 1 e 609 septies, comma 4, n. 3 e 4 cod. pen. (capo B),per aver indotto la prostituta P.A.A. ad avere rapporti sessuali, e abusando della sua inferiorità psichica per aver indotto indebitamente M.M. ad avere con lui in due circostanze rapporti sessuali; in (omissis) ; il T. era Brigadiere dei C.C. addetto alla stazione di (omissis) .

  1. Ricorre in Cassazione T.S. , tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p..  2.1. Violazione di legge, art. 319 quater del cod. pen.; vizio di motivazione per manifesta illogicità, mancanza e contraddittorietà. T. a dire dell’ordinanza impugnata si sarebbe adoperato in favore della P. ove ci fossero stati problemi con i clienti della prostituta (prospettazione abusiva per l’induzione indebita). L’attività di controllo e di protezione, invece, è un’attività doverosa delle forze dell’ordine e il reato di cui all’art. 319 quater cod. pen. si verifica solo nelle ipotesi di prospettazione di disattendere i propri doveri con indebito vantaggio. La mera rappresentazione da parte del ricorrente di impiegare le sue prerogative di carabiniere a salvaguardia della P. non poteva essere inserita nel paradigma punitivo dell’art. 319 quater del cod. pen.. Manca inoltre un vantaggio indebito per la P. , in vista del quale ella avrebbe concesso i suoi favori sessuali. La maggiore tranquillità e sicurezza nell’esercizio dell’attività meretricio – costituiva una legittima pretesa della P. . Nessuna risorsa appetibile avrebbe costituito la condotta del ricorrente per la P. , e la stessa quindi non sarebbe stata minimamente condizionata dalla prospettazione di generica protezione e tranquillità. Non è spiegato nell’ordinanza impugnata come la condotta del ricorrente avesse espresso efficacia condizionante della condotta della P. . Dagli atti emerge la condizione di assoluta regolarità amministrativa della P. , regolarmente soggiornante in Italia.

2.2. Violazione di legge, art. 609 bis comma 2, n. 1 del cod. pen. sulla conoscenza da parte del ricorrente delle condizioni di inferiorità psichica della parte offesa. Vizio di motivazione. La conoscenza dello stato di inferiorità è il presupposto logico giuridico della norma. Lo stesso deve essere conosciuto e utilizzato dal soggetto per la realizzazione del delitto. L’ordinanza impugnata nella motivazione ritiene la conoscenza dello stato di minorazione psichica della vittima, con un ragionamento circolare, ovvero “conosceva perché non poteva ignorare”. Gli accertamenti medici sulla M. sono successivi ai fatti dell’imputazione (disfunzionalità emotive). Da immagini estratte da Facebook la M. non  appariva affatto gravata da disturbi relazionali.

2.3. Difetto assoluto di motivazione sul concreto ed attuale pericolo di recidivanza criminosa ex art. 274, lettera C del cod. proc. pen.. T. era già sospeso dal servizio e quindi nell’impossibilità di godere della funzione per commettere reati della stessa specie. La motivazione dell’ordinanza che afferma la mancata produzione della sospensione dal servizio è errata poiché normativamente (art. 915 del d. lgs. n. 66 del 2010 – codice dell’ordinamento militare-) la sospensione precauzionale dall’impiego è sempre disposta nei confronti del militare sottoposto a misure cautelari limitative della libertà personale. Ha chiesto quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è infondato e deve respingersi con condanna del ricorrente alle spese del procedimento. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995). La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure restrittive della stessa. Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare. L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511). A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si è, al riguardo, affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598). Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

3.1. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per Cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019). Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685; Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015 – dep. 03/03/2016, Berlingeri, Rv. 266765).

3.2. Dall’analisi della motivazione dei due provvedimenti (quello impugnato del tribunale e quello del Giudice delle indagini preliminari) non si rinvengono carenze motivazionali e la tesi prospettata dal ricorrente (carenza di gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 del cod. proc. pen.) non trova elementi certi negli atti, e né gli stessi, del resto, sono indicati nell’atto di impugnazione, e quindi sono solo ipotesi teoriche, non valutabili in sede di legittimità. Gli elementi indicati dai due provvedimenti, sono gravi, univoci e convergenti nell’indicare il ricorrente autore dei fatti, e di altri fatti anche più gravi ancora in accertamento, descritti nell’imputazione.

