Categoria: Commerciale

Reati tributari. Sussiste il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti se

“Il reato di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti […] ricorra, da un lato, ove i beni o i servizi siano effettivamente entrati nella sfera giuridico-patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altro lato, ove sussista l’elemento della simulazione soggettiva, ossia la rappresentazione documentale della provenienza della prestazione oggetto dell’imposizione, da un soggetto giuridico differente da quello indicato in fattura il quale, dunque, l’abbia effettivamente erogata”.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 24307/17; depositata il 17 maggio

Testo della sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 gennaio – 17 maggio 2017, n. 24037
Presidente Amoroso – Relatore Renoldi

Ritenuto in fatto

1. A seguito di una verifica fiscale effettuata dall’Agenzia Entrate – Direzione Regionale della Liguria nei confronti della società E.R.M. S.p.A. era emerso che in occasione della cessione, da parte della predetta società, del 49% delle quote della partecipata I. S.r.l. a favore di una società olandese del gruppo russo L., era stata indicato, quale onere accessorio, il versamento della somma di 3.368.750 euro di imponibile quale corrispettivo dell’attività di mediazione svolta da F.C., legale rappresentante della F. S.r.I., la quale svolgeva attività di commercio al dettaglio di articoli di cancelleria e che in data 3/12/2008 aveva emesso, in relazione a tale operazione, la fattura n. 111 (per un importo di 4.042.500 euro, pari alla somma di 3.368.750 euro di imponibile maggiorata del 20% a titolo di IVA da corrispondere).
Il successivo controllo, eseguito nei confronti della società F. S.r.l., aveva consentito di appurare che sul conto corrente bancario alla stessa intestato era stata effettivamente accreditata, in data 18/12/2008, la somma di 3.655.093,75 euro (divergente dalla somma indicata in fattura in quanto comprensiva anche di una ritenuta di acconto a favore della F.); e che i risultati dell’operazione non erano stati, però, riportati nella dichiarazione IVA, presentata dalla società di capitali di cui era legale rappresentante l’odierno imputato.
Inoltre, da ulteriori accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza era, altresì, emerso che le somme corrisposte per la ricordata provvigione erano successivamente affluite, nell’arco di circa un trimestre, sui conti personali di C., il quale aveva successivamente eseguito una serie di prelievi da tali conti. E tuttavia, lo stesso C. non aveva indicato, nella propria dichiarazione dei redditi, le somme percepite per la mediazione svolta, sicché la Guardia di finanza aveva calcolato in 1.732.661 euro l’imposta da costui evasa a titolo di IRPEF.
1.1. A seguito di tali accertamenti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova aveva, quindi, chiesto il rinvio a giudizio di F.C., ipotizzando, nei suoi confronti, i delitti di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 4 del D.Igs. n. 74/2000 (capo 1), 8 comma 1 del D.Igs. n. 74/2000 (capo 2), 4 del D.Igs. n. 74/2000 (capo 3). Secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, C., in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di legale rappresentante della F. S.r.l. ed al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, aveva per un verso omesso di indicare, nella dichiarazione annuale della società relativa all’anno 2008, le somme dalla stessa percepite ed attestate dalla fattura n. 111 del 3/12/2008 per 3.678.750,00 euro, con Iva non versata pari a 673.750,00 euro e IRES a 926.406,25 euro, e, dunque, elementi attivi per un ammontare superiore al 10% di quelli dichiarati, realizzando così un’evasione dell’imposta superiore a 103.291,38 euro (capo 1); e, per altro verso, egli aveva omesso di indicare, nella propria dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2008, al fine di evadere le imposte Irpef, le somme percepite a titolo di provvigione per la ricordata attività di mediazione (costituenti elementi attivi di ammontare superiore 103.91,38 euro ed al 10% di quelli dichiarati), realizzando così un’evasione Irpef pari a 1.732.661 euro (capo 3). Inoltre, secondo la tesi accusatoria, al fine di realizzare quest’ultima attività illecita a proprio personale vantaggio, C. aveva fittiziamente emesso, nella sua qualità di legale rappresentante della Fin cor S.r.I., la fattura n. 111 del 3/12/2008 per 3.678.750 euro in relazione ad un’operazione soggettivamente inesistente (capo 2).
1.2. Con sentenza in data 15/01/2015, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Genova aveva, quindi, condannato F.C., con la diminuente del rito e con la recidiva reiterata infraquinquennale, alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione, riconoscendolo colpevole dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, contestati ai capi 2) e 3) dell’imputazione; e disponendo, altresì, la confisca per equivalente degli immobili e delle somme di denaro in sequestro fino alla concorrenza del valore di € 1.732.661,00. Con lo stesso provvedimento C. era stato, invece, assolto, con la formula “perché il fatto non sussiste”, in relazione al delitto di cui all’art. 4 del D.Igs. n. 74/2000, contestato al capo 1);
ciò sul presupposto che l’attività di mediazione, dal lato della società, configurasse un’operazione inesistente e che, di conseguenza, la F. S.r.l. non avesse, in realtà, percepito alcun reddito da tale attività.
2. Con sentenza in data 10/12/2015 la Corte di appello di Genova riformò, solo in parte, la pronuncia di primo grado, ritenendo che la E.R.M. S.p.A. avesse versato una somma pari a 387.406,25 euro a titolo di ritenuta d’acconto e che, pertanto, la somma evasa a titolo di IRPEF fosse pari a soli 1.345.254,75 euro, per l’effetto riducendo la confisca all’importo corrispondente.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso C., a mezzo del proprio difensore, sollecitando il suo proscioglimento in relazione al reato di cui al n. 2) del capo di imputazione, nonché l’accoglimento delle doglianze relative al trattamento sanzionatorio e la limitazione dell’ammontare dell’imposta evasa a soli 1.055.542,30 euro.
A sostegno dell’impugnazione C. ha dedotto sei motivi di censura.
3.1. Con il primo di essi, il ricorrente denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza di motivazione in relazione al fatto che l’attività di mediazione svolta dalla E. dissimulasse, fin dall’inizio, un meccanismo volto a consentire a C. di non pagare le imposte sul reddito delle persone fisiche.
3.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la sentenza affermato che l’intera operazione sarebbe stata realizzata da C. attraverso lo schermo costituito dalla società di capitali F. S.r.l. in modo da garantire il patrimonio personale dell’imputato ed in quanto la sanzione prevista per l’omessa dichiarazione era più lieve rispetto a quella per la frode fiscale. In realtà ove C. avesse agito, fin dal principio, con il proposito di evadere le imposte sui futuri emolumenti, avrebbe operato come persona fisica e non per il tramite della società, atteso che in caso di accertamento fiscale egli sarebbe incorso soltanto nella violazione dell’art. 4 D.Igs. n. 74/2000, laddove operando, invece, come amministratore della F. sarebbe incorso, come poi avvenuto, anche nella violazione dell’art. 8 del predetto decreto.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., l’erronea interpretazione dell’art. 530 cod. proc. pen. nonché l’illogicità della motivazione con riferimento al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Dopo avere ribadito le ragioni per le quali la condotta di C., quale legale rappresentante della F., avrebbe configurato una violazione della normativa fiscale IVA ed IRES e non una evasione IRPEF dello stesso imputato, realizzata quale persona fisica, il ricorso argomenta in ordine al fatto che la fattura n. 111 non sarebbe riferibile ad una operazione soggettivamente inesistente; ciò sul presupposto che tale situazione ricorrerebbe quando “uno dei soggetti dell’operazione sia rimasto del tutto estraneo alla stessa”, laddove, nel caso di specie, la F. avrebbe realmente percepito le somme pattuite per l’attività di mediazione, la quale ovviamente non avrebbe potuto che essere svolta, concretamente, da una persona fisica, individuata proprio in F.C.. Il fatto che, poi, quest’ultimo avesse effettuato una serie di prelievi dai conti correnti della società, avrebbe potuto, al più, rilevare come inadempienza ai doveri impostigli dalla sua qualità di Amministratore Unico della F. S.r.l..
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., l’inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 220 disp. att. cod. proc. pen., 191 cod. proc. pen., 234 cod. proc. pen. in relazione alla prova della sussistenza del reato di cui all’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 74/2000. Ciò in quanto l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Liguria, dopo che era emersa l’esistenza di indizi di reità aveva, comunque, proseguito nell’attività amministrativa di indagine ed accertamento, laddove il citato art. 220 dispone che, in tal caso, le operazioni debbano proseguire con l’osservanza delle disposizioni del codice di procedura penale. Per tale motivo, le risultanze contenute nella nota in data 6/07/2011, inviata dalla Agenzia delle Entrate, acquisite dopo la data del 16/05/2011 e fino a quella dell’inoltro della stessa, sarebbero state inutilizzabili ex art. 234, comma 2 cod. proc. pen..
3.5. Con il quinto motivo il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla eccesiva severità del trattamento sanzionatorio, fondata sul presupposto che l’imputato non avesse riparato l’illecito, senza però tenere conto sia del suo precedente stato detentivo, sia della sottoposizione dei suoi beni a sequestro preventivo, sia della brevità dei tempi processuali, che non gli avrebbero permesso, suo malgrado, di attivare alcuna iniziativa riparatoria.
3.6. Con il sesto motivo si lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la erronea applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74/2000 e la contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto che, quale base imponibile, sia stata correttamente indicata (ai fini delle imposte dirette), la somma di 4.042.500,00 euro comprensiva di IVA, avendo C. introitato tutto quanto aveva percepito. In realtà, dal momento che all’imputato era stata contestata la sola evasione IRPEF, non si sarebbe dovuto tenere conto dell’IVA, pari a 673.750,00 euro.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Occorre muovere, secondo l’ordine logico, dal quarto motivo di impugnazione, con il quale si censura la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Sul punto, rileva preliminarmente il Collegio come la nota in data 6/07/2011 dell’Agenzia Entrate – Direzione Regionale della Liguria sia stata trasmessa, secondo quanto ammesso dalla stessa difesa dell’imputato, ex art. 331 cod. proc. pen., sicché è innanzitutto infondata la tesi secondo cui essa configuri un documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa, dovendo essa essere qualificata, ai sensi del comma 4 del citato art. 331, quale denuncia, presentata dall’autorità amministrativa, di un reato perseguibile di ufficio.
Nondimeno, è invece corretto il richiamo difensivo alla previsione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato e non meri sospetti, “gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
Pertanto, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è come tale utilizzabile, mentre non può assumere una siffatta valenza quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di procedura penale (v. Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015, Marchetti e altro, Rv. 262518).
A tale proposito questa Corte ha pure osservato come, dalla semplice lettura della norma, emerga che la stessa presuppone, per la sua applicazione, la sussistenza della mera possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto riscontrato nel corso dell’inchiesta amministrativa e, nel momento in cui esso viene rilevato, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005, Cacace, Rv. 233330;
Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).
Ove le richiamate condizioni si verifichino, è dunque necessario che, a pena di inutilizzabilità, vengano osservate le disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quant’altro necessario per l’applicazione della legge penale (Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015, Marchetti e altro, Rv. 262518; Sez. 3, n. 27682 del 17/06/2014, Palmieri, Rv. 259948). Epperaltro, se le forme del codice di procedura penale devono essere osservate soltanto ove si faccia luogo al compimento degli atti necessari alla raccolta ed all’assicurazione delle fonti di prova, ciò significa che ogni qual volta non si debba fare luogo all’espletamento di atti garantiti, non è necessario osservare le norme del codice di rito.
Al fine di stabilire quando tale condizione sussista, l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. prevede che “nel procedere al compimento degli atti indicati nell’art. 356 [cod. proc. pen.], la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia”.
Ciò posto, dal contenuto testuale della norma in esame emerge con chiarezza che le attività ispettive fiscali non rientrano tra quelle indicate dall’art. 356 cod. proc. pen., che l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., espressamente richiama. In altre parole, la disposizione in esame impone l’avviso del diritto all’assistenza del difensore solo ed esclusivamente nel caso in cui si proceda al compimento di uno degli atti indicati dall’art. 356 cod. proc. pen., il quale, a sua volta, stabilisce che il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 (perquisizioni) e 354 (accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone e sequestro) oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’art. 353, comma 2, cod. proc. pen.. E’ questa una elencazione tassativa, come si desume dal puntuale richiamo ai singoli atti elencati.
Consegue alle considerazioni fin qui svolte che non avendo la Corte di legittimità la possibilità di un accesso indiscriminato agli atti del procedimento penale, al fine di verificare la utilizzabilità del risultato di singole attività di acquisizione di elementi indiziari è indispensabile che il ricorso specifichi quali risultati dell’attività investigativa debbano ritenersi, per le ragioni più sopra esposte, inutilizzabili.
2.2. Orbene, nel caso di specie, la difesa di C. si è limitata a censurare tutte le attività di accertamento e di acquisizione di documenti compiute successivamente alla data del 16/05/2011, allorché l’Agenzia delle entrate aveva instaurato il contraddittorio con la Società E.R.M. allo scopo di ottenere chiarimenti in merito alla natura ed al contenuto delle mediazioni oggetto di fatturazione, ritenendosi che da tale momento potesse ritenersi acclarata l’esistenza di reati tributari quali quelli previsti dagli artt. 4 e 8, comma 1 del D.Lgs. n. 74/2000. Sotto altro profilo, poi, il ricorso non contiene alcuna indicazione in ordine alla rilevanza della dedotta inutilizzabilità del materiale probatorio, non specificando quali conseguenze deriverebbero sotto il profilo della complessiva inidoneità del materiale probatorio residuo a dimostrare la responsabilità dell’imputato per i reati a lui ascritti.
Del resto, come osservato dalla sentenza impugnata, successivamente all’inoltro della notizia di reato, il Pubblico ministero aveva conferito una delega di indagini, ai sensi dell’art. 370 cod. proc. pen., alla Guardia di Finanza, sicché i riscontri rispetto all’originaria segnalazione era provenuti, soprattutto, dall’attività investigativa successivamente posta in essere; a nulla rilevando che detta delega, come osservato dalla difesa, fosse stata rilasciata in data 27/09/2011, non essendo tale circostanza indicativa, come invece opina il ricorrente, di un’affermazione di responsabilità basata su atti d’indagine inutilizza bili.
A fronte di doglianze formulate, in sede di ricorso, in maniera del tutto generica e non essendo, dunque, possibile, alla stregua di censure assolutamente aspecifiche verificare l’incidenza, sul materiale probatorio raccolto, dei lamentati vizi di inutilizzabilità di alcuni atti (cd. prova di resistenza), deve conclusivamente rilevarsi la manifesta infondatezza della questione dedotta con il quarto motivo di impugnazione.
3. Venendo, quindi, al terzo motivo di ricorso, giova in premessa ricordare che al giudice di legittimità non è consentito ipotizzare alternative opzioni ricostruttive della vicenda fattuale, sovrapponendo la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, saggiando la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; in termini v. Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Ne consegue che, quando i giudici di merito abbiano motivato, alla stregua di un percorso argornentativo scevro da profili di illogicità, le ragioni di fatto poste a fondamento della propria decisione, al giudice di legittimità non è consentito censurarne, sul piano della ricostruzione dei fatti, le scelte compiute accedendo ad ipotesi alternative, ove anche dotate di un maggiore grado di persuasività.
3.1. Tanto premesso, osserva il Collegio che, nel caso di specie, i giudici di merito hanno offerto una spiegazione perfettamente logica e plausibile del complesso delle ragioni per cui si è ritenuto che C. avesse svolto l’attività di intermediazione tra la ERG e la L. non come legale rappresentante della F. S.r.I., sottolineando, in primo luogo, come le due società non avrebbero potuto certo rivolgersi, per lo svolgimento di un’attività così peculiare, che certamente richiedeva competenze anche specialistiche, ad una società costituita per commerciare, al dettaglio, articoli di cancelleria; come le somme percepite da F. fossero successivamente confluite su conti riconducibili a C. o, comunque, fatte oggetto di prelievi in contanti da parte dell’imputato; come un altro degli intermediari coinvolti nell’operazione avesse avviato una causa civile nei confronti della persona fisica di C. in relazione ad una quota della provvigione pagata da E. S.p.A. e come lo stesso C. avesse avviato, personalmente e non nella qualità di amministratore unico della F. S.r.l., un’analoga iniziativa giudiziaria nei confronti della società L.. Elementi dai quali i giudici di merito hanno tratto, in maniera del tutto logica, il convincimento, criticato genericamente con il primo motivo di ricorso, secondo cui “il meccanismo ideato nascondeva ab initio un interesse di C. a non pagare le imposte come persona fisica”, sicché la F. S.r.l. fosse servita a realizzare un’operazione fraudolenta per il fisco venendo, non a caso, subito posta in liquidazione, il 31/12/2009, una volta esaurito l’affare.
3.2. A fronte di tale ricostruzione dei fatti, attraverso cui la sentenza impugnata ha adeguatamente esplicato, con percorso motivazionale coerente ed immune da censure logiche, le ragioni per le quali ha ritenuto che C. avesse agito in proprio e non nella qualità di legale rappresentante della società formalmente investita dell’attività di mediazione, il ricorso per un verso articola delle mere censure in fatto e, per altro verso, si limita a prospettare una ipotesi alternativa e, dunque, una differente lettura del materiale probatorio, sottolineando come fosse lecito che la società avesse compiuto atti giuridici esulanti dal suo oggetto sociale (circostanza mai messa in dubbio dai giudici di merito, i quali avevano, invece, rilevato come fosse del tutto inverosimile che una società che commerciava in articoli di cancelleria fosse stata incaricata di gestire una delicata operazione di mediazione, per svariati milioni di euro, tra società operanti nel settore petrolifero) o come potessero darsi altre possibili spiegazioni della condotta tenuta da C., il quale aveva effettuato ripetuti prelievi dai conti della società.
Ne consegue, dunque, sotto il profilo illustrato, la declaratoria di manifesta infondatezza della censura, atteso che il ricorso finisce per sollecitare un controllo da parte del giudice di legittimità che pacificamente esorbita, per le ragioni già illustrate, dagli stretti confini assegnati alla sua cognizione.
3.3. Sotto altro e concorrente profilo, è manifestamente infondata l’ulteriore questione, dedotta dal ricorrente, in relazione alla non configurabilità, nel caso di specie, di operazioni soggettivamente inesistenti.
In proposito, infatti, la difesa di C., dopo avere premesso che l’operazione di mediazione nella compravendita Erg-L. era stata prevista contrattualmente, atteso che F. S.r.l. era stata incaricata con il Mediation and Service Agreement del 21/06/2008, ha sottolineato altresì come fosse destituita di fondamento l’affermazione secondo cui la stessa F. non avesse percepito alcun effettivo reddito dall’operazione, avendo la E. effettivamente versato, in data 19/12/2008, l’importo dovuto sul c/c 437380 intestato a F. S.r.I., acceso presso la Banca C.. E per tale motivo, dal momento che nessuno dei soggetti dell’operazione era rimasto del tutto estraneo alla stessa, avrebbe fatto difetto il presupposto indispensabile per configurare una operazione soggettivamente inesistente, così come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.
3.3.1. Tale ricostruzione è, però, giuridicamente infondata.
Ritiene, infatti, il Collegio che il reato di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000, pacificamente configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, ricorra, da un lato, ove i beni o i servizi siano effettivamente entrati nella sfera giuridico-patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture (in questo caso la Erg) e, dall’altro lato, ove sussista l’elemento della simulazione soggettiva, ossia la rappresentazione documentale della provenienza della prestazione oggetto dell’imposizione, da un soggetto giuridico differente da quello indicato in fattura, il quale, dunque, l’abbia effettivamente erogata.
Tale interpretazione, infatti, è consentita, innanzitutto, sia dall’argomento testuale, fondato sull’ampiezza della previsione normativa, la quale si riferisce genericamente ad “operazioni inesistenti”; sia dall’argomento teleologico, fondato sulla considerazione per cui, anche in tali casi, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire ai terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (cfr. Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, dep. 28/05/2010, Bizzozzero e altro, Rv. 247110; Sez. 3, n. 14707 del 14/11/2007, dep. 09/04/2008, Rossi e altri, Rv. 239658). Inoltre, lo stesso art. 1, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che “per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
Ne consegue che le operazioni soggettivamente inesistenti devono ritenersi configurabili anche quando, come nel caso di specie, la fattura rechi l’indicazione di un soggetto erogatore della prestazione imponibile (nel caso di specie la F.) diverso da quello effettivo (individuato nello stesso C.). Anche in una siffatta ipotesi, del resto, il documento esprime una chiara capacità decettiva, idonea a impedire la identificazione degli attori effettivi delle operazioni commerciali, precludendo o comunque ostacolando la possibilità dell’accertamento tributario e palesando, in questo modo, un nucleo di disvalore che ne giustifica pienamente la riconducibilità all’area del penalmente rilevante.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il terzo motivo deve ritenersi manifestamente infondato, così come i primi due motivi di ricorso, i quali attengono a profili di ricostruzione della complessiva vicenda, con particolare riguardo al carattere fraudolento dell’intera operazione, secondo il ricorrente rimasto indimostrato; sicché gli stessi debbono ritenersi confutati alla stregua delle considerazioni svolte nell’analisi del terzo motivo.
3.4. Quanto, poi, al sesto motivo di ricorso, con il quale C. lamenta l’indebito computo, ai fini della evasione Irpef contestata al capo 3) dell’imputazione, delle somme dovute a titolo di IVA, ritiene il Collegio che le censure difensive siano totalmente inconferenti.
Infatti, nel caso di specie all’imputato non è stato contestato, al predetto capo di imputazione, il mancato versamento dell’IVA, quanto piuttosto, come ben evidenziato dai giudici di merito, il fatto che l’intera somma, comprensiva anche dell’IVA al 20%, fosse stata interamente introitata dall’imputato, sicché correttamente il calcolo dell’evasione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche ha tenuto conto anche dell’ulteriore somma percepita e non dichiarata.
Ne consegue la manifesta infondatezza del relativo motivo di censura.
3.5. Venendo, infine, al quinto motivo di impugnazione, relativo alle questioni poste con riferimento al trattamento sanzionatorio, con l’atto di appello il ricorrente ne aveva chiesto il sensibile contenimento, sollecitando una rideterminazione della pena base a partire dal minimo edittale nonché il riconoscimento delle attenuanti generiche, da considerare equivalenti alla recidiva contestata. Ed a tal fine aveva sottolineato l’illogicità della decisione del giudice di prime cure, il quale aveva attribuito rilevanza al fatto che C. non avesse attivato alcuna iniziativa riparatoria, ciò che, tuttavia, l’imputato non sarebbe stato nelle condizioni di fare, dal momento che egli era stato dapprima detenuto in Svizzera, quindi aveva patito il sequestro preventivo dei beni e, infine, si era trovato, a seguito della rapida chiusura delle indagini preliminari ed alla immediata instaurazione del giudizio abbreviato, di fronte a cadenze processuali contratte e, comunque, assai ravvicinate.
Nel rispondere a tali doglianze, la sentenza impugnata aveva affermato che C. aveva chiesto di essere giustificato dalla predetta condizione, laddove “dalle proprie colpe non si può trarre un beneficio”; ciò che, si duole oggi il ricorrente, non sarebbe stato in realtà mai sostenuto in sede di impugnazione.
Similmente, il ricorso opina che il primo gravame non abbia mai affermato, diversamente da quanto riportato nella sentenza di secondo grado, che la condizione di contumacia dell’imputato non potesse giustificare l’asserito atteggiamento “di disinteresse del C. alle conseguenze del reato”.
3.5.1. In proposito, rileva nondimeno il Collegio che la Corte territoriale ha sviluppato, a partire dalla prima censura dell’imputato, una più articolata valutazione, fondata sul fatto che, da un lato, non possa invocarsi una situazione di asserita inesigibilità di condotte riparatorie da parte di chi vi abbia dato causa e che, dall’altro lato, C. non si fosse comunque attivato, sul piano riparatorio, successivamente alla sua liberazione. Tale apprezzamento deve ritenersi del tutto immune da vizi di natura logica e, come tale, non censurabile in questa sede, essendo la valutazione compiuta dai giudici genovesi sostanzialmente incentrata sull’assenza di qualunque manifestazione di disponibilità a farsi carico, anche parzialmente, delle conseguenze delle proprie condotte illecite, con ciò essendosi fatta corretta applicazione degli indici dettati dall’art. 133 cod. pen., con particolare riguardo al n. 3 del comma 2, relativo alla rilevanza da attribuire, sul piano dosimetrico, alla condotta susseguente al reato.
3.5.2. Analogamente, il ricorso censura il passaggio motivazionale con cui la Corte aveva rigettato la parte del motivo di appello sul trattamento sanzionatorio con cui si chiedeva la determinazione di una pena base inferiore, sul presupposto che le precedenti condotte di rilevanza penale dell’imputato venissero valutate due volte: in primis al momento della determinazione della pena base e, in un momento successivo, in sede di aumento per la recidiva.
Anche in relazione a tale profilo va, nondimeno, rilevato che le censure mosse al provvedimento si fondano sulla estrapolazione di una parte della più articolata motivazione resa dalla Corte d’appello, la quale ha, invece, sottolineato come l’entità della pena base, determinata in misura pari a tre anni di reclusione, trovasse giustificazione “più ancora che nella personalità negativa del C., nell’elevato importo dell’evasione fiscale, molto superiore al milione di euro”, con ciò palesandosi la sostanziale inconferenza delle deduzioni difensive espresse sul punto nel ricorso, avendo i giudici di merito fatto buon governo dei criteri enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. che orientano l’esercizio della discrezionalità nella commisurazione del trattamento sanzionatorio; esercizio non censurabile in questa sede attraverso doglianze dirette a determinare una nuova valutazione della congruità della pena, la cui commisurazione non sia frutto, come in questo caso, di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 4/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
Pertanto, anche le doglianze sviluppate con il quinto motivo di impugnazione sono manifestamente infondate.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.

Segreto industriale, misure di segregazione, concorrenza sleale: sottrazione e utilizzazione di informazioni aziendali riservate (file e disegni tecnici). Tribunale di Bologna 27 luglio 2015

Con atto di citazione ritualmente notificato, la società ALFA s.r.l.,  ha convenuto  in giudizio XX e le società Beta s.r.l e Nuovi Gamma s.a.s., chiedendo che l’adìto Tribunale, previo accertamento del compimento da parte dei convenuti di attività di concorrenza sleale, boicottaggio e sottrazione/utilizzazione di informazioni aziendali riservate a norma degli artt. 2598 n. 3 c.c. e 98-99 CPI, inibisse ai convenuti, secondo le rispettive vesti e qualità, la prosecuzione degli illeciti sopra indicati con particolare riferimento ai file e/o disegni tecnici relativi all’attacco da scialpinismo denominato “NX” progettato e prodotto dall’attrice ed illecitamente attribuiti all’attacco Haereo GO progettato, prodotto, commercializzato e pubblicizzato dai convenuti, ordinando il ritiro dal commercio di tale ultimo prodotto, con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, al pagamento di una penale pecuniaria per ogni violazione delle disposte inibitorie e pubblicazione della emananda sentenza.

Il Tribunale di Bologna ha ritenuto insufficiente la misura adottata dalla società attrice, consistente nella conservazione dei disegni tecnici contestati in un computer privato, ad uso esclusivo dell’ex socio-amministratore e progettista, dotato di password.

Infatti, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (v. ad es. Trib. Bologna, Sez. Spec. Propr. Industr. ed Intell. 9/2/2010), il codice della proprietà industriale (D.lvo n. 30/05, all’art. 98), considera meritorie di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni siano segrete.

Si tratta, quindi, di informazioni che, singolarmente o nella loro combinazione, siano tali da non poter essere assunte dall’operatore del settore, in tempi e a costi ragionevoli e la cui acquisizione da parte del concorrente richieda, per ciò, sforzi o investimenti.

Ebbene il Tribunale felsineo ha giudicato la misura di protezione non sufficiente in quanto la società si è avvalsa di uno strumento privato, in dotazione esclusiva del soggetto che aveva partecipato alla realizzazione dei disegni, e non, invece, di un strumento informatico aziendale, che, in quanto avrebbe potuto essere “direttamente gestibile e controllabile dalla società”.

Il giudice di prime cure, tuttavia, nella fattispecie ha ravvisato la configurabilità della concorrenza sleale, in quanto le informazioni oggetto di rivelazione al concorrente avevano comunque natura riservata, stante la relativa non facile accessibilità, ed il loro utilizzo che aveva attribuito al concorrente un indebito vantaggio. Ha quindi ribadito, secondo un l principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che costituisce atto di concorrenza sleale per violazione dei principî della correttezza professionale la condotta, potenzialmente dannosa, volta a carpire notizie riservate, anche non costituenti segreto industriale, relative ai processi produttivi e alle sostanze utilizzate per realizzare un dato prodotto da parte di un’impresa concorrente, senza necessità di accertare la presenza di prodotti simili sul mercato (Cass. Civ. Sez. I, 20/01/2014, n. 1100).

V’è da riferire, infine, che lo stesso giudice non ha accolto domanda risarcitoria formulata da parte della società attrice, a causa della mancanza di sufficienti allegazioni e prove atte a dimostrare i danni sofferti.

 

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

QUARTA SEZIONE CIVILE

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Giovanni Salina – Presidente Relatore

dott.ssa Anna Maria Rossi – Giudice

dott.ssa Daria Sbariscia – Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1658/2012 promossa da:

ALFA RACE S.R.L. (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. MACCAGNANI MASSIMO, elettivamente domiciliato in VIALE CARDUCCI N. 24 40125 BOLOGNA presso il difensore avv. MACCAGNANI MASSIMO.

ATTORE

contro

BETA S.R.L. UNIPERSONALE (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. NICOLINI GIOVANNI, dell’avv. BELLAN FEDERICO (BLLFRC73M23L219L), dell’avv. MASETTI ZANNINI DE CONCINA ALESSANDRO e dell’avv. CARTELLA ROBERTO (CRTRRT68R31H501E), elettivamente domiciliato in VIA DELL’INDIPENDENZA 27 40121 BOLOGNA presso il difensore avv. NICOLINI GIOVANNI.

CONVENUTO

XX (C.F.).

NUOVI GAMMA S.A.S. DI R.R. & C. (C.F. ***).

CONVENUTI/CONTUMACI

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, la società ALFA Race s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, conveniva in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, XX e le società Beta s.r.l. Unipersonale e Nuovi Gamma s.a.s. di R. R. & C., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, chiedendo che l’adìto Tribunale, previo accertamento del compimento da parte dei convenuti di attività di concorrenza sleale, boicottaggio e sottrazione/utilizzazione di informazioni aziendali riservate a norma degli artt. 2598 n. 3 c.c. e 98-99 CPI, inibisse ai convenuti, secondo le rispettive vesti e qualità, la prosecuzione degli illeciti sopra indicati con particolare riferimento ai file e/o disegni tecnici relativi all’attacco da scialpinismo denominato “NX” progettato e prodotto dall’attrice ed illecitamente attribuiti all’attacco Haereo GO progettato, prodotto, commercializzato e pubblicizzato dai convenuti, ordinando il ritiro dal commercio di tale ultimo prodotto, con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, al pagamento di una penale pecuniaria per ogni violazione delle disposte inibitorie e pubblicazione della emananda sentenza.

L’attrice, in particolare, esponeva che, come accertato all’esito del procedimento cautelare promosso ante causam, la società Beta s.r.l., avvalendosi dell’opera dell’ing. XX, ex amministratore e socio della società ALFA Race s.r.l., nonché coprogettista dell’attacco denominato “NX”, aveva sottratto ed utilizzato informazioni tecnico-aziendali riservate inerenti a quest’ultimo prodotto al fine di impiegarli nella realizzazione e commercializzazione, in tempi estremamente brevi, di un attacco da scialpinismo tecnicamente sovrapponibile al primo in quanto riproduttivo delle medesime caratteristiche funzionali, tecniche e di design di quest’ultimo.

Lamentava, quindi, l’attrice che le condotte poste in essere dai convenuti le avevano provocato un ingente pregiudizio patrimoniale, conseguente soprattutto alla illegittima sottrazione di quote di mercato inaspettatamente attuata dalla società Beta s.r.l. in pochi mesi in un settore di mercato per questa del tutto nuovo, sfruttando la pluriennale attività di studio, progettazione e produzione in precedenza svolta da ALFA Race s.r.l., nonché un rilevante danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione della sua immagine commerciale consolidatasi in virtù della notorietà e rinomanza raggiunta dai suoi prodotti nei circuiti agonistici nazionali ed internazionali.

Si costituiva in giudizio la convenuta Beta s.r.l., la quale, contestando la fondatezza delle argomentazioni svolte dall’attrice, concludeva chiedendo l’integrale reiezione delle domande ex adverso formulate.

Nel corso del giudizio, celebrato nella contumacia dei convenuti Nuovi Gamma s.a.s. e XX, il G.I., espletati gli incombenti di cui all’art. 183 c.p.c., ammetteva le prove per interrogatorio formale e per testi dedotte dall’attrice, disponendo altresì c.t.u.

Infine, all’udienza del 5/3/2015, sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, il Giudice rimetteva la causa al Collegio per la decisione, assegnando i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Giova preliminarmente dare atto che la società attrice, anche alla luce dei provvedimenti resi dall’intestato Tribunale in sede cautelare ante causam, non ha reiterato nel presente giudizio di merito le argomentazioni in precedenza svolte a sostegno delle dedotte responsabilità degli allora resistenti ed odierni convenuti a titolo di contraffazione di brevetto e di modello comunitario non registrato, di violazione del divieto legale di concorrenza e di concorrenza sleale per imitazione servile, limitandosi a riproporre unicamente quelle volte all’accertamento e alla declaratoria della responsabilità dei convenuti a titolo di concorrenza sleale per utilizzazione parassitaria di informazioni aziendali riservate e boicottaggio ex art. 2598 n. 3 c.c., nonché, nonostante le contrarie statuizioni assunte dal Giudice della cautela, quella a titolo di sottrazione ed uso di dati ed informazioni aziendali segrete di cui agli artt. 98-99 CPI.

Precisato nei termini suddetti il thema decidendum, appare evidente come le deduzioni e le domande qui (ri)proposte dall’attrice, soprattutto quelle in punto di appropriazione e sfruttamento di informazioni aziendali ex artt. 2598 n. 3 c.c. e 98-99 CPI, presuppongano, tra l’altro, il positivo accertamento del carattere riservato e/o segreto dei dati tecnico-aziendali di proprietà dell’attrice ed asseritamente sottratti e trasferiti, in modo illegittimo e scorretto, all’interno del ciclo produttivo della convenuta Beta s.r.l. a seguito e per l’effetto del passaggio alle dipendenze di quest’ultima dell’ex amministratore e socio di ALFA Race s.r.l., ing. XX.

A fronte di siffatte deduzioni, la società convenuta Beta s.r.l. ha, a sua volta, asserito che i particolari tecnici che, secondo lo stesso Giudice della cautela, sarebbero confluiti nell’attacco Haereo Go da essa progettato e prodotto, in realtà, erano noti e, quindi, facevano parte del c.d. stato della tecnica, già in epoca antecedente la data di realizzazione, presentazione e commercializzazione di tale ultimo prodotto, evidenziando, peraltro, come lo stesso Tribunale adìto in sede cautelare avesse escluso ogni ipotesi di contraffazione e, quindi, di interferenza tecnico-giuridica dell’attacco c.d. “Beta” rispetto all’ambito di tutela rivendicato dal brevetto nella titolarità dell’attrice, sia pure con motivazione ritenuta dalla stesa convenuta contraddittoria rispetto alla affermata concorrenza sleale per sottrazione ed utilizzazione di notizie aziendali riservate.

Infatti, secondo la tesi prospettata dalla convenuta, i particolari tecnici dell’attacco NX di ALFA Race s.r.l., asseritamente presenti nell’attacco Hareo Go, prototipato e presentato nel periodo ottobre-dicembre 2009, erano pubblici e da tempo diffusi nel settore di riferimento, e, quindi, avrebbero già fatto parte dell’arte nota o stato della tecnica, quantomeno a far data dalla pubblicazione della domanda di brevetto N. MO 2007 A 000365 del 28.11.2007 relativa al predetto attacco NX, avvenuta nel mese di maggio 2009.

A quest’ultimo riguardo, la convenuta ha precisato come la realizzazione del suddetto trovato fosse stata il frutto dell’attività inventiva svolta (anche) dall’ing. XX nel dicembre 2008 e maggio 2009, il quale, per ciò, sciogliendo ogni vincolo con ALFA Race (luglio 2009) e transitando subito dopo alle dipendenze di Beta s.r.l. nel corso della seconda metà dell’anno 2009, altro non avrebbe fatto che impiegare legittimamente nel suo nuovo rapporto di collaborazione professionale, il patrimonio di conoscenze ed esperienze professionali precedentemente maturato anche durante il legame socio-lavorativo con ALFA Race s.r.l.

Fatte queste premesse, per quel che concerne il primo profilo di responsabilità dedotto dall’attrice, come noto, l’illecito delineato dai citati artt. 98 e 99 CPI postula, in primo luogo, l’esistenza di dati, notizie ed informazioni aziendali, di natura tecnica e/o commerciale, dotate dei requisiti della segretezza intesa come loro non facile accessibilità da parte degli esperti ed operatori del settore di riferimento, della loro rilevanza economica e, infine, della loro sottoposizione a misure idonee a mantenerle segrete.

Infatti, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (v. ad es. Trib. Bologna, Sez. Spec. Propr. Industr. ed Intell. 9/2/2010), il codice della proprietà industriale (D.lvo n. 30/05, all’art. 98, considera meritorie di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Si tratta, quindi, di informazioni che, singolarmente o nella loro combinazione, siano tali da non poter essere assunte dall’operatore del settore, in tempi e a costi ragionevoli e la cui acquisizione da parte del concorrente richieda, per ciò, sforzi o investimenti.

In secondo luogo, occorre che le informazioni segrete presentino un valore economico, non nel senso che possiedano un valore di mercato, ma nel senso che il loro utilizzo comporti, da parte di chi lo attua, un vantaggio concorrenziale che consenta di mantenere o aumentare la quota di mercato.

In terzo luogo, occorre che le informazioni siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Sotto quest’ultimo profilo, si ritiene comunemente necessario che il titolare delle informazioni renda edotti i propri dipendenti e i propri collaboratori della natura delle informazioni e della necessità di mantenere il segreto sia come condizione contrattuale, sia come informazione comunque diretta a collaboratori e dipendenti (v. ad es. Ordinanza Trib. BO Sez. Spec. Propr. Industr. 28/9/2010).

Orbene, alla luce dei principi sopra richiamati e tenuto conto dei presupposti, oggettivi e soggettivi, richiesti ai fini della sussistenza del denunciato illecito, si ritiene che, nella fattispecie in esame, così come peraltro statuito dal Giudice della cautela con motivazioni ampie, esaustive e pienamente condivisibili da intendersi in questa sede di merito integralmente richiamate, non sia concretamente configurabile la dedotta responsabilità dei convenuti a norma dei citati artt. 98 e 99 CPI.

Al riguardo, appare quantomeno opportuno rilevare che tra le parti non vi è controversia in ordine alla appartenenza giuridica delle informazioni tecnico-aziendali in questione e, segnatamente, dei particolari costruttivi contenuti nei disegni tecnici prodotti in causa dalla società ALFA Race s.r.l..

Infatti, è pacifico ed incontestato che si tratti di elaborati progettuali, costruttivi e meccanici, la cui materiale (co)predisposizione da parte dell’ing. XX, all’epoca socio-amministratore ed anche progettista di ALFA Race s.r.l., è stata pur sempre e comunque effettuata per conto e nell’interesse della predetta società che, in tal modo, ne ha acquisito e mantenuto la proprietà.

Detto questo, in relazione ai requisiti sopra evidenziati e, segnatamente, in ordine alla notorietà e/o agevole acquisibilità da parte di esperto del ramo dei particolari tecnico-costruttivi (c.d. quid inventum) cristallizzati nei disegni elaborati a fini di deposito della domanda di brevetto ALFA e per la progettazione e produzione dell’attacco NX già all’epoca di divulgazione dell’attacco Hareo GO, è stata disposta ed espletata apposita c.t.u. diretta a verificare, sulla scorta dei disegni tecnici versati in atti dalla parte attrice sub all. nn. 33-44, 46 e 94 bis, quali fossero gli elementi tecnici in essi contenuti già pubblici a seguito della domanda di brevetto MO 2007 A 000365 del 28.11.2007 e quali fossero facilmente accessibili atteso lo stato della tecnica, specificando, in caso positivo, quali di tali aspetti ed elementi fossero presenti nei prodotti Haeréo dell’ottobre 2009 e dicembre 2010. Dalla relazione di c.t.u. in atti, le cui conclusioni appaiono ampiamente argomentate ed immuni da contraddizioni di natura tecnica e logica, risulta che i disegni ALFA, relativi all’attacco da scialpinismo NX, realizzati dal XX, prevalentemente, nell’anno 2008 e, in parte, negli anni 2009 e 2007, contengono tutte le informazioni, tecnico-costruttive, necessarie per la realizzazione dell’attacco (puntale e talloniera) da scialpinismo NX, in quanto recano le indicazioni relative alle quote, ai materiali e alle lavorazioni.

Tali informazioni, invece, non risultano suscettibili di acquisizione né attraverso la domanda di brevetto, né dallo stato della tecnica nota all’epoca di divulgazione dell’attacco Haereo Go prodotto da Beta s.r.l.

Infatti, come puntualmente evidenziato dal CTU, la domanda di brevetto in questione descrive il puntale del predetto attacco NX sia dal punto di vista strutturale, che dal punto di vista funzionale, ma non contiene alcuna informazione sulla talloniera, né contiene gli insegnamenti tecnici derivabili dal disegno meccanico (quote, lavorazioni, trattamenti ecc.), sicchè l’operatore privo della tavola dei disegni tecnici ALFA non è in grado di realizzare la leva o forcella così come prevista in progetto e le relative informazioni non sono, quindi, ricavabili neppure dalle figure allegate alla predetta domanda di brevetto, la cui presentazione non ha perciò reso pubblici gli elementi tecnici, invece, rinvenibili nei disegni ALFA.

Quanto allo stato della tecnica costituito dalle anteriorità indicate dalla convenuta ed asseritamente anticipatorie degli elementi tecnici propri dell’attacco NX (brevetti europei EP 0 199 098 B1 e EP 1 559 457 B1; documenti Dynafit TLT 1993-2007; serie di attacchi in commercio come meglio indicati in atti), il CTU ha chiaramente affermato che tali anteriorità, pur presentando alcune analogie costruttive, strutturali, funzionali ed estetiche a quelle dell’attacco dell’attrice, non contengono, però, gli insegnamenti tecnici derivabili, invece, dai disegni meccanici ALFA (quote, lavorazioni, trattamenti), che, per tale ragione, non possono definirsi agevolmente accessibili neppure in base allo stato della tecnica.

I particolari meccanici, tecnici e costruttivi contenuti nei disegni ALFA, in quanto frutto dell’attività progettuale svolta dalla società attrice, costituiscono indubbiamente informazioni aziendali, di tipo tecnico, atte a governare il relativo processo produttivo e, per ciò, appartengono al patrimonio di conoscenze ed esperienze tecnico-costruttive della società medesima, il cui contenuto, ancorchè eventualmente non sottoposto a speciali misure atte a mantenerlo segreto, in quanto non facilmente acquisibile da terzi e non destinato ad essere conosciuto e divulgato all’esterno, deve essere comunque considerato riservato.

Accertata positivamente la sussistenza del requisito della riservatezza delle informazioni tecnico-aziendali in questione, deve ritenersi pure sussistente il requisito della loro rilevanza economica in ragione, da un lato, del significativo grado di penetrazione del mercato raggiunto dall’attrice attraverso la commercializzazione degli attacchi cui si riferiscono i predetti dati tecnico-costruttivi, e, dall’altro, dell’indubbio ed evidente vantaggio concorrenziale acquisito dalla società Beta s.r.l. che, in pochissimi mesi (da luglio a ottobre-novembre 2009) è riuscita ad inserirsi in modo rilevante e con prodotti di sua diretta produzione, in un segmento di mercato ad essa del tutto inedito ovvero nel quale essa, fino ad allora, aveva operato non in modo diretto ma solo quale distributrice di beni prodotti da altre aziende, mantenendo così e, anzi, ampliando sensibilmente la propria originaria quota di mercato.

Tuttavia, come peraltro statuito dal Giudice della cautela, con provvedimento alle cui condivisibili motivazioni deve farsi integrale rinvio, nel caso di specie, non è ravvisabile o, comunque, non è sufficientemente dimostrata, la sussistenza dell’ulteriore requisito richiesto dalla lett. c) del citato art. 98 CPI.

In particolare, non vi è prova che la società attrice avesse predisposto dispositivi o presidii volti ad impedire l’accesso e la conoscenza dei dati tecnici riportati nei suddetti disegni, né che avesse quantomeno impartito specifiche direttive in tal senso.

Infatti, pur trattandosi di patrimonio conoscitivo e tecnico di proprietà dell’attrice non agevolmente accessibile ab esterno e, quindi, riservato, non vi è prova che lo stesso fosse stato anche reso e mantenuto segreto nel senso in cui quest’ultimo termine è stato impiegato dal legislatore ed interpretato dalla giurisprudenza.

Secondo la prospettazione difensiva dell’attrice, invece, il requisito in esame, di cui alla lettera c) del citato art. 98 CPI, dovrebbe ritenersi sussistente in ragione del fatto che le suddette informazioni tecniche e, segnatamente, i predetti disegni tecnici erano custoditi in un personal computer privato, dotato di password ed in uso esclusivo al socio- amministratore e coprogettista XX.

La circostanza allegata dall’attrice appare, tuttavia, insufficiente a conferire ai dati aziendali in esame il carattere della segretezza nell’accezione di cui alla lett. c) dell’art. 98 CPI.

Si tratta, infatti, di misura non adeguatamente protettiva, in quanto, in primo luogo, le informazioni de quibus erano state immesse in un computer privato ed in dotazione esclusiva al XX anziché in un sistema informatico aziendale direttamente gestibile e controllabile dalla società.

In secondo luogo, la sua operatività ed efficacia erano state interamente affidate allo stesso soggetto sul cui operato e, segnatamente sull’utilizzo dei dati e delle informazioni in questione non risulta che la società abbia esercitato alcun controllo, dato specifiche direttive o posto limiti atti a prevenirne un uso abusivo.

L’inadeguatezza della misura in commento, poi, appare in tutta la sua evidenza ove si consideri che la verifica e la vigilanza sull’uso legittimo di tali informazioni aziendali avrebbero potuto essere attuate dalla società soltanto per il tramite dello stesso utilizzatore che, così, avrebbe assunto, contemporaneamente, le vesti, tra di loro incompatibili, di controllato- controllore.

Misura, questa, peraltro, suscettibile di elusione da parte di esperto informatico, e, comunque, di per sé non impeditiva del trasferimento a terzi dei dati in questione a seguito e per effetto del passaggio da parte del detentore del predetto personal computer alle dipendenze di altra azienda concorrente.

Conseguentemente, alla luce delle considerazioni che precedono, nel caso di specie, non è configurabile a carico dei convenuti la dedotta responsabilità per l’illecito di cui agli artt. 98-99 CPI.

Tuttavia, l’espressa riserva contenuta nell’art. 99 CPI, che fa salva, in ogni caso, la normativa in materia di concorrenza sleale, consente di ritenere sempre configurabili le fattispecie di concorrenza sleale costituite dall’utilizzazione di notizie riservate o, in genere, dall’utilizzazione di know-how aziendale, a condizione che l’utilizzo avvenga secondo modalità scorrette e che sia potenzialmente foriero di danno concorrenziale, potenziale o attuale.

E ciò, deve ancora ritenersi, sia nei casi in cui siano presenti tutti i requisiti delle informazioni segrete postulati dall’art. 98 CPI, sia nel caso in cui tali requisiti non sussistano o non ricorrano tutti, sicchè la condotta illecita, in tali casi, può ricevere soltanto tutela obbligatoria e non reale (v. a d es. Trib. Bologna, Sent. N. 516/2010 del 9/2/2010; 1/3/2010; 6/7/2010).

Ciò, indubbiamente, rappresenta un’apertura ad una tutela delle notizie riservate più ampia di quella prospettata dal citato art. 98 CPI, così come nell’elaborazione giurisprudenziale risulta acquisito, tanto da ricomprendervi le semplici conoscenze richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di una tecnologia (know-how in senso stretto; cfr. Cass. N. 85/1873; Cass. N. 92/659).

La configurabilità della concorrenza sleale richiede, quindi, in primo luogo, che le notizie rivelate a terzi o da questi acquisite o utilizzate fossero destinate a non essere divulgate al di fuori dell’azienda (v. Cass. civ. Sez. I, 13/10/2014, n. 21588), dovendosi, per ciò, trattare di informazioni riservate, nel senso, sopra delineato, di non facile accessibilità al loro contenuto. Costituisce, dunque, condotta di concorrenza sleale per violazione dei principî della correttezza professionale la condotta, potenzialmente dannosa, volta a carpire notizie riservate, anche non costituenti segreto industriale, relative ai processi produttivi e alle sostanze utilizzate per realizzare un dato prodotto da parte di un’impresa concorrente, senza necessità di accertare la presenza di prodotti simili sul mercato (Cass. Civ. Sez. I, 20/01/2014, n. 1100).

Conseguentemente, deve ritenersi violato il regime di leale concorrenza, a norma dell’art. 2598 n. 3 c.c., anche da parte di chi risparmia, con la sottrazione di dati riservati, quei tempi e quei costi di una autonoma ricostruzione delle informazioni industrialmente utili: con il conseguente compimento di atti concorrenzialmente sleali in relazione ad ogni acquisizione avvenuta per sottrazione e non per autonoma capacità di elaborazione.

Sulla sussistenza, nel caso di specie, del requisito della riservatezza o, comunque, della non agevole accessibilità delle notizie tecnico-costruttive in questione, è sufficiente fare integrale rinvio alle esaurienti conclusioni rassegnate sul punto dal CTU ed in precedenza esaminate in tema di sottrazione di informazioni segrete ex artt. 98-99 CPI.

Inoltre, che vi sia stato un effettivo travaso di informazioni aziendali di proprietà dell’attrice nel ciclo produttivo della convenuta società Beta s.r.l. lo si desume agevolmente da una pluralità di circostanze di fatto che, per la loro gravità, precisione e concordanza, costituiscono elementi di valutazione di tipo presuntivo, comunque idonei, singolarmente e nel loro insieme, a fondare il libero convincimento del Giudice, anche in ragione della mancata allegazione e dimostrazione da parte della convenuta di elementi di segno contrario in grado di scardinare il predetto complesso indiziario.

In particolare, come correttamente enunciato dal Collegio in sede di reclamo, risultano significativi in tal senso l’individuazione nella stessa persona del progettista dell’uno e dell’altro modello; l’inesistenza di una soluzione di continuità tra l’uscita del XX dalla società attrice, la sua entrata in Beta s.r.l. e la presentazione del modello Haereo GO; la palese contiguità dei prodotti; la mancanza di una esperienza specifica e diretta nel settore da parte della convenuta, la quale, al di là di generiche affermazioni e produzioni di documenti relativi a prodotti del tutto diversi, non ha affatto dimostrato di avere una struttura che le consentisse di elaborare quel progetto e in tempi così rapidi; la capacità manifestata da Beta s.r.l. di entrare nel mercato esattamente dopo l’arrivo del XX.

Al riguardo, va soprattutto evidenziato come il CTU abbia riscontrato che gran parte dei particolari costruttivi, tecnici e meccanici dell’attacco NX di ALFA Race s.r.l., riportati nei disegni contenenti, come detto, informazioni tecnico-aziendali riservate di proprietà di quest’ultima, sono presenti nell’attacco Haereo Go prodotto dalla società convenuta.

Tale circostanza, unitamente alla non facile acquisibilità delle predette informazioni tecniche custodite nel personal computer in uso al XX, socio-amministratore e coprogettista ALFA, a sua volta trasmigrato alle dipendenze di Beta s.r.l. pochi mesi prima della concreta realizzazione e divulgazione dell’attacco Hareo Go dal medesimo incontestatamente progettato, costituiscono, nel loro complesso, plurimi elementi di fatto, gravi, precisi e concordanti, sulla base dei quali è più che ragionevole ritenere che la realizzazione dell’attacco di Beta s.r.l. e, quindi, il suo ingresso nel settore di mercato degli attacchi da scialpinismo, fino ad allora frequentato solo in via indiretta e non per prodotti di sua fabbricazione, siano stati resi possibili, con tempistiche così rapide (tre-quattro mesi) rispetto a quelle impiegate dall’attrice (due-tre anni), soltanto attraverso lo sfruttamento abusivo e parassitario dei predetti dati tecnici riservati di proprietà dell’attrice e trasferiti alla società convenuta dal menzionato comune ideatore-progettista, con evidente parassitario risparmio, di risorse, costi, tempi ed oneri, da parte dell’abusiva utilizzatrice.

I convenuti Beta s.r.l. e XX, quindi, in concorso tra loro ex art. 2055 c.c., si sono resi responsabili di atti di concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale, in violazione del disposto di cui all’art. 2598, n. 3, c.c.

Tale statuizione impone, poi, l’inibitoria invocata dall’attrice al fine di impedire ai suddetti convenuti l’ulteriore prosecuzione dell’illecito sopra accertato mediante il compimento di attività di progettazione, produzione, commercializzazione e pubblicizzazione di attacchi da scialpinismo contenenti i particolari costruttivi di cui ai suddetti disegni tecnici di proprietà dell’attrice e specificamente sottoposti a verifica peritale, con conseguente ordine di ritiro dal commercio degli attacchi già prodotti. Quanto alla convenuta società Nuovi Gamma s.a.s., rimasta contumace, dalle acquisite risultanze istruttorie risulta che la stessa si sia limitata a svolgere il ruolo di mero rivenditore dell’attacco Hareo Go senza però alcun coinvolgimento, diretto o indiretto, nella pregressa attività illecita di sottrazione ed impiego, a fini progettuali e produttivi, delle predette informazioni riservate, sicchè a suo carico non può fondatamente affermarsi alcuna responsabilità in ordine all’illecito denunciato dall’attrice.

A questo punto non resta che valutare la sussistenza degli estremi dell’ulteriore illecito prospettato dalla società attrice ex art. 2598 n. 3 c.c., di concorrenza sleale tramite boicottaggio c.d. “secondario”, asseritamente consistito nelle pressioni indebitamente operate dalla società Beta s.r.l. al fine di costringere, in particolare, la ditta Helium di Stefano Tschager e quella di tale Albert Heicher a recedere dai rispettivi contratti di procacciamento d’affari e di agenzia stipulati con l’attrice.

Orbene, come noto, l’illecito de quo ricorre allorquando esista tra le parti un rapporto di concorrenza anche nella forma del rapporto tra imprese operanti a diversi livelli”, il boicottante versi in condizioni di obiettiva forza contrattuale pur se non equiparabili alla situazione che sta alla base dell’abuso di “posizione dominante”, le condotte imputate a titolo di boicottaggio siano caratterizzate da un “quid pluris” rispetto alle normali prassi commerciali essendo rivolte “allo scopo esclusivo di escludere il concorrente dal mercato” e, infine, sussista un “accordo discriminatorio”, nel senso “che un soggetto abbia esercitato pressioni su altri soggetti, imprenditori, perché si astengano da rapporti commerciali con il boicottato, a sua volta imprenditore”.

Ed invero, anche a voler prescindere da ogni considerazione circa la effettiva sussistenza in capo alla società convenuta di una condizione di oggettiva forza contrattuale prossima anche se non necessariamente coincidente con una posizione di vero e proprio dominio, nella fattispecie in esame, pare comunque carente la prova dell’accordo discriminatorio volto a impedire o ad ostacolare le relazioni commerciali tra l’imprenditore concorrente boicottato e i terzi.

Infatti, dall’espletata istruttoria orale e segnatamente dalle deposizioni testimoniali rese dai titolari delle ditte asseritamente costrette o indotte a recedere dai rapporti contrattuali con l’attrice, risulta che la decisione di liberarsi da tale vincolo negoziale, sorto con l’attrice in modo peraltro del tutto autonomo ed in epoca oltretutto successiva rispetto a quelli precedentemente instaurati tra i medesimi terzi e l’odierna convenuta, sia stata, in realtà, il frutto di una loro, sia pur sofferta, ma comunque libera ed incondizionata determinazione imprenditoriale, scevra da pressioni da parte della società Beta s.r.l. e motivata, sul piano della convenienza economico- commerciale, dall’interesse di mantenere in vita il pregresso e più conveniente rapporto negoziale, rispetto al quale la più recente relazione contrattuale con l’attrice si sarebbe posta in termini di incompatibilità a causa delle condizioni di esclusiva previste dai nuovi accordi. Incompatibilità negoziale, questa, che la convenuta ha verosimilmente fatto presente ai propri agenti, in termini probabilmente forti, ma commercialmente comprensibili e non anomali rispetto alle prassi consolidate, richiamandoli al rispetto delle pregresse relazioni contrattuali anche al fine di conservare l’integrità della propria rete-vendita.

Ne consegue che anche la domanda in esame deve essere rigettata.

Quanto alla domanda risarcitoria formulata dalla società attrice, la relativa richiesta va, in gran parte, rigettata.

Con riferimento al lamentato danno da lucro cessante, va evidenziato come l’attrice non abbia adeguatamente e specificamente contestato e confutato le documentate allegazioni di parte convenuta circa il reale andamento del fatturato di ALFA Race nel periodo di compresenza nel mercato degli attacchi NX e Haereo GO, e, in particolare, quelle attestanti, da un lato, la sostanziale irrilevanza del calo di fatturato registrato dall’attrice per poche migliaia di euro nell’anno 2009-2010, non necessariamente imputabile, in assenza di prove in tal senso, alla peraltro recentissima presentazione e commercializzazione del prodotto Beta, e, dall’altro, il suo considerevole incremento nell’esercizio successivo, sintomatico, quest’ultimo, di una progressiva e positiva penetrazione del mercato da parte dell’attacco NX, rivelatosi, di fatto, insensibile alla coeva presenza di prodotti concorrenti simili.

Quanto all’allegato minor incremento dei predetti fatturati rispetto alle previsioni tendenziali di periodo, si tratta di mere supposizioni non supportate da dati concreti e riscontrabili.

In ogni caso, non è dimostrato che il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dall’impresa attrice sia dipeso, sul piano eziologico, dalla produzione e commercializzazione degli attacchi Beta, tenuto soprattutto conto della duplice circostanza che l’attacco ALFA Race era anch’esso un prodotto di recente produzione e quello concorrente è stato compresente sul mercato per pochissimi mesi, e, precisamente, dalla fine dell’anno 2009 (epoca di presentazione e produzione dell’attacco Haereo GO) alla metà dell’anno 2010, epoca di adozione della misura cautelare di inibitoria.

Un arco temporale così ristretto, in assenza di elementi probatori di segno contrario, induce, quindi, a ritenere insussistente o, comunque, non direttamente imputabile alla convenuta il pregiudizio come sopra allegato dall’attrice.

Quanto alla richiesta di condanna della convenuta Beta s.r.l. al risarcimento del danno in termini di reversione degli utili che quest’ultima ha conseguito attraverso l’illegittimo impiego delle informazioni aziendali riservate abusivamente sottratte, al riguardo va rilevata la mancanza di sufficienti allegazioni e prove circa il fatto che gli utili che, per stessa ammissione di parte, sono stati effettivamente realizzati da Beta s.r.l. sarebbero stati, in tutto o in parte, conseguiti dall’attrice in assenza di condotte anticoncorrenziali della convenuta, atteso che anche il prodotto NX di ALFA Race era stato immesso sul mercato appena pochi mesi prima della produzione e commercializzazione dell’attacco Haereo Go, e che, inoltre, esso non rappresentava l’unico prodotto idoneo a soddisfare le esigenze ed i gusti dei consumatori di riferimento, esistendo, per allegazione della stessa attrice, altre aziende operanti nel medesimo settore, detentrici di ampie quote di mercato i cui prodotti erano anch’essi oggetto di forte domanda.

In relazione, poi, al danno asseritamente sofferto in conseguenza del passaggio del XX alle dipendenze delle convenuta, sul punto, è sufficiente evidenziare come non costituisca oggetto della presente causa alcuna ipotesi di responsabilità da storno di dipendenti.

Per quel che concerne, infine, il danno non patrimoniale lamentato dall’attrice in termini di pregiudizio all’immagine commerciale dell’impresa, va, al riguardo, rilevato un insanabile deficit assertivo e, soprattutto, probatorio dal quale discende inevitabilmente la reiezione della relativa richiesta, basata, appunto, su allegazioni del tuto generiche ed indeterminate, prive di concreto riscontro istruttorio.

Va, invece, accolta la domanda di risarcimento del danno c.d. emergente costituito, nel caso di specie, dagli oneri e costi sostenuti dall’attrice per il conseguimento della prova dell’illecito anticoncorrenziale sopra accertato.

In particolare, all’attrice va riconosciuto il ristoro del danno equivalente all’importo di € 429,00, speso dall’attrice per l’acquisto dell’attacco Haerèo G0 presso Nuovi Gamma s.a.s. (cfr. doc. 77 fascicolo cautelare).

Pertanto, i convenuti Beta s.r.l. e XX vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento del danno, della somma di € 429,00.

Trattandosi di importo dovuto a titolo di risarcimento del danno, costituente debito di valore, non liquidato all’attualità, la suddetta somma deve essere rivalutata secondo gli indici ISTAT dalla data del suo esborso da parte dell’attrice fino alla data della presente sentenza.

Inoltre, all’attrice spetta il risarcimento del danno da ritardato conseguimento della somma dovuta, da liquidarsi, in via equitativa, mediante attribuzione degli interessi di legge maturati sulla somma come sopra progressivamente rivalutata dalla data del fatto a quella della presente decisione.

Sull’importo come sopra complessivamente determinato, sono pure dovuti all’attrice gli ulteriori interessi legali dalla sentenza al saldo.

In ragione del tempo trascorso dall’epoca dei fatti, della loro ridotta estensione temporale e della loro indimostrata incidenza negativa sul patrimonio dell’attrice, si ritiene, invece, che le ulteriori misure invocate da quest’ultima, di pubblicazione della sentenza e di imposizione di penale pecuniaria, siano ipertrofiche e non consone alla reale entità della presente vicenda.

Infine, per quel che concerne le spese di lite, si ritiene che, in considerazione del parziale rigetto delle domande attrici e, comunque, dell’accertata responsabilità dei convenuti Beta e XX in ordine al l’illecito di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., nel caso di specie, ricorrano le condizioni per disporre la loro parziale compensazione in misura del 50%, liquidando, come da dispositivo, il restante 50% a carico dei suddetti convenuti, in solido tra loro.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

DICHIARA

i convenuti XX e Beta s.r.l. responsabili, in concorso tra loro ex art. 2055 c.c., di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c., per sottrazione ed utilizzo di informazioni aziendali riservate di proprietà della società attrice.

INIBISCE

ai predetti convenuti il compimento di attività di progettazione, produzione, commercializzazione e pubblicizzazione di attacchi da scialpinismo, comunque denominati, contenenti i particolari costruttivi di cui ai disegni tecnici di proprietà dell’attrice relativi all’attacco da scialpinismo denominato “NX e versati in causa sub all. nn. 33-44, 46 e 94 bis., ordinando il ritiro dal commercio degli attacchi da scialpinismo già prodotti da Beta s.r.l. e recanti i particolari costruttivi di cui ai suddetti disegni tecnici.

CONDANNA

i suddetti convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento del danno emergente, della complessiva somma di € 490,00, rivalutata e maggiorata di interessi legali nei termini precisati in motivazione.

RIGETTA

tutte le domande formulate dall’attrice nei confronti della convenuta Nuovi Gamma s.a.s., nonché le restanti domande proposte nei confronti di XX e Beta s.r.l.

DISPONE

tra la società attrice ed i convenuti XX e Beta s.r.l., la parziale compensazione delle spese processuali in misura del 50% e, per l’effetto, condanna i convenuti XX e Beta s.r.l., in solido tra loro, al rimborso in favore dell’attrice del restante 50% liquidato in € 2.000,00 per spese e € 13.000,00 per compenso di avvocato, oltre accessori se e come dovuti per legge.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile – Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, il 22/07/2015.

Il Presidente est.

dott. Giovanni Salina

Pubblicata il 27/07/2015

 

 

 

 

Fideiussione, in taluni casi è possibile concedere nuovo credito al terzo senza l’autorizzazione del garante

Cassazione civile, sez. I, 02/03/2016,  n. 4112

Nella fattispecie la ricorrente, fideiussore del marito,  proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, ha invocato l’art. 1956 cod. civ. per sottrarsi alle pretese della banca creditrice, ma la Corte d’Appello ha stabilito che la richiesta di autorizzazione ivi prevista doveva ritenersi nella specie irrilevante, tenuto conto che la moglie, stante il vincolo coniugale e di convivenza, era da considerare al corrente dell’aggravamento delle condizioni economiche del marito al punto da avere sostanzialmente assentito all’ulteriore credito.

La Corte di Cassazione ha confermato la correttezza di detta pronuncia. Diversamente da quanto eccepito nel ricorso, l’assenso del fideiussore, nel caso previsto dall’art. 1956 cod. civ., non impone la forma scritta, non potendosene affermare la configurazione in termini di accordo a latere del contratto bancario cui la fideiussione accede.

L’ipotesi contemplata dalla norma, che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia “fatto credito” al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate, non è necessariamente equiparabile alla instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore e il terzo cui debba poi estendersi la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE       Fabrizio                        –  Presidente   –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria                     –  Consigliere  –

Dott. ACIERNO     Maria                           –  Consigliere  –

Dott. TERRUSI     Francesco                  –  rel. Consigliere  –

Dott. NAZZICONE   Loredana                        –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4646-2011 proposto da:

D.R.G.  (C.F.  (OMISSIS)),   elettivamente

domiciliata in  ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso  l’avvocato  SABATINI

FRANCO, rappresentata  e difesa dall’avvocato MARCHIONNE  LANFRANCO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

U.C.M.B. – UNICREDIT MANAGEMENT CREDIT BANK, nuova denominazione  di

U.G.C. BANCA S.P.A., e per essa UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK,

Fatto

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.R.G. proponeva, in qualità di fideiussore e assieme al marito P.F., debitore principale, opposizione a un decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Pescara, su ricorso del Credito italiano s.p.a. (oggi Unicredit s.p.a.), per uno scoperto di conto corrente.

Eccepiva, per quanto in effetti ancora rileva, la propria liberazione dal vincolo, avendo la banca effettuato credito al garantito, senza autorizzazione di essa garante, per somme superiore all’affidamento, nonostante il mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.

L’opposizione veniva rigettata dall’adito tribunale, salvo il riconoscimento del diritto degli opponenti alla detrazione di una piccola somma.

L’appello della D.R. è stato a sua volta respinto dalla corte d’appello de L’Aquila, la quale, con sentenza in data 26-11-2010, ha ritenuto inammissibile per novità la deduzione relativa all’illegittimità della pretesa di pagamento di una somma superiore al limite massimo garantito e infondata la doglianza con la quale era stata invocata la liberazione del fideiussore per obbligazioni future ai sensi dell’art. 1956 cod. civ..

A tal proposito la corte ha in modo assorbente considerato che la mancata richiesta di autorizzazione da parte della banca non poteva configurare una violazione contrattuale liberatoria, in quanto la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi “comune” a creditore (rectius, debitore) e a garante, ovvero presunta in ragione del vincolo coniugale e dello stato di convivenza. Questi fatti – invero pacifici in causa costituivano, a dire della corte d’appello, elementi presuntivi di rilevante gravità, non superati da altri di segno contrario, in ordine “alla conoscenza da parte del fideiussore dell’aggravamento delle condizioni economiche del debitore e del suo sostanziale consenso all’ulteriore credito”.

Contro la sentenza citata la D.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. – Col primo mezzo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.per avere la corte d’appello erroneamente affermato la novità e di conseguenza l’inammissibilità di un profilo di censura, circa la pretesa di somme superiori al limite della garanzia, in verità mai prospettato.

Col secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1956 cod. civ., della L. n. 385 del 1993, art. 117 e dell’art. 2697 cod. civ. per avere la corte d’appello errato quanto al profilo afferente l’estinzione della fideiussione.

La tesi esposta nel secondo motivo è che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la speciale autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. imponeva la forma scritta, tenendo conto del sistema garantista e documentale attualmente in vigore per i contratti bancari e del fatto che detta autorizzazione riveste la qualifica di vero e proprio contratto in appendice alla fideiussione.

La ricorrente censura inoltre la decisione di merito nella parte in cui ha ritenuto che la conoscenza del garante circa l’aggravamento delle condizioni economiche del debitore avesse di per sè integrato l’autorizzazione citata, mentre la norma richiede che debba essere provata appunto la concessione dell’autorizzazione e non la conoscenza dello stato di aggravamento delle condizioni economiche dell’obbligato principale. In sostanza, ove anche fosse stata provata, nella fideiubente, la conoscenza dell’aggravamento, ella avrebbe potuto pur sempre negare l’autorizzazione per le future obbligazioni, e dunque in tal senso avrebbe dovuto essere comunque sollecitata a esprimersi dal creditore secondo il disposto di legge.

Sul piano logico-giuridico, poi, non poteva secondo la ricorrente giustificarsi la duplice affermazione della corte d’appello circa la presunzione di conoscenza della moglie in ordine alle condizioni economiche del marito e al conseguente consenso tacito alla concessione di ulteriore credito: dal primo punto di vista, si sarebbe stati dinanzi a una presunzione tutt’altro che grave precisa e concordante; dal secondo, a una illazione non poggiante su alcuna presunzione, stante che questa avrebbe dovuto riguardare un fatto positivo (l’autorizzazione) di cui nessuna dimostrazione era stata data.

  1. – Il ricorso è infondato in relazione al secondo motivo, il cui esame si palesa assorbente di ogni questione.
  2. – La ricorrente, fideiussore del marito, ha invocato l’art. 1956 cod. civ.per sottrarsi alle pretese della banca creditrice, ma la corte d’appello ha stabilito che la richiesta di autorizzazione ivi prevista doveva ritenersi nella specie irrilevante, tenuto conto che la moglie, stante il vincolo coniugale e di convivenza, era da considerare al corrente dell’aggravamento delle condizioni economiche del marito al punto da avere sostanzialmente assentito all’ulteriore credito.

Diversamente da quanto eccepito nel ricorso, l’assenso del fideiussore, nel caso previsto dall’art. 1956 cod. civ., non impone la forma scritta, non potendosene affermare la configurazione in termini di accordo a latere del contratto bancario cui la fideiussione accede. L’ipotesi contemplata dalla norma, che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia “fatto credito” al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate, non è necessariamente equiparabile alla instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore e il terzo cui debba poi estendersi la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore.

Essa comprende anche la semplice modalità di gestione di un rapporto obbligatorio già instaurato col terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, e dunque non implica affatto un nuovo contratto nè tra la banca e il debitore, nè tra la banca e il terzo fideiussore.

La norma costituisce molto più semplicemente un’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti (v. per tutte Sez. 1, n. 394-06) e perciò onera il creditore di un comportamento coerente col rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, tale da non ledere ingiustificatamente l’interesse del fideiussore.

  1. – Questa corte ha peraltro da tempo chiarito che vi possono essere casi in cui la richiesta di speciale autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ.non è necessaria perchè l’autorizzazione può essere ritenuta implicitamente o tacitamente concessa dal fideiussore. Il che è esattamente coerente col fatto che per l’autorizzazione, appunto, non è richiesta la forma scritta ad substantiam.

In guisa di simile principio è stato così affermato che i presupposti applicativi dell’art. 1956 cod. civ. non ricorrono quando, per esempio, in una stessa persona coesistono le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice, visto che la richiesta di credito, in tali casi, proviene sostanzialmente dalla persona fisica che somma la posizione di garante (v. Sez. 3, n. 7587-01, Sez. 1 n. 3761-06), donde la conoscenza della difficoltà economica del debitore devesi ritenere quanto meno comune.

Al di là di questa formula, sulla quale insiste la corte d’appello e che, invece, la ricorrente contesta in rapporto al distinto caso in cui il fideiussore sia il coniuge dell’obbligato, vi è che la ratio dell’insegnamento sta in ciò: che non è necessaria la richiesta di autorizzazione laddove possa ritenersi che vi sia già perfetta conoscenza, in capo al fideiussore, della situazione patrimoniale del debitore garantito.

Questo perchè tale perfetta conoscenza può essere considerata valida base di una presunzione di connessa autorizzazione tacita alla concessione del credito, desunta dalla possibilità di attivarsi mediante l’anticipata revoca della fideiussione per non aggravare i rischi assunti.

  1. – La corte d’appello non ha infranto i principi evocati, avendo appunto affermato, con apprezzamento di fatto non censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, e dunque insindacabile in questa sede, che il consenso (id est, l’autorizzazione) del fideiussore, essendo questi coniuge convivente del debitore, al corrente della di lui aggravata condizione economica, dovevasi considerare in effetti sostanzialmente acquisito.

Se è vero che, in ipotesi di concessione del credito nonostante il deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale può essere presunta comune al fideiussore, non è implausibile sostenere che tale sia anche, in relazione alle circostanze concrete, la condizione caratterizzante il coniuge dell’obbligato, ove sia desunta – come nella specie – dal legame tra debitore e fideiussore sorretto da vincoli stabili di comunione di vita e di interessi, tali da indurre a ritenere probabile – in mancanza di risultanze di segno contrario – sia la conoscenza sia il consenso del secondo.

Non si è in presenza, infatti, di una presunzione di secondo grado, notoriamente vietata, in quanto il fatto noto è costituito dalla stabile comunione di vita e di interessi tra fideiussore e debitore principale, cui segue la conoscenza del mutamento delle condizioni patrimoniali quale sintomo dell’autorizzazione tacita alla concessione del credito.

  1. – Tanto determina il rigetto del ricorso, assorbita rimanendo la questione prospettata nel primo motivo.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 20 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2016

 

 

Concorrenza sleale – norme ISO

Ordinanza Trib.le di Modena Sez. Distaccata di Carpi in data 7 gennaio 2010

Secondo una recente ordinanza del Tribunale di Modena, Sezione Distaccata di Carpi, emessa a seguito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. costituisce atto di concorrenza sleale per contrarietà ai principi della correttezza professionale (art. 2598 n. 3 c.c.) ed appropriazione di pregi (art. 2598 n. 2 c.c.) l’apporre una certificazione ISO sul proprio prodotto qualora le qualità dello stesso non siano più aggiornate alle ultime norme ISO .

Le conclusioni dell’ordinanza, poi confermata in sede di reclamo, sono in linea di principio da condividere. Il giudicante ha giustamente ritenuto che “non avrebbe senso, infatti, confidare su un prodotto che promette di essere dotato di caratteristiche realizzate secondo la migliore scienza ed esperienza del momento se questa non è più tale perché superata da conoscenze ed esperienze migliori”. D’altronde, sia la dottrina che la giurisprudenza erano da sempre concordi nel ritenere un caso tipico di illecita appropriazione di pregi l’apposizione al proprio prodotto di certificazione ISO qualora questa fosse avvenuta mentre il prodotto era privo delle qualità certificate (VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009; e App. Milano, 18 marzo 2006). Tuttavia l’ordinanza si spinge oltre ritenendo appunto che, non solo si ha illecita appropriazione di pregi quando il prodotto certificato sia completamente sprovvisto degli standard ISO, ma anche quando questo, per così dire, sia “rimasto indietro” nell’aggiornamento di detti standard, millantando caratteristiche che sono rispondenti alle vecchie norme ISO non più aggiornate con la recente normativa.

 

Trasporto – Contratto di subtrasporto: il submittente può fare valere la responsabilità risarcitoria del vettore in via diretta

 

Tribunale di Reggio Emilia  Sent. n.1203 del 23.09.14

 

Il vettore che  stipula un contratto di sub trasporto, risponde della regolarità dell’intero trasporto nei confronti del mittente, restando obbligato anche per il ritardo, la perdita o l’avaria imputabili al sub trasportatore.

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Vendita. Garanzia di buon funzionamento. Utilizzo del bene prima dell’integrale montaggio. Danno irrisarcibile

Cassazione Civ.  11.06.11 n. 9467

Nella fattispecie Tizio, titolare di un’officina meccanica, ordinava alla società Alfa S.p.A. un ponte sollevatore per autoveicoli, che, in seguito della consegna effettuata direttamente dalla società costruttrice, veniva poi installato dal tecnico specializzato incaricato dalla venditrice stessa.  In seguito ad un sinistro occorso per un’improvvisa inclinazione del ponte, Tizio, che  aveva riportato gravi lesioni,  instaurava  una causa per la risoluzione del contratto e le conseguenti statuizioni risarcitorie e restitutorie.

La Corte d’appello di Milano rigettava il gravame, e confermava la sentenza di primo grado, ritenendo l’incidente ascrivibile all’esclusiva colpa dell’infortunato, il quale, benché messo a conoscenza della provvisorietà del montaggio del macchinario, ancora necessitante di alcuni elementi e della necessità di un secondo intervento per la definitiva messa in opera, aveva imprudentemente ritenuto di metterlo in funzione pur essendo lo stesso non ancora idoneo all’uso.

La Corte di Cassazione respingendo il ricorso confermava le precedenti decisioni affermando che non sussiste responsabilità per vizi della cosa venduta o per difettoso funzionamento se l’acquirente imprudente utilizza il macchinario acquistato prima del suo definitivo montaggio.

Il possesso della cambiale non vale titolo

Cassazione Civile, Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 63

Con sentenza n. 63 del 10 gennaio 2012, n. 63, la III^ Sezione Civile della Corte di Cassazioni afferma il principio secondo cui il mero possessore di una cambiale che non risulti prenditore (né giratario) della stessa, difettando sul titolo l’indicazione del beneficiario, non può considerarsi legittimato a pretendere il pagamento del credito documentato, se non dimostri l’esistenza del rapporto giuridico da cui deriva tale credito. Ciò in quanto il semplice possesso della cartula non ha significato univoco, ai fini della legittimazione, non potendo escludersi che essa sia pervenuta al possessore abusivamente.

In siffatta ipotesi il documento non può neppure valere come promessa di pagamento, ai sensi dell’art. 1988 cod. civ., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti di colui al quale la promessa sia stata realmente fatta.   Ne deriva che il mero possessore di un titolo all’ordine, privo di valore cartolare, e dal quale perciò stesso non risulti che la promessa di pagamento è stata fatta in favore di chi lo possiede, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del suo diritto.