Mese: novembre 2016

Fondo patrimoniale. Il debito tributario sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può gravare sul fondo patrimoniale solo se contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

Cassazione Civ. n. 3600 del 24.02.16

La norma: Art.170 c.c.: l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Con la sentenza che si annota la Corte di Cassazione non ha  escluso la possibilità di procedere a esecuzione forzata  per i debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per gli stessi scopi.

Infatti, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità.

In sostanza per la Cassazione, i beni vincolati al fondo patrimoniale ben possono essere soggetti all’azione esattoriale per un credito del fisco. Dunque anche un debito tributario sorto per l’esercizio dell’impresa può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

L’onere di fornire la prova – possibile anche mediante presunzioni semplici o ricorrendo a criteri logici e di comune esperienza – che il debito per cui l’ente di riscossione intende procedere è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, grava sul debitore, ovvero sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.

Il caso di specie

L’ente di riscossione iscriveva ipoteca legale sull’immobile di Tizio per un debito che lo stesso aveva contratto nel corso della sua attività d’impresa. Tizio, avendo conferito tale immobile in fondo patrimoniale, proponeva opposizione all’esecuzione deducendo l’impignorabilità del bene. Il Giudice accoglieva l’opposizione di Tizio perché, in considerazione delle prove fornite, della sua attività lavorativa e dell’elevato importo del debito maturato, ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore.

La Corte di cassazione, trattandosi di valutazione che atteneva al merito della controversia, ha affermato di non poter interferire sul pronunciamento del primo giudice.

Occorre osservare, tuttavia, che in precedenti pronunce la Cassazione aveva affermato che, anche un debito di natura tributaria, sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, fermo restando che l’obbligazione sia effettivamente sorta per il soddisfacimento di tali esigenze, non potendosi dirsi sussistente il collegamento per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge (cfr. Cassazione civile sez. VI  24 febbraio 2015 n. 3738).

(Dr.ssa Eleonora Panini) 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI   Stefano                            –  Presidente   –

Dott. CIRILLO Ettore                             –  Consigliere  –

Dott. OLIVIERI Stefano                          –  Consigliere  –

Dott. TRICOMI Laura                         –  rel. Consigliere  –

Dott. VELLA   Paola                              –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16715/2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA in persona del Direttore Operativo pro  tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA EUDO GIULIOLI 47/B/18,  presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAZZITELLI, rappresentato e  difeso

dall’avvocato BARBARO CIRO GENNARO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALESSANDRO

MANZONI 81, presso lo studio dell’avvocato DONATO SENA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ORLANDELLA LIBERO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la  sentenza n. 346/2008 del TRIBUNALE  di  SANT’ANGELO  DEI

LOMBARDI, depositata l’08/07/2008;

udita la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del

24/03/2015 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per  il  controricorrente l’Avvocato RANIERI  delega  Avvocato

ORLANDELLA che ha chiesto il rigetto;

udito il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e

in subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

  1. I.A. a seguito della comunicazione dell’avviso di iscrizione di ipoteca legale sul bene di sua proprietà iscritto nel N.C.T. del Comune di Bisaccia, fol. 47, p.lla 218, proponeva opposizione all’esecuzione con ricorso depositato il 03.07.2006 dinanzi al Tribunale ordinario di Sant’Angelo dei Lombardi deducendo l’impignorabilità del bene esecutato ai sensi dell’art. 170 c.c., in quanto costituito in fondo patrimoniale, e chiedendo dichiararsi nullo l’atto di pignoramento.

L’opposta G.E.I. SPA si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa domanda per non aver operato alcun atto di pignoramento, sostenendo altresì la inoperatività dell’art. 170 c.c., per i crediti tributari.

  1. Con la sentenza n. 346/2008 del 03.07.08, depositata il 08.07.08 e non notificata, il G.M. del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi preliminarmente qualificava l’opposizione avverso l’iscrizione ipotecaria operata dal Concessionario alla riscossione quale “opposizione alla esecuzione” ex art. 615 c.p.c., comma 2, e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a; quindi riteneva la propria competenza quale giudice dell’esecuzione, trattandosi di opposizione proposta anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 248 del 2006. Ne affermava quindi l’ammissibilità perchè spiegata nei limiti del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), trattandosi di questione attinente alla pignorabilità del bene esecutato.

Di seguito affermava che l’esecutato poteva opporsi alla procedura esecutiva esattoriale anche prima della notifica dell’atto di pignoramento, che nel caso non era ancora avvenuta, e sulla scorta di tale considerazione qualificava diversamente la domanda.

Concludeva il G.O. affermando che il bene era stato sottoposto illegittimamente ad una procedura esecutiva in violazione dell’art. 170 c.c., non risultando il credito riconducibile ai bisogni familiari, e che in questi termini la domanda doveva essere accolta:

dichiarava pertanto l’illegittimità della iscrizione ipotecaria eseguita in data 07.03.06 ai danni di I.A. su istanza della GEI SPA di Avellino al n. di rep. 215/2006 e ne ordinava la cancellazione.

  1. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Equitalia Polis SPA (di seguito Equitalia) affidato a quattro motivi. Il contribuente resiste con controricorso e deposita memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente va respinta la eccezione di improponiblità, inammissibilità ed improcedibilità della domanda sollevata dall’intimato nel controricorso, assumendo che la ricorrente avrebbe illegittimamente adito la Suprema Corte per saltum, senza interporre appello.

1.2. Al riguardo la Corte ha già avuto modo di chiarire che le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione, pubblicate successivamente al 1 marzo 2006 e fino al 4 luglio 2009, non sono appellabili, in forza dell’art. 616 c.p.c., ultimo periodo, come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, (“ratione temporis” applicabile), ma solo ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, qualunque sia il contenuto della decisione o il motivo d’impugnazione (cfr. Cass. n. 19160/2014, n.18261/2014): questa è la disciplina applicabile alla sentenza di primo grado in esame, depositata l’08.07.2008 e l’eccezione va respinta.

2.1. Con il primo motivo l’Equitalia lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che il G.O. non aveva qualificato diversamente la domanda, ma impropriamente aveva modificato il petitum e formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nell’ipotesi in cui venga spiegata domanda giudiziale volta alla declaratoria di nullità di un pignoramento, il Giudice di merito, assumendo di qualificare diversamente la domanda, possa dichiarare la nullità dell’iscrizione ipotecaria, ovvero, se trattandosi di modifica del petitum, in applicazione dell’art. 112 c.p.c., non possa pronunciarsi su una domanda diversa da quella introdotta dal ricorrente”.

2.1. Il motivo è infondato e va respinto.

2.2. Innanzi tutto va ricordato che, come questa Corte ha già affermato, qualora sia controversa la qualificazione dell’azione in sede di procedimento esecutivo, assume rilievo decisivo quella data, in modo implicito od esplicito, dal giudice del merito al rapporto controverso, con la conseguenza che è esperibile l’impugnazione conseguente a tale qualificazione, indipendentemente dalla esattezza dell’inquadramento effettuato (Cass. n. 21683/2009, n. 8103/2007). Ne consegue che legittimamente il giudice dell’esecuzione esercita il potere di qualificazione dell’azione, in presenza di una prospettazione della parte che presenti aspetti di contraddittorietà o di incertezza tra il contenuto della domanda e l’azione esercitata.

2.3. Ciò premesso, va altresì considerato che, a tali fini, occorre tenere presente che l’opposizione all’esecuzione investe il diritto della parte istante di agire in executivis, mentre l’opposizione agli atti esecutivi consiste nella contestazione della regolarità formale dei singoli atti del procedimento esecutivo (cfr. Cass. n. 21683/2009). Poichè nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata senza che sul punto sia stata sollevata censura, l’opposizione è stata proposta deducendo la impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, quale unica ragione impeditiva della iscrizione ipotecaria, correttamente il giudice dell’esecuzione ha qualificato l’opposizione come “opposizione all’esecuzione” ( cfr.

Cass. sent. n. 11534/2014, n. 23891/2012) e la ha ritenuta ammissibile ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), senza che sia ravvisabile alcuna modifica del petitum, contrariamente a quanto sostenuto, in modo peraltro assertivo, dalla ricorrente che ha valorizzato con la sua censura l’utilizzo improprio del termine “atto di pignoramento” della parte privata, trascurando di considerare il contenuto dell’opposizione sul quale, correttamente, il giudice di primo grado ha fondato la riqualificazione dell’azione.

3.1. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che tale disposizione normativa introduce una limitazione al diritto del creditore di procedere in via esecutiva, ma non ha ricadute in tema di iscrizione ipotecaria. Formula a corredo il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di beni costituiti in fondo patrimoniale sia preclusa al creditore, in applicazione dell’art. 170 c.c., la possibilità di procedere ad iscrizione ipotecaria, ovvero, se l’art. 170 c.c., precluda, in presenza di determinati presupposti, al creditore solo l’espropriazione e non anche la facoltà di iscrivere ipoteca.”.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Va rilevato che lo stringato motivo e la formulazione del quesito, astratto, generico e indeterminato nel suo contenuto, impongono la declaratoria di inammissibilità.

3.3. Pur ricordando che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “L’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. 3 marzo 1973, n. 602, art. 77” (Cass. n. 5385/2013; cfr anche n. 3738/2015, n. 13622/2010), va tuttavia osservato che la ricorrente nel formulare il quesito richiama, quale elemento – a suo parere – condizionante la risposta, la “presenza di determinati presupposti” che tuttavia rimangono vaghi e privi di individuazione con riferimento alla fattispecie in esame, di guisa che alla indeterminatezza del quesito consegue l’inammissibilità.

4.1. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto sostiene che la disciplina, che preclude al creditore l’aggressione dei beni destinati al fondo patrimoniale, troverebbe applicazione solo per le obbligazioni di natura contrattuale. Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di credito di natura tributaria possa trovare applicazione l’art. 170 c.c., che richiede la prova della consapevolezza del creditore in ordine alla contrazione del debito per scopi estranei ai bisogni familiari, ovvero, se l’art. 170 c.c., non sia applicabile nei casi in cui l’obbligazione abbia natura extracontrattuale”.

4.2. Il motivo è infondato e va respinto.

4.3. E’ opportuno ricordare il dettato dell’art. 170 c.c., che così recita “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

La norma si occupa della possibilità dell’esecuzione, e nei termini prima ricordati sub 3.3. anche dell’iscrizione di ipoteca, su beni e sui frutti del fondo e sotto tale profilo evoca chiaramente l’iniziativa di un terzo estraneo al fondo. Essa esclude non in modo assoluto l’esecuzione, ma solo nel caso in cui la situazione per cui si procede sia insorta “per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e conosciuta dal creditore come tale.

4.4. Come questa Corte ha di recente chiarito l’evocazione nella sostanza 11 di tre distinte situazioni, quella dei “debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e, a contrario, quella dei “debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”, nonchè quella dei “debiti contratti per scopi non estranei ai bisogni della famiglia” e, quindi, assunti per soddisfare tali bisogni evidentemente dal soggetto che ha costituito il fondo conferendovi un bene e che normalmente dovrebbe rispondere, secondo la regola generale dell’art. 2740 c.c., con il suo patrimonio e, quindi, anche con esso, evidenzia che in realtà il legislatore ha voluto dettare una regola che non riguarda tanto l’inizio dell’esecuzione, bensì la forza stessa del titolo che potrebbe astrattamente svolgere la funzione di titolo per l’esecuzione sul bene facente parte del fondo patrimoniale, perchè, evidentemente, formatosi contro il coniuge o contro il terzo che costituì il fondo (Cass. n. 5385/2013).

4.5. Sulla scorta di tali considerazioni va quindi ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità (cfr.

Cass. n. 11230/2003, n. 12998/2006, n. 3738/2015).

Il motivo va pertanto respinto.

5.1. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta ancora la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e sostiene che il giudice di primo grado aveva superato la questione della conoscibilità della contrazione del debito per scopi estranei alle esigenze familiari, escludendo ogni relazione tra l’obbligazione tributaria ed i bisogni familiari, pur in assenza di prova, assumendo che il creditore avrebbe dovuto trarre consapevolezza della estraneità del debito alle esigenze familiari dalla natura tributaria dell’obbligazione riconducibile alla attività lavorativa autonoma del debitore.

Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi in cui l’obbligazione abbia natura tributaria e sia inerente all’attività lavorativa autonoma del debitore, debbano presumersi sussistenti i requisiti, richiesti, dall’art. 170 c.c., della estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari e della consapevolezza da parte del creditore di tale estraneità, ovvero, se in applicazione dell’art. 170 c.c., debba essere fornita la prova positiva della rottura della relazione che intercorre fra la produzione di reddito da parte del capofamiglia e la sua destinazione al sostentamento e allo sviluppo della famiglia nonchè della consapevolezza del creditore”.

5.2. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non risulta pertinente al decisum.

Il giudice di primo grado, contrariamente a quanto assume la ricorrente, non ha deciso in assenza di prova ed anzi si è attenuto al principio (cfr. Cass. n. 5385/2013) secondo il quale l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, e quindi, nel caso, sul debitore opponente, che deve provare che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, ed ha precisato che la, prova può consistere anche in “presunzioni semplici o nel ricorso a criteri logici e di comune esperienza” (fol. 4 della sent.).

Il giudice di merito ha quindi sviluppato il suo ragionamento giuridico su più elementi, puntualmente indicati, e cioè la fonte dell’obbligazione, costituita dall’attività lavorativa del contribuente, e l’elevato importo del debito tributario, ed ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore. Sul punto, giova ricordare peraltro che questa Corte ha già affermato che la prova di applicabilità dell’art. 170 c.c., alla stregua dei principi generali, ben può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., gravando comunque sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova (cfr. Cass. n. 4011/2013).

5.3. La censura pertanto appare non pertinente alla decisione.

La statuizione è basata su un accertamento in fatto. Questo, in quanto relativo alla riconducibilità o meno dei debiti alle esigenze della famiglia, è istituzionalmente riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr., da ultimo, Cass. n. 12730/07, n. 933/12): la statuizione avrebbe, eventualmente, potuto essere censurata sotto il profilo del vizio motivazionale.

6.1. In conclusione, il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto.

6.2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano a carico della Equitalia nella misura stabilita in dispositivo.

PQM

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

– rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro.7.000,00, oltre spese borsuali per Euro.150,00, IVA e CASSA. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2016

 

 

 

 

 

 

 

Saporè pizza da Re

Da qualche anno a questa parte possiamo affermare che si è inaugurato un nuovo ciclo, la Nouvelle vague della pizza, ovvero la rinascita di una tradizione gastronomica che aveva vissuto un periodo di appannamento e rischiava di diventare un prodotto standard, noioso, sempre appetibile e accattivante, ma monotono come tutti i cibi ripetitivi.

Del resto, ormai la pizza era sovente indigesta per via dell’impasto che aveva assunto i caratteri del seriale, panetti surgelati e magari preconfezionati, con buona pace della lievitazione.

Ebbene una nuova generazione di pizzaioli creativi ed entusiasti si sta affacciando sempre più prepotentemente alla ribalta del mercato e fa proseliti un tutta la penisola a riprova di un ritrovato dinamismo della categoria e dell’italian way of food. Evviva è così che si deve rilanciare il bel paese, per uscire da una crisi che è fatta anche di pigrizia, mancanza di idee e rassegnazione.

Ebbene in un angolo tra Verona e Vicenza sono nate, come d’incanto, una serie di pizzerie da urlo che nulla hanno da invidiare alla gastronomia stellata, tanto che il loro prodotto è stato definito pizza gastronomica. La fortuna di questi ristopizzaioli illuminati  è anche dovuta a un mulino che macina farine di alta qualità, il Mulino Quaglia (farine Petra), e da lì la scelta della lievitazione naturale dell’impasto, con lievito madre, nel rispetto dei tempi di lievitazione, e, infine, l’impiego di ingredienti selezionati di prima qualità (pomodori San Marzano, mozzarelle ecc.).

Parleremo in questa occasione di Renato Bosco fondatore di SAPORE’, un locale moderno situato  un paesino del veronese nei pressi dei grandi centri commerciali situati in corrispondenza dell’uscita autostradale  Verona est.

Così lo definisce una recensione alla quale aderiamo avendo provato e riprovato sul campo la maestria di questo pioniere della pizza gastronomica “È stato un percorso graduale, quello di Renato Bosco nel mondo della pizza. Ha iniziato per caso, o meglio per necessità, passando da cameriere a pizzaiolo per un’emergenza. Qualche anno fa ha aperto il suo locale di pizza da asporto, che. oggi è diventato una delle migliori pizzerie d’Italia. Merito di una grande passione, di un lungo studio su impasti e lievitazione, dei condimenti di qualità, spesso a base di prodotti dei Presidi Slow Food, e con grande attenzione alla stagionalità. Qui la pizza ha più anime – classica, in teglia, a metro o al taglio – tutte eccellenti.”

Il consiglio è di provare ad assaggiare tutto quello che è possibil,e lasciando al personale di compito d offrire una panoramica completa dei prodotti dalle focacce con il crudo agli assaggi di burrata e San Marzano. Insomma una panoramica per apprezzare l’arte di questo locale e del suo anfitrione.          I prezzi sono molto onesti, appena superiori a quelli di una normale pizzeria.                                            Lunga vita a questi giovani dell’Italia che ce la può fare.

 

SAPORÈ

Via Ponte 55/a | San Martino Buon Albergo (VR)

Tel/fax 045 8781791 | contatti@saporeverona.it

Orari di apertura

lunedì: 18.30 – 23

da martedì a domenica: 11.30 – 14,30 | 18 – 23

 

Estinzione della società

 (Cass. Civ., sez I, 15 ottobre 2012, n. 17637 )

 La pronuncia di legittimità in commento ha stabilito il principio per cui con la cancellazione viene meno la soggettività dell’ente, e con esso la sua capacità processuale, nonché la legittimazione attiva e passiva dei suoi organi, la quale, relativamente ai processi in corso, si trasferisce ai singoli soci.

Questi ultimi, infatti, a seguito della estinzione, divengono non solo responsabili nei confronti dei creditori sociali per i crediti rimasti insoddisfatti, nei limiti delle somme da loro riscosse nel bilancio finale di liquidazione, ma anche partecipi della comunione sui beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, con conseguente configurabilità di una successione a titolo universale che dà luogo, sul piano processuale, all’applicabilità dell’art. 110 c.p.c. Prima della cancellazione, invece, la legittimazione processuale spetta unicamente ai liquidatori ai quali l’assemblea della società abbia attribuito la rappresentanza della stessa, ai sensi dell’art. 2487 c.c., verificandosi, per effetto dell’iscrizione della nomina nel registro delle imprese, la cessazione della carica degli amministratori ed il sub ingresso dei liquidatori nei relativi poteri. Tale pronuncia si è posta quindi come un superamento in senso confermativo di quell’orientamento risalente della giurisprudenza secondo il quale l’atto formale di cancellazione di una società dal Registro delle Imprese, così come il suo scioglimento, con l’instaurazione della fase di liquidazione, non determinava l’estinzione della società ove non si fossero esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di .liquidazione, ovvero non fossero definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determinava, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti la perdita della legittimazione processuale della società ed un mutamento della rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permaneva in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (cfr, ex multis, Cass. Civ. 646/2007; Cass. Civ. 3221/1999).

Sia quindi che si segua il nuovo orientamento della Cassazione sia che si voglia optare per quello più risalente la ratio sottesa alle due scelte di campo è unica e cioè evitare che il processo si interrompa per il solo effetto della volontaria cancellazione, non rinvenendosi un successore della stessa legittimato a proseguirlo, e la società estinta possa agevolmente sottrarsi alle proprie obbligazioni (così App. Milano, Sez. I, ord. 1482/2008).

 

Concorrenza sleale – norme ISO

Ordinanza Trib.le di Modena Sez. Distaccata di Carpi in data 7 gennaio 2010

Secondo una recente ordinanza del Tribunale di Modena, Sezione Distaccata di Carpi, emessa a seguito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. costituisce atto di concorrenza sleale per contrarietà ai principi della correttezza professionale (art. 2598 n. 3 c.c.) ed appropriazione di pregi (art. 2598 n. 2 c.c.) l’apporre una certificazione ISO sul proprio prodotto qualora le qualità dello stesso non siano più aggiornate alle ultime norme ISO .

Le conclusioni dell’ordinanza, poi confermata in sede di reclamo, sono in linea di principio da condividere. Il giudicante ha giustamente ritenuto che “non avrebbe senso, infatti, confidare su un prodotto che promette di essere dotato di caratteristiche realizzate secondo la migliore scienza ed esperienza del momento se questa non è più tale perché superata da conoscenze ed esperienze migliori”. D’altronde, sia la dottrina che la giurisprudenza erano da sempre concordi nel ritenere un caso tipico di illecita appropriazione di pregi l’apposizione al proprio prodotto di certificazione ISO qualora questa fosse avvenuta mentre il prodotto era privo delle qualità certificate (VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009; e App. Milano, 18 marzo 2006). Tuttavia l’ordinanza si spinge oltre ritenendo appunto che, non solo si ha illecita appropriazione di pregi quando il prodotto certificato sia completamente sprovvisto degli standard ISO, ma anche quando questo, per così dire, sia “rimasto indietro” nell’aggiornamento di detti standard, millantando caratteristiche che sono rispondenti alle vecchie norme ISO non più aggiornate con la recente normativa.