  1. L’ordinanza impugnata evidenzia con motivazione adeguata, non contraddittoria e senza manifeste illogicità che il ricorrente aveva anche filmato integralmente gli incontri sessuali con le donne (oltre a quelle di cui all’imputazione anche per altre donne), e dalla visione del filmato e dal contenuto del colloquio emergevano in maniera inconfutabile (documentati dallo stesso indagato con i video) i gravi indizi dei reati in contestazione. Per il capo A, art. 319 quater cod. pen. il Tribunale analizza tutto il colloquio con la prostituta e nello stesso la P. stessa usava esplicitamente il termine “abuso”, di fronte alle richieste di prestazioni sessuali senza il pagamento, e senza protezione, che la P. invece pretendeva (sia il pagamento e sia la protezione). La stessa del resto non si era recata in caserma per offrire i suoi favori sessuali, ma per denunciare una vicenda di persecuzione. Il Tribunale poi correttamente qualifica la condotta come induzione indebita, art. 319 quater cod. pen., come chiarito da questa Corte di Cassazione: “Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. (In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta)”. (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera e altri, Rv. 258470). I vantaggi della prostituta sono correttamente individuati dal Tribunale “…sia in relazione ai controlli che ella avrebbe potuto subire ad opera dei militari dell’Arma, sia in relazione ai pericoli che sarebbero potuti provenire da clienti molesti e pericolosi”. Inoltre in altro video il ricorrente ottiene prestazioni sessuali da una sudamericana che doveva eleggere domicilio per un procedimento a suo carico per furto (rapporto orale).
  2. Per il capo B, art. 609 bis, comma 2, n. 1, e 609 septies, comma 4, n. 3 e 4 del cod. pen., il Tribunale con motivazione adeguata, non contraddittoria e non manifestamente illogica, anche qui con la visione del filmato realizzato dallo stesso indagato, ritiene che “… era impossibile per un uomo adulto non comprendere che la M. era una donna estremamente debole e suggestionabile”; inoltre la M. e l’indagato si conoscevano da molto perché collaboravano ad una manifestazione, “festa dei giochi delle porte”. La stessa poi sentita riferiva di essere stata “esplicitamente minacciata dal Brigadiere che le ricordava che lui era il Maresciallo capo e che avrebbe potuto farle avere dei problemi con la legge ed anche con i suoi genitori”. Il collegio infatti ritiene configurabile il delitto di cui all’art. 609 bis, comma 1, cod. pen. ma si rimette al P.M. per le sue determinazioni nell’esercizio dell’azione penale.
  3. Alcune considerazioni devono necessariamente svolgersi sull’uso delle registrazioni video e sonore nei casi di violenza sessuale. Nel nostro caso le stesse sono state effettuate dall’indagato, ma possono ben essere realizzate dalla stessa vittima di violenze. Le registrazioni, video e/o sonore, tra presenti, o anche di una conversazione telefonica, effettuata da uno dei partecipi al colloquio, o da persona autorizzata ad assistervi – che non commette il reato di cui agli art. 617 e 623 cod. pen., perché autorizzato, Sez. 6, n. 15003 del 27/02/2013 – dep. 02/04/2013, P.C. in proc. B, Rv. 256235 -, costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, perché cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico – il colloquio tra presenti (e tutto l’incontro, se con video) o la telefonata -; la persona che registra (o, come nel nostro caso, che viene filmata dallo stesso autore del fatto) infatti è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso, anche se la registrazione fosse avvenuta su consiglio o su incarico della Polizia Giudiziaria (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003 – dep. 24/09/2003, Torcasio e altro, Rv. 225466; Sez. 6, n. 12189 del 09/02/2005 – dep. 29/03/2005, Rosi, Rv. 231049; Sez. 5, n. 4287 del 29/09/2015 – dep. 02/02/2016, Pepi, Rv. 265624; Sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009 – dep. 22/04/2009, Abis, Rv. 243256; Sez. 2, n. 24288 del 10 giugno 2016). Nel caso di specie non solo la vittima – La M. , sentita – è attendibile quando riferisce delle minacce, ma esiste la registrazione video del rapporto, con la M. , e anche con l’altra vittima, provvidamente effettuati dallo stesso indagato. Nel particolare caso di violenza sessuale in giudizio, le video registrazioni risultano particolarmente valide, per la ricostruzione oggettiva delle violenze. Le moderne tecniche di registrazione, alla portata di tutti, per l’uso massiccio dei telefonini smart, che hanno sempre incorporati registratori vocali e video, e l’uso di app dedicate per la registrazione di chiamate e di suoni, consentono una documentazione inconfutabile ed oggettiva del contenuto di colloqui e/o di telefonate, tra il violentatore e la vittima. La ripresa video copre a 360 gradi tutto il fatto. Nel nostro caso, come sopra visto, la registrazione è stata effettuata dallo stesso ricorrente, ma la stessa potrebbe avvenire legittimamente anche da parte della vittima. Infatti le registrazioni di conversazioni – e di video – tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 267 del cod. proc. pen. in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono, come sopra visto, in una particolare forma di documentazione, non sottoposta ai limiti ed alle formalità delle intercettazioni. Infine va ricordata l’interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, consolidata in materia, diritto vivente. Cassazione, Sez. 6, n. 49511 del 01/12/2009 – dep. 23/12/2009, Ticchiati, Rv. 245774, che ha ritenuto: “infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 266, comma secondo, 268, comma terzo e 271, comma primo, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 13, 15, comma secondo, 13 e 24, Cost., nella parte in cui non prevedono l’estensione dei limiti di applicabilità della normativa codicistica in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali anche alle intercettazioni di conversazioni tra presenti o al telefono svolte non solo da un estraneo, ma anche da uno degli interlocutori della conversazione medesima, trattandosi di situazioni del tutto diverse fra loro e non potendosi in alcun modo equiparare la registrazione effettuata, sia pure occultamente, da uno dei protagonisti della conversazione, all’ingerenza esterna sulla vita privata costituita dall’intercettazione svolta per opera di un terzo”).
  4. Relativamente al pericolo di recidivanza criminosa, terzo motivo del ricorso, si deve osservare che il provvedimento impugnato contiene adeguata e non contraddittoria motivazione, senza vizi di manifesta illogicità, e individua il pericolo di reiterazione dei gravi reati non solo quale appartenente ai carabinieri, ma anche “allorché agisce al di fuori di tale contesto, come nella vicenda della M. e della minore Ma. … anche se non rivestisse più la formale qualifica di Brigadiere dei Carabinieri”. Pertanto ininfluente è la sospensione dal servizio del ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del d. lgs 196/03 in quanto imposto dalla legge.