Categoria: Tutela del credito

Come può il creditore rivalersi sui beni  ereditari se l’erede/debitore  non ha  formalmente accettato l’eredità ?

 

Per principio espresso dall’art.2740 del codice civile  “ il debitore risponde dell’adempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Tuttavia  sovente chi è gravato da debiti,  spesso consapevolmente, per sottrarre i beni alle pretese dei creditori, omette di compiere gli atti necessari per portare a compimento la pratica successoria. In questo modo il creditore non ha la possibilità di aggredire i beni dell’eredità fino a quando gli stessi rimangono intestati al defunto (gli immobili in particolare) e non risulta intervenuta l’accettazione dell’eredità.
La soluzione del problema può essere rappresentata – come nel caso di specie – dalla declaratoria di “accettazione tacita” dell’eredità laddove sussistano atti compiuti dall’erede/debitore che lascino presumere l’intervenuta  accettazione di fatto dell’eredità.
Ove tale prova non potesse essere disponibile occorrerebbe ricorrere al diverso procedimento previsto dall’art.481 c.c. perchè il giudice  assegni un termine all’erede per dichiarare se accetta l’eredità.
Con la sentenza che si annota il Tribunale di Reggio Emilia (I  sezione civile, Sentenza n. 383 del 22.03.2022  ), ha accolto la domanda avanzata dall’impresa creditrice che intendeva sottoporre a pignoramento il bene immobile, caduto in successione, destinato al debitore, affermando tra l’altro, il seguente principio:
“ Il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato (all’eredità), pur non presupponendo di per sé la volontà di chi li possiede di accettare l’eredità (potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato), rappresenta tuttavia circostanza valutabile, unitamente alla mancata redazione dell’inventario, ai fini dell’accertamento dell’accettazione “ex lege“, di cui sono elementi costitutivi, appunto, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. civ. 19.7.2006, n. 16507).” 

IL CASO. Con atto di citazione regolarmente notificato la Alfa Srl conveniva in giudizio Tizio, tra altri, chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte di Tizio, nella sua qualità di chiamato all’eredità relitta dalla madre defunta Sempronia.
La domanda proposta da parte attrice nei confronti di Tizio è stata ritenuta fondata e accolta.
Tizio, infatti, successivamente alla morte della madre Sempronia, pur ponendo in essere comportamenti concludenti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare tacitamente l’eredità della madre, aveva omesso l’espletamento degli adempimenti di legge  inerenti la dichiarazione di successione apertasi oltre 10 anni addietro.
In particolare Tizio aveva affidato nel corso dell’anno 2017 alla Alfa Srl l’appalto per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’appartamento nel quale aveva stabilito la propria residenza ininterrottamente per almeno nove anni dopo l’apertura della successione di Sempronia, atti che lo stesso convenuto non avrebbe dovuto compiere se avesse scelto di rinunciare all’eredità; lo stesso, del resto, essendo nel possesso dei beni ereditari non aveva provveduto a redigere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione.

Testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Dazzi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. 678/2021 promossa da:

ALFA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore ……….., con il patrocinio dell’avv. ORLANDI GIOVANNI;

ATTRICE

contro

TIZIO

CAIO

CONVENUTI

 

CONCLUSIONI

Parte attrice ha così precisato le conclusioni:

“Piaccia all’Ill.mo Sig. Giudice unico, contrariis reiectis:

Nel merito:

1)         dichiarare aperta la successione di SEMPRONIA nata a ………… il ………. e qui ivi deceduta …………..;

2)         dichiarare che TIZIO, ha accettato l’eredità del defunto genitore SEMPRONIA, avendo lo stesso compiuto atti manifestanti la volontà di accettazione riguardanti l’immobile posto in ………, Via ……… n. …….., int.6., unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio 39, mappale 299, sub. 42, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e Foglio 39 mappale 299 sub. 56, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99, immobile caduto nell’asse ereditario;

3)         accertare e dichiarare, pertanto, il subentro, ab intestato o a diverso titolo, dello stesso TIZIO, quale unico erede, nella titolarità del compendio ereditario facente capo alla Sig.ra SEMPRONIA del quale faceva parte la quota indivisa di 3/4 dell’appartamento afferente l’edificio condominiale posto in ………, Via ………. n. …, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al

–           Foglio 39, mappale 299, sub. 42, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e

–           Foglio 39 mappale 299 sub. 56, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99 ;

4)         accertare e dichiarare che CAIO, in qualità di comproprietario dell’appartamento con annesso garage, afferente l’edificio condominiale sito in …….., Via  ………. n. …, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio 39, mappale 299, sub. 42 e al Foglio 39 mappale 299 sub. 56, è obbligato in solido con il padre, TIZIO, all’adempimento degli oneri derivanti dal contratto d’appalto da quest’ultimo stipulato con la ALFA srl e, per l’effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l’opera dalla stessa prestata, ammontante ad € 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento;

5)         in via subordinata, dirsi tenuto CAIO a pagare alla ALFA Srl, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, la somma di € 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento;

6)         ordinare al Conservatore dei RR.II. di Reggio Emilia di provvedere, ai sensi dell’art. 2648 c.c., alla trascrizione della presente sentenza con esonero da sua responsabilità;

7)         pronunciare sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege;

8)         condannare delle parti convenute al pagamento delle spese e dei compensi professionali di causa oltre IVA e C.p.a. se e in quanto dovuti, nonché a eventuali spese di CTU e CTP”.

 

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.

Con atto di citazione notificato il 02/02/2021, ALFA Srl conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato

Tribunale, TIZIO e CAIO, chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte di TIZIO, nella sua qualità di chiamato all’eredità relitta dalla madre defunta SEMPRONIA.

Chiedeva inoltre di accertare e dichiarare che l’altro convenuto, CAIO, “in qualità di comproprietario dell’appartamento sito in ……….., int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al foglio 29, mappale 299”, fosse “obbligato in solido con il padre, TIZIO, all’adempimento degli oneri derivanti dal contratto d’appalto da quest’ultimo stipulato con la ALFA srl e, per l’effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l’opera dalla stessa prestata, ammontante ad € 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento”.

In via subordinata, chiedeva la condanna di CAIO al pagamento della “somma di € 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento”.

I convenuti non si costituivano in giudizio, di talché all’udienza del 20/05/2021 ne veniva dichiarata la contumacia.

Assegnati i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., la causa –  istruita solo documentalmente –  veniva rinviata all’odierna udienza per discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c.

 

Fatte queste premesse, la domanda proposta da parte attrice nei confronti di TIZIO è fondata e deve essere accolta.

TIZIO, infatti, successivamente alla morte della madre SEMPRONIA, deceduta a ……….il ………, ha posto in essere comportamenti concludenti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare tacitamente l’eredità della madre.

Sul punto, giova rammentare che l’art. 476 c.c. dispone che “..l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede..”, e che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che detta accettazione tacita possa essere desunta anche dal comportamento del chiamato che abbia compiuto atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (cfr. ex multis Cass. n. 22317/2014; Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 5226/2002; Cass. n. 7075/1999).

In effetti, il comportamento di TIZIO, emergente dalle produzioni documentali, consente di ritenere provati i fatti posti da parte attrice a fondamento della domanda di accertamento dell’accettazione tacita di eredità, dovendosi in particolare ritenere, in adesione alle argomentazioni svolte sul punto dalla ALFA Srl e sulla base della documentazione prodotta, che TIZIO, affidando nel corso dell’anno 2017 alla ALFA Srl l’appalto per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’appartamento, in cui egli è rimasto residente con la moglie anche dopo la morte della madre quantomeno sino al 17/12/2020 (doc. 31) ed ancora sino al 02/02/2021 (data di ricezione della notifica della citazione), abbia compiuto atti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare l’eredità della madre SEMPRONIA, come si è detto deceduta il 01/12/2011 (doc. 26), trattandosi di atti che lo stesso convenuto non avrebbe avuto il diritto di compiere se non nella sua qualità di erede.

L’appartamento nel quale sono stati effettuati i lavori in questione (unità censita in catasto al foglio 29, particella 299) era in comproprietà della de cuius SEMPRONIA, madre di TIZIO, per la quota di 3/4 (cfr. visura catastale di cui al doc. 32),

Si consideri che la ALFA Srl –   per i lavori commissionati da TIZIO ed eseguiti presso il succitato immobile, iniziati nel mese di giugno 2017 (cfr. comunicazione di inizio lavori del 12/06/2017  di cui al doc. 6) –  ha emesso nei confronti di TIZIO la fattura n. 8 del 13/03/2019, pari ad € 62.578,23 Iva compresa (€ 56.889,30 + Iva), e lo stesso

TIZIO è stato condannato da questo Tribunale a pagare alla ALFA Srl, a titolo di compenso per tali opere appaltate, la somma di € 54.118,98 + Iva con la sentenza n. 1048/2021 pubblicata il 21/09/2021 (procedimento RG 3392/2019), la quale ha accertato l’esistenza di contratto di appalto tra la ALFA Srl e TIZIO, avente ad oggetto proprio i predetti lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell’appartamento.

A ciò si aggiunga che, avendo TIZIO mantenuto la propria residenza presso tale immobile ininterrottamente per almeno nove anni dopo il decesso della de cuius SEMPRONIA, egli fosse nel possesso del predetto bene immobile, come si evince sia dai certificati di residenza in atti, sia dall’esito della notifica del 02/02/2021 della citazione introduttiva del presente giudizio.

Ciò posto, si rileva che, secondo costante giurisprudenza (v. Cass. n. 21436/2018), “in tema di successioni “mortis causa”, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l’accettazione da parte del chiamato, mediante “aditio” o per effetto di una “pro herede gestio”, oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.”

E’ stato affermato che “l’immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell’eredità, poiché non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare, cionondimeno, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l’inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice; tale onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d’inventario, ma anche quella di rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del “de cuius” (v. Cass. n. 15690/2020).

In definitiva, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato, pur non presupponendo di per sé la volontà di chi li possiede di accettare l’eredità (potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato), rappresenta tuttavia circostanza valutabile, unitamente alla mancata redazione dell’inventario, ai fini dell’accertamento dell’accettazione “ex lege”, di cui sono elementi costitutivi, appunto, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. civ. 19.7.2006, n. 16507)

La norma contenuta nell’art. 485 c.c. contempla, dunque, un’ipotesi di accettazione ex lege dell’eredità, prevedendo che il chiamato all’eredità che si trovi, a qualunque titolo, nel possesso dei beni ereditari assuma la qualità di erede puro e semplice qualora non provveda a redigere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità.

Nel caso di specie, ad avviso di questo Giudice, risultano integrati i requisiti della fattispecie di cui

all’art. 485 c.c.:  non risulta infatti agli atti essersi effettuato inventario ai sensi dell’art. 485 c.c.; sono provate l’apertura della successione e la delazione ereditaria; inoltre è dimostrata la circostanza del possesso dell’immobile oggetto dell’eredità materna da parte di TIZIO, tenuto conto delle certificazioni anagrafiche di residenza, che hanno un indubbio valore presuntivo, delle risultanze della notifica della citazione introduttiva del presente giudizio, e dei lavori in appalto commissionati nel 2017 alla ALFA Srl dallo stesso TIZIO, riguardanti l’abitazione nel quale risiede e di cui era comproprietaria la madre per la quota di 3/4, dai quali è agevole far discendere che TIZIO è stato, sin dalla data della morte della madre (01/12/2011), e quantomeno sino al 02/02/2021 (quindi per circa 9 anni), residente nell’immobile oggetto di successione e, quindi, nel possesso dell’immobile rilevante ai sensi dell’art. 485 c.c.

E’ dunque corretto ritenere presuntivamente provata l’avvenuta accettazione tacita dell’eredità da parte dello stesso quale erede puro e semplice (in mancanza di redazione dell’inventario).

Deve essere altresì accolta la richiesta di trascrizione della presente sentenza in presenza delle condizioni di cui all’art. 2648 c.c.

 

3.

Non è invece fondata la domanda svolta nei confronti di CAIO (figlio di TIZIO).

Va innanzitutto premesso che il contratto di appalto, come accertato nella summenzionata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1048/2021, passata in giudicato, è stato stipulato tra TIZIO (committente) e ALFA Srl (appaltatrice), e dunque CAIO, pur se di fatto informato dei lavori, non era parte di tale rapporto negoziale.

La fonte della sua obbligazione non può pertanto essere di natura contrattuale.

Parte attrice ha sostenuto –  a fondamento di detta domanda di condanna di CAIO al pagamento della somma di € 62.578,23 quale compenso dell’appalto stipulato tra TIZIO e ALFA Srl –  l’assunto secondo cui CAIO, quale comproprietario dell’immobile sul quale erano stati eseguiti i lavori di manutenzione straordinaria commissionati dal padre alla ALFA Srl, sarebbe “obbligato in solido per le obbligazioni contratte per la cosa comune”.

L’assunto non può essere condiviso.

Infatti, con riferimento alle obbligazioni assunte da TIZIO nell’interesse della cosa comune nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile –  la responsabilità dei comunisti è retta dal criterio della parziarietà e non già della solidarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse della cosa comune si imputano ai singoli comproprietari soltanto in   proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie (cfr. Cass. SS.UU., Sentenza n. 9148 del 08/04/2008).

Contrariamente dunque a quanto sostenuto dalla difesa attorea, non sussiste alcuna solidarietà passiva dei partecipanti alla comunione con riguardo alle obbligazioni assunte nell’interesse della cosa comune nei confronti di terzi.

La sentenza della Suprema citata da parte attrice (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21907 del 21/10/2011) riguarda la ben diversa fattispecie dei comproprietari di un’unità immobiliare sita in condominio che sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, e nella specie, la Suprema Corte ha chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato dalle summenzionate Sez. Un. n. 9148 del 2008, riguardando quest’ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale.

Improponibile risulta infine, sotto il profilo della sussidiarietà, la domanda subordinata svolta nei confronti di CAIO di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., ostando il carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento (artt. 2041 e 2042 cod. civ.). Si rammenta infatti che, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., uno dei presupposti per la proposizione dell’azione generale di arricchimento senza causa è rappresentato dalla sussidiarietà dell’azione (art. 2042 c.c.). L’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, abbia a disposizione, come avvenuto in specie, un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (cfr. Sezioni Unite n. 28042 del 25/11/2008).

Sulla base delle superiori considerazioni, la domanda principale svolta nei confronti di CAIO va quindi respinta in quanto infondata, e la domanda subordinata di arricchimento senza causa va dichiarata inammissibile in ragione del carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento (artt.

2041 e 2042 cod. civ.).

 

4.

Quanto infine alla regolamentazione delle spese d lite, nel rapporto processuale tra ALFA Srl e

TIZIO, le spese di lite, seguendo la soccombenza, vanno poste a carico di quest’ultimo.

Le spese si liquidano secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n.

37 del 2018.

Alla luce del valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di TIZIO, e della

bassa complessità delle questioni sottese a detta domanda, si applica lo scaglione da € 26.001,00 ad € 52.000,00; le fasi da prendere in considerazione sono quelle di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria; la natura non particolarmente complessa delle questioni di diritto e di fatto trattate, la natura documentale della causa, la mancata assunzione di prove costituende e l’adozione del modulo decisorio semplificato della discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c., giustificano una riduzione del 50% dei compensi di tutte le fasi, corrispondenti, rispettivamente, ad € 810,00, ad €

574,00, ad € 860,00 e ad € 1.384,00.

Anche il contributo unificato da riconoscere a parte attrice va parametrato al valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di TIZIO (€ 518,00), a cui occorre aggiungere la marca da bollo pari ad € 27,00.

Nulla invece deve disporsi in ordine alle spese nel rapporto processuale tra parte attrice e l’altro convenuto CAIO.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattese o assorbite, così provvede:

1)         Accerta e dichiara l’accettazione tacita dell’eredità di SEMPRONIA, deceduta a …….il……… , da parte di TIZIO, e conseguentemente che TIZIO è erede di SEMPRONIA.

2)         Ordina al Conservatore dei R.R.I.I. competente per territorio di provvedere alla trascrizione della presente sentenza con esonero da ogni sua responsabilità.

3)         Rigetta la domanda svolta in via principale da parte attrice nei confronti del convenuto CAIO.

4)         Dichiara inammissibile la domanda svolta in via subordinata da parte attrice nei confronti del convenuto CAIO.

5)         Condanna il convenuto TIZIO al pagamento, in favore di ALFA Srl, delle spese di lite, che liquida in € 3.628,00 per compenso, in € 545,00 per anticipazioni, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014.

 

Reggio Emilia, 22 marzo 2022

Il Giudice

dott. Damiano Dazzi

Tutela del credito. E’ pignorabile il credito derivante da un contratto preliminare ? Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2022, n. 31844

Con l’arresto  che si annota  è stato enunciato il seguente principio di diritto :
L’esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità a un rapporto giuridico identificato e già esistente; pertanto, anche il credito al pagamento del prezzo del promittente venditore, riveniente da un contratto preliminare, è suscettibile di pignoramento ex art. 543 c.p.c., giacché – per quanto eventuale, dipendendo la sua effettiva maturazione dalla realizzazione del programma negoziale, sia essa spontanea o coattiva, ex art. 2932 c.c. – è specificamente collegato a un rapporto esistente e possiede, quindi, capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento dell’assegnazione.”

IL CASO.  Il creditore di un’ingente somma di denaro sottoponeva a pignoramento il credito vantato dal proprio debitore nei confronti di due società in forza di una sentenza con la quale, ai sensi dell’art. 2932 c.c., era stata trasferita coattivamente alle seconde la quota di partecipazione detenuta dal primo in una società a responsabilità limitata, con conseguente condanna al pagamento in suo favore del corrispettivo.
Poiché le società terze pignorate avevano reso dichiarazioni sostanzialmente negative, il creditore procedente introduceva il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, all’esito del quale il Tribunale di Napoli dichiarava impignorabile il credito in questione, in quanto derivante da sentenza costitutiva non ancora passata in giudicato, con statuizione confermata all’esito del giudizio di appello, sebbene, nel corso dello stesso, la pronuncia resa ai sensi dell’art. 2932 c.c. fosse divenuta definitiva.
Il creditore procedente, dunque, proponeva ricorso per cassazione, contestando l’assunto in base al quale non poteva formare oggetto di pignoramento la posizione creditoria del proprio debitore scaturente dal contratto preliminare di vendita rimasto inadempiuto.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che oggetto di espropriazione presso terzi possono essere anche crediti non esigibili, condizionati o anche solo eventuali, purché suscettibili di una futura capacità satisfattiva, concretamente prospettabile al momento dell’assegnazione, in virtù della loro riconducibilità a un rapporto giuridico identificato e già esistente al momento del pignoramento, ivi compreso quello che ha titolo in un contratto preliminare rimasto inadempiuto.

Per leggere il testo integrale della  sentenza accedere al seguente link:     https://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20221027/snciv@s30@a2022@n31844@tS.clean.pdf

 

Donazioni e vendite fittizie di beni immobili, quali i rimedi esperibili dal creditore.

I casi del nostro studio

 Tutela del credito. Donazioni e vendite fittizie di beni immobili, quali i rimedi esperibili dal creditore.

Tribunale ordinario di Reggio Emilia, sezione civile I, sentenza n. 724 del 09.06.2022

Con la sentenza che si annota il Tribunale di Reggio Emilia accogliendo la domanda avanzata dalla parte istante, ha affermato i seguenti principi:

“Per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria (ndr. per l’annullamento dell’atto di disposizione compiuto dal debitore in frode ai creditori)  è sufficiente l’esistenza di una legittima ragione o aspettativa di credito, non occorrendo necessariamente un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale. Anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore.”

“In tema di azione revocatoria, per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni (cioè del  requisito  del pregiudizio alle ragioni del creditore)  non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell’incapienza dei beni del debitore.”

“Ad integrare il requisito del pregiudizio (eventus damni) è sufficiente una variazione sia quantitativa che meramente qualitativa del patrimonio del debitore, e, pertanto, pure la mera trasformazione di un bene in altro meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del denaro.”

“Nell’ipotesi di atto a titolo oneroso se esso è posteriore alla nascita del credito, l’art. 2901 c.c. richiede soltanto che il debitore ed il terzo fossero consapevoli (scientia damni) del fatto che attraverso l’atto il debitore diminuiva la garanzia spettante ai creditori, arrecando pregiudizio alle ragioni di questi ultimi.”

IL CASO. Con atto di citazione regolarmente notificato CAIO conveniva in giudizio TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA e MEVIA per sentire dichiarare, in via principale l’inefficacia ex art. 2901 c.c. (domanda revocatoria) nei propri confronti di una serie di atti di disposizione (tra i quali atti di donazione e vendita) di beni immobili a favore di alcuni parenti, ed in via subordinata per sentire dichiarare la simulazione assoluta di tali atti.

Resistevano i convenuti disponenti, assumendo, tra l’altro, che i restanti beni di loro proprietà potevano rappresentare garanzia sufficiente a vantaggio del debito.

Il Tribunale di Reggio Emilia sulla scorta dei superiori enunciati principi, ha dichiarato l’inefficacia ex art. 2901 c.c. nei confronti di CAIO dei suddetti atti; ordinato la trascrizione ed ogni altra formalità conseguente al provvedimento e condannato, in solido tra loro, i convenuti a rifondere a CAIO le spese di lite.

Il testo della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale civile e penale di Reggio Emilia, in persona del giudice Stefano Rago, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. 2634/2021 R.G. promossa

da

CAIO, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Orlandi      come da procura in calce all’atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Correggio (RE), Corso Mazzini n. 15

-attore-

contro

TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA, MEVIA,

tutti rappresentati e difesi dall’avv.……………. come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ……… (RE).

-convenuti-

OGGETTO: revocatoria ordinaria; azione di simulazione.

CONCLUSIONI

Per CAIO:

Piaccia All’Ill.mo Sig. Giudice unico, contrariis reiectis:

  1. A) In via principale per le causali di cui in narrativa, revocare ex art 2901 cc e dichiarare nulli e privi di efficacia,

nei confronti dell’attore, i seguenti atti pubblici:

  • atto di donazione con riserva di diritto di abitazione, compiuto da TIZIO e SEMPRONIA a favore della nipote MEVIA, in data 27/03/2019, rep. 805, a ministero Notaio X, di bene immobile sito in Comune di Correggio (RE);
  • atto di vendita dei diritti di nuda proprietà da parte di TIZIO e SEMPRONIA a favore della figlia LIVIA, in data 17/05/2019, rep. 841, a ministero Notaio X, di consistenza immobiliare sita in Comune di Correggio (RE);
  • atto di vendita dei diritti di nuda proprietà, da parte di TIZIO e SEMPRONIA a favore della nipote MEVIA, in data 17/05/2019, rep 840, a ministero Notaio X, di cespite immobiliare, sito nel Comune di Correggio (RE).
  • B) In via subordinata, per le causali di cui in narrativa, accertare la simulazione assoluta, e per l’effetto dichiarare nulli e/o inesistenti i seguenti atti pubblici:
  • atto di donazione con riserva di diritto di abitazione, compiuto da TIZIO e SEMPRONIA a favore della nipote MEVIA, in data 27/03/2019, rep. 805, a ministero Notaio X, di bene immobile sito in Comune di Correggio (RE).
  • atto di vendita dei diritti di nuda proprietà da parte di TIZIO e SEMPRONIA a favore della figlia LIVIA, in data 17/05/2019, rep. 841, a ministero Notaio X, di consistenza immobiliare sita nel Comune di Correggio (RE);
  • atto di vendita dei diritti di nuda proprietà, da parte di TIZIO e SEMPRONIA a favore della nipote MEVIA in data 17/05/2019, rep 840, a ministero Notaio X, di cespite immobiliare, sito nel Comune di Correggio (RE);
  • C) Ordinare al Conservatore dei Registri Immobiliari di Reggio Emilia di provvedere alla trascrizione della presente sentenza con esonero da sua responsabilità.

Con vittoria di spese e compensi professionali comprese le eventuali spese di CTU e CTP.

Per TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA, MEVIA:

Ogni diversa istanza, eccezione e deduzione respinta, voglia l’Ill.mo Tribunale adito:

In via principale:

integralmente respingere perché infondate in fatto e in diritto le domande formulate da CAIO nei confronti di TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA, MEVIA.
In via subordinata istruttoria:

ammettere la C.T.U. richiesta dalla difesa dei convenuti nella memoria depositata ai sensi dell’art.183 comma VI n.2 c.p.c.

In ogni caso:

Con vittoria di spese e compensi professionali del presente giudizio.

FATTI DI CAUSA

  1. Con atto di citazione regolarmente notificato CAIO conveniva in giudizio i genitori TIZIO e SEMPRONIA, nonché la sorella LIVIA e la nipote ex sorore MEVIA per sentire dichiarare, in via principale l’inefficacia ex art. 2901 c.c. nei propri confronti della donazione di beni immobili con riserva di diritto di abitazione effettuata dai nonni a favore della nipote MEVIA in data 27 marzo 2019, della vendita della nuda proprietà di beni immobili effettuata dai genitori a favore della figlia LIVIA in data 17 maggio 2019, ed altresì della vendita della nuda proprietà di beni immobili effettuata dai nonni a favore della nipote MEVIA in data 17 maggio 2019, ed in via subordinata per sentire dichiarare la simulazione assoluta di tali atti.
  2. Costituiti con un’unica comparsa depositata in data 29 settembre 2021, TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA E MEVIA , nel contestare il dedotto avversario, chiedevano il rigetto delle domande attoree.
  3. Alla prima udienza del 28 ottobre 2021 venivano concessi i chiesti termini ex 183, comma 6, c.p.c.

Depositate le memorie, la causa, ritenuta matura per la decisione, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 17 marzo 2022 sulle conclusioni precisate dalle parti come in epigrafe la causa veniva rimessa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. La controversia ha ad oggetto, in principalità, l’azione revocatoria e, in subordine, l’azione di simulazione assoluta di tre diversi atti (una donazione con riserva del diritto di abitazione e due vendite dei diritti di nuda proprietà) effettuati da TIZIO e SEMPRONIA a favore della figlia LIVIA e della nipote MEVIA.

Si tratta, in particolare, dei seguenti atti:

  • atto di donazione stipulato in data 27 marzo 2019 con il quale TIZIO e SEMPRONIA hanno donato a MEVIA, con riserva di diritto di abitazione, la nuda proprietà dell’immobile sito in Correggio (RE);
  • atto di compravendita stipulato in data 17 maggio 2019 con il quale TIZIO e SEMPRONIA hanno ceduto a LIVIA la nuda proprietà dell’immobile sito in Correggio (RE);
  • atto di compravendita stipulato in data 17 maggio 2019 con il quale TIZIO e SEMPRONIA hanno ceduto a MEVIA la nuda proprietà dell’immobile sito in Correggio (RE).

Preliminarmente, giova ricordare che l’azione di simulazione (assoluta o relativa) e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere proposte entrambe nello stesso giudizio in forma alternativa tra loro o, anche, eventualmente in via subordinata l’una all’altra, senza che la possibilità di esercizio dell’una precluda la proposizione dell’altra.

L’unica differenza tra la formulazione delle due domande in via alternativa, piuttosto che in via subordinata una all’altra, risiede esclusivamente nella circostanza che, nel primo caso, è l’attore a rimettere al potere discrezionale del giudice la valutazione delle pretese fatte valere sotto una species iuris piuttosto che l’altra, mentre nella seconda ipotesi si richiede, espressamente, che il giudice prima valuti la possibilità di accogliere una domanda e, solo nell’eventualità in cui questa risulti infondata (o, comunque, da rigettare), esamini l’ulteriore richiesta (Cass. 21083/2016 e Cass. 17867/2007).

  • È fondata l’azione revocatoria.

Come noto, la domanda ex art. 2901 c.c. presuppone, per la sua legittima esperibilità, la sussistenza congiunta dei seguenti elementi:

  • l’esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente;
  • l’effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell’atto dispositivo;
  • la ricorrenza in capo al debitore della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori (scientia damni), ovvero, laddove l’atto sia anteriore al sorgere del credito, la specifica intenzione di pregiudicare la garanzia del futuro credito (consi/ium fraudis);
  • nel caso in cui l’atto di disposizione sia a titolo oneroso, la ricorrenza di tale consapevolezza/dolosa preordinazione anche in capo al terzo acquirente.
  • Sussiste, anzitutto, il primo presupposto.

In via generale, si osserva che per l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria è sufficiente l’esistenza di una legittima ragione o aspettativa di credito, non occorrendo necessariamente un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale. Detta azione può essere pertanto esperita, unitamente alla sussistenza degli altri requisiti di legge, anche per tutelare crediti condizionali, non scaduti o soltanto eventuali, nonché per tutelare crediti che non siano liquidi, ossia determinabili nel loro ammontare né facilmente liquidabili (Cass. S.U. 9440/2004 e Cass. 1129/2012).

In particolare, anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c. avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (Cass. 11573/2013).

Ciò in coerenza con la funzione propria dell’azione revocatoria, la quale non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori (Cass. 24757/2008).

Nella specie, CAIO – premesso di aver pagato interamente il debito di € 55.000,00 oggetto della transazione conclusa con ALFA in data 5 dicembre 2017 a fronte del maggior credito vantato dal suddetto istituto bancario nei confronti suoi e dei genitori sulla base della sentenza n. 1892/2017 del Tribunale di Modena – ha dedotto di essere creditore di TIZIO e SEMPRONIA quali coobbligati e di avere agito in regresso nei loro confronti chiedendo ed ottenendo dal Tribunale di Reggio Emilia decreto ingiuntivo in data 26 luglio 2018 con il quale era stato ingiunto a ciascuno dei due predetti debitori di pagargli, a tale titolo, la somma di € 18.333,33, oltre interessi e spese della procedura.

Pertanto, ancorché il decreto ingiuntivo sia stato opposto dagli odierni convenuti e sia ancora pendente la causa di opposizione (iscritta al n. 4952/2018 R.G.), il credito vantato dall’attore, seppur litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere, in capo a CAIO, della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso gli atti dispositivi compiuti dai debitori, senza che il presente giudizio sia soggetto alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. sollecitata dai convenuti (Cass. 3369/2019 e Cass. 2673/2016).

Non possono, invece, considerarsi sussistenti, ai fini della proponibilità dell’azione revocatoria, gli altri crediti prospettati dall’attore, il quale ha riferito di essere debitore, unitamente ai genitori, nei confronti della società cessionaria dei crediti vantati da altre due banche per le somme di € 168.202,14 e di € 107.535,88 in forza di fideiussioni prestate a favore della società (la BETA s.r.l.) di cui sono soci, atteso che, non risultando essere giunta a conclusione l’asserita      transazione con la creditrice, non è    neppure dato comprendere, allo stato, il titolo che legittimerebbe la sua pretesa creditoria nei confronti dei condebitori solidali.

Dunque, l’attore ha agito in revocatoria nei confronti di TIZIO e SEMPRONIA a tutela    del proprio credito che, ancorché litigioso, ammonta ad € 18.333,33 a carico di ciascun debitore.

  • Sussiste, altresì, il requisito dell’eventus damni.

Avendo l’azione revocatoria ordinaria la funzione di ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non anche della garanzia specifica, ne consegue che deve ritenersi sussistente l’interesse del creditore, da valutarsi ex ante – e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione -, a far dichiarare inefficace un atto che renda maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito, sicché per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell’incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo (Cass. 5105/2006 e Cass. 12144/1999).

Ad integrare il pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni) è a tale stregua sufficiente una variazione sia quantitativa che meramente qualitativa del patrimonio del debitore (Cass. 5972/2005, Cass. 20813/2004, Cass. 12144/1999), e pertanto pure la mera trasformazione di un bene in altro meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del danaro (Cass. 966/2007), in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (Cass. 15310/2007, Cass. 3470/2007, Cass. 7262/2000). Il riconoscimento dell’esistenza dell’eventus damni non presuppone, peraltro, una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (Cass. 5105/2006).

Tanto premesso, è evidente che con gli atti compiuti da TIZIO e SEMPRONIA sia stata resa più incerta o difficile la soddisfazione del credito, avendo gli odierni convenuti, coniugi debitori, ceduto (pacificamente) tutti gli immobili di loro proprietà (cfr. pagina 6 della comparsa costitutiva) con conseguente rilevante modifica qualitativa e quantitativa della loro garanzia patrimoniale (tra le molteplici pronunce in cui è stato ravvisato l’eventus damni nel caso di atto dispositivo dell’unico immobile di proprietà del debitore, cfr. Cass. 966/2007 e Cass. 5816/2008).

A fronte di tali atti di per sé idonei a compromettere la garanzia generica del  creditore, i convenuti, nel richiamare (quantomeno implicitamente)      un noto orientamento giurisprudenziale       ( Cass.

21808/2015,       Cass.     17096/2014,               Cass. 4467/2011,      Cass.

24757/2008,       Cass.      7767/2007,                Cass. 5972/2004,      Cass.

11471/2003), hanno eccepito, invero, che i negozi in contestazione non arrecherebbero alcun pregiudizio all’attore, deducendo, a riguardo, di essere soci della GAMMA s.n.c., non gravata da debiti ma, anzi, proprietaria di due vasti attigui capannoni industriali siti a Correggio (RE), aventi un valore solo catastale di € 666.918,00 e di € 517.986,00, nonché di un edificio residenziale non ancora accatastato costruito sul terreno di pertinenza di uno dei capannoni, tutti liberi da ipoteche e trascrizioni pregiudizievoli.

La tesi non è condivisibile.

Anzitutto, premesso che la quota di una società di persone (quale è la GAMMA s.n.c.), se non “liberamente” trasferibile in forza di disposizione dell’atto costitutivo (Cass. 15605/2002), è sottratta, finché dura la società, alle azioni esecutive dei creditori particolari dei soci (quale è CAIO), potendo costoro far valere i loro diritti         sulla  stessa solo quando, esaurita la liquidazione della società, sarà attribuita al socio la quota di liquidazione (art. 2305 c.c.), i convenuti, omettendo la produzione dello statuto della società o comunque della documentazione societaria idonea a verificare le condizioni di libera trasferibilità della loro partecipazioni, non hanno dimostrato l’espropriabilità delle loro quote e, dunque, la possibilità per l’attore di soddisfarsi su di esse (cfr. Cass.       3538/2019  e        Cass. 23743/2011, che hanno precisato come il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni, tale da determinare l’insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, sia quello in cui viene compiuto l’atto di disposizione dedotto in giudizio ed in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all’atto di disposizione).

In secondo luogo, anche a prescindere dalla superiore dirimente considerazione, poiché non è richiesta, a fondamento dell’azione revocatoria      ordinaria,    la       totale                     compromissione della consistenza patrimoniale del debitore ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’eventus damni continua a sussistere, in quanto le cessioni in contestazione hanno comportato di  per sé  un obiettivo impoverimento del patrimonio dei debitori ed hanno reso in ogni caso più difficile a CAIO il recupero del credito.

Infatti, deve osservarsi – per un verso – che i convenuti, lungi dall’allegare il valore delle loro quote, si sono limitati a richiedere una C.T.U. volta a stimare tale valore, la quale, tuttavia, in assenza di produzione di qualsivoglia documentazione contabile, si palesa assolutamente esplorativa, e – per altro verso – che a seguito degli atti impugnati il patrimonio dei debitori è sicuramente assai meno capiente e più difficilmente aggredibile da parte dell’attore, al quale non resterebbe che fare unicamente affidamento su quote (peraltro minoritarie, pari al 10% ciascuno, essendo le restanti quote intestate a CAIO ed alla di lui figlia) di una società di persone dall’incerta e non attuale liquidazione e, dunque, non sufficienti a costituire una residualità patrimoniale di ampiezza tale da garantire il sicuro soddisfacimento delle ragioni creditorie, non essendo allo stato in alcun modo prevedibile né ipotizzabile se ai soci debitori potrebbe essere in futuro attribuita la quota di liquidazione in natura, mediante l’assegnazione di beni immobili, oppure in denaro, con conseguente maggiore difficoltà di soddisfacimento in sede esecutiva.

Dunque, deve ritenersi provato il concreto pericolo di danno derivante dalle cessioni de quibus.

1.1.3. In ordine allo stato soggettivo di coloro che hanno partecipato al negozio, l’atteggiamento soggettivo del debitore e del terzo (destinatario degli effetti dell’atto di disposizione) acquistano rilievo differente a seconda che si tratti di atto dispositivo anteriore o posteriore al sorgere del credito ed in ragione della onerosità o della gratuità dell’atto.

Come è noto, nell’ipotesi di atto a titolo oneroso:

  • se esso è posteriore alla nascita del credito, l’art. 2901 c.c. richiede soltanto che il debitore ed il terzo fossero consapevoli del fatto che attraverso l’atto il debitore diminuiva la garanzia spettante ai creditori, arrecando pregiudizio alle ragioni di questi ultimi (scientia damni); si prescinde dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione revocatoria (Cass. 987/1989, Cass. 5741/2004, Cass. 10623/2010) e non assume rilevanza anche una collusione fra il debitore ed il terzo, né lo stato d’insolvenza dell’uno, né la conoscenza di tale stato da parte dell’altro (Cass. 1007/1990 e Cass. 11518/1995);
  • se esso è anteriore alla nascita di un credito, è necessaria sia la dolosa preordinazione del debitore (consi/ium fraudis) sia la partecipazione o la conoscenza del terzo in ordine all’intenzione fraudolenta del debitore (partecipatio o scientia fraudis), cioè la conoscenza da parte di questi della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro (Cass. 11577/2008); ad integrare l’animus nocendi richiesto dall’art. 2901, comma 1, n. 1, c.c., è tuttavia sufficiente il mero dolo generico, e cioè la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio dei creditori, e non è, quindi, necessaria la ricorrenza del dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore (Cass. 24757/2008 e Cass. 21338/2010), e tale elemento psicologico può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni (Cass. 24757/2008); la prova della participatio fraudis del terzo ex 2901, comma 1, n. 2, c.c., può essere ricavata anche da presunzioni semplici (Cass. 11577/2008 cit.), ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass. 5359/2009).

Nel caso, invece, di atto a titolo gratuito:

  • se esso è posteriore al sorgere del credito, è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore (e non anche del terzo beneficiario), del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, si sia arrecato alle ragioni del creditore (scientia damni), consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. 17867/2007);
  • se esso è anteriore al sorgere del credito, è necessaria la dolosa preordinazione dell’atto da parte del debitore ai fini di pregiudicarne il soddisfacimento (consi/ium fraudis): non è al riguardo necessario il dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore (alla data di stipulazione) di pregiudicare le ragioni del creditore e di contrarre debiti ovvero la consapevolezza da parte sua del sorgere della futura obbligazione, e che l’atto dispositivo venga compiuto al fine di porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto; deve, al contrario ritenersi sufficiente il dolo generico, sostanziantesi nella mera previsione del pregiudizio dei creditori; ad integrare l’animus nocendi previsto dalla norma, ossia l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore, è da ritenersi sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore (Cass. 24757/2008).

In via generale, l’acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. 22465/2006).

Nel caso di specie, è evidente la posteriorità di tutti gli atti impugnati rispetto alle notifiche (ricevute in data 6 settembre 2018: cfr. doc. 8 dell’attore) del decreto ingiuntivo portante i crediti fatti valere dall’odierno attore.

Dunque, pur essendo dirimente rilevare come i convenuti non abbiano minimamente contestato la sussistenza del requisito soggettivo (art. 115 c.p.c.), è sufficiente richiamare il chiaro contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese da LIVIA e MEVIA nella succitata causa di opposizione a decreto ingiuntivo al fine di affermare la piena consapevolezza, in capo a tutti gli odierni convenuti, di pregiudicare gli interessi di CAIO (cfr. verbale d’udienza dell’11 novembre 2020 sub doc. 18 dell’attore).

Premesso, poi, che con riguardo alla donazione a favore di MEVIA in data 27 marzo 2019 è sufficiente la mera consapevolezza nei debitori di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, devesi osservare, in ogni caso, che TIZIO e SEMPRONIA non potevano non rendersi conto dell’oggettivo depauperamento del proprio patrimonio e delle conseguenti difficoltà di soddisfacimento delle ragioni di credito ingenerate non solo da tale donazione, posta in essere solo sei mesi dopo il ricevimento del suddetto provvedimento monitorio, ma anche dagli altri due successivi atti di vendita, con i quali è stato portato a compimento il proposito di sottrarre alle ragioni del creditore tutti i beni immobili (cfr. Cass. 7507/2007, secondo cui, in tal caso, l’esistenza e la consapevolezza del debitore del pregiudizio patrimoniale possono ritenersi in re ipsa).

Indubbia essendo la consapevolezza in capo ai disponenti, deve ritenersi che – a prescindere dalle risultanze delle surriferita prova testimoniale – analoga consapevolezza, in relazione alle due vendite in data 17 maggio 2019, avessero anche le acquirenti LIVIA e MEVIA, avuto riguardo:

  • allo stretto rapporto di parentela tra disponenti e beneficiari (LIVIA è figlia di TIZIO e SEMPRONIA, mentre MEVIA è nipote di questi ultimi nonché figlia di LIVIA) (Cass. 1286/2019);
  • alla sequenza temporale degli atti dispositivi, compiuti lo stesso giorno col ministero del medesimo notaio ed a distanza di meno di due mesi dalla donazione conclusa il giorno precedente la prima udienza fissata nella citazione in opposizione a decreto ingiuntivo;
  • alla contestuale vendita di una pluralità di beni che esauriscono il patrimonio immobiliare del debitore (cfr. Cass. 18034/2013, Cass. 7104/2005, Cass. 6248/1999, secondo cui, in tal caso, l’esistenza e la consapevolezza dei terzi acquirenti del pregiudizio patrimoniale sono in re ipsa);
  • alla natura immobiliare dei beni oggetto dei trasferimenti, in assenza di titolarità in capo ai debitori di altri beni immobili sui quali il creditore avrebbe potuto far valere le sue ragioni (Cass. 5359/2009);
  • alla contestuale previsione della riserva del diritto di usufrutto non solo sull’immobile, dove effettivamente i coniugi convenuti risultano risiedere (cfr. notifiche della citazione introduttiva di questo giudizio), ma anche su quello alienato alla figlia che ivi risulta residente, dopo essersi i medesimi disponenti già riservati il diritto di abitazione sull’immobile donato alla nipote che ivi risulta residente (Cass. 13477/2013);
  • all’anomalia della tipologia di vendita in favore di LIVIA, con una lunga dilazione di pagamento, senza interessi (in cinquantasette rate mensili posticipate dell’importo di € 2.000,00 ciascuna, scadenti l’ultimo giorno del mese a partire dal 30 maggio 2019 con scadenza dell’ultima al 28 febbraio 2024), di cui peraltro non è stata fornita alcuna prova, e con rinuncia, altresì, alla ipoteca legale (Cass. 21503/2011);
  • alla mancanza di un motivo oggettivo idoneo a rendere ragione della vendita in favore di MEVIA, che solo un mese e mezzo prima aveva ricevuto in donazione dai nonni l’immobile dove risulta effettivamente risiedere (Cass. 13447/2013).

Pertanto, non può dubitarsi della consapevolezza dei convenuti in ordine al pregiudizio che i predetti atti dispositivi avrebbero arrecato all’attore.

Ne consegue, in base alle argomentazioni sopra svolte, che, ritenuti sussistenti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione revocatoria proposta ai sensi dell’art. 2901 c.c., va dichiarata come richiesta l’inefficacia nei confronti di CAIO di tutti gli atti in contestazione.

  • L’accoglimento della domanda revocatoria, proposta in via principale, rende superfluo l’esame della domanda subordinata di simulazione dei medesimi atti.
  1. Le spese seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.) e si liquidano in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modificazioni, secondo i parametri medi delle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria in relazione alle controversie di valore compreso tra € 26.001,00 ed € 52.000,00 determinato in ragione dell’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione revocatoria è diretta (art. 5 D.M. cit.) (cfr. Cass. 19989/2021 e Cass. 89/2021, secondo cui la liquidazione delle spese processuali, se contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica).

Pertanto, i convenuti vanno condannati, in solido tra loro, a pagare all’attore la somma di € 7.254,00 per compenso e di € 1.230,35 per esborsi, come da nota spese depositata in allegato alla memoria di replica.

P.Q.M.

Il   Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così giudica:

  1. dichiara l’inefficacia ex 2901 c.c. nei confronti di CAIO dei seguenti atti:
  • atto di donazione con riserva di diritto di abitazione, stipulato tra TIZIO e SEMPRONIA, da un lato, e MEVIA, dall’altro, a ministero Notaio X, in data 27 marzo 2019 (Rep. n. 805 e Racc. n. 557);
  • atto di vendita della nuda proprietà, stipulato tra TIZIO e SEMPRONIA, da un lato, e LIVIA, dall’altro, a ministero Notaio X, in data 17 maggio 2019 (Rep. n. 841 e Racc. n. 581);
  • atto di vendita della nuda proprietà, stipulato tra TIZIO e SEMPRONIA, da un lato, e MEVIA, dall’altro, a ministero Notaio X, in data 17 maggio 2019 (Repertorio n. 840 Raccolta n. 580);
  1. ordina la trascrizione ed ogni altra formalità conseguente al presente provvedimento;
  2. condanna TIZIO, SEMPRONIA, LIVIA E MEVIA, in solido tra loro, a rifondere a CAIO le spese di lite, che liquida in € 1.230,35 per esborsi ed € 7.254,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, CPA ed IVA (se dovuta) come per legge.

Così deciso in Reggio Emilia il 9 giugno 2022.

IL GIUDICE Stefano Rago

Cessione di crediti in blocco – NPL – Banche

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI REGGIO EMILIA

Il Giudice di Pace di Reggio Emilia, nella persona della Dr. Rita Rosa ha pronunciato la seguente             sentenza

nella causa iscritta nel ruolo generale affari contenziosi con il n. 3718/20198 promossa da Caio rappresentato e difeso dall’Avv.. Giovanni Orlandi in forza di procura alle liti in calce all’atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, a Correggio (Reggio Emilia), Corso Mazzini n. 15

  • parte attrice opponente

CONTRO

Istituto Finanziario S.R.L. tramite il procuratore della Tizio Srl    in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’Avv. AO e dall’avv. RZ in forza di procura in calce all’opposto ricorso per ingiunzione ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in………

  • parte convenuta opposta
  • OGGETTO: Opposizione a D.l. n. 781/2019.

CONCLUSIONI

Per parte attrice opponente: “Voglia rill.mo Giudice, ogni contraria istanza respinta e disattesa: a) accertare e dichiarare la carenza della titolarità del diritto dedotto in giudizio in capo alla Istituto Finanziario Srl e per l’effetto revocare il decreto ingiuntivo opposto (D.l. n. 781/19 del Gdp di Reggio Emilia) poiché emesso in difetto dei requisiti di legge; b) in subordine respingere le domande tutte avanzate dalla Istituto Finanziario Srl  in quanto prive di fondamento giuridico e conseguentemente revocare il decreto opposto (D.l. n. 781/19 del Gdp di Reggio Emilia). Con vittoria di spese e compensi professionali di causa. ”

Per parte convenuta opposta: “Voglia Nll.mo Giudice adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: In via preliminare nel merito: concedere la provvisoria esecutorietà dell’opposto decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso in data 8/04/2019 dal Giudice di pace di Reggio Emilia, stante la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 648 c.p.c.. In via principale nel merito rigettare l’opposizione proposta e tutte le domande in essa formulate perché infondate in fatto ed in diritto, per i motivi indicati in narrativa e per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso in data 8/04/2019 dal Giudice di pace di Reggio Emilia. In via subordinata, nel merito, in ogni caso il sig. Ghirardini al pagamento in favore dell’Istituto Finanziario  s.r.l. della diversa, maggior o minore somma che risulterà all’esito dell’espletanda istruttoria. In ogni caso con vittoria spese e compensi oltre spese generali, iva e epa come per legge nonché successive occorrende. ”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Il sig. Caio ha citato in giudizio la società Tizio s.r.l. quale procuratore di Istituto Finanziario  s.r.l. per l’udienza del giorno 14/11/2019 (differita d’ufficio all’udienza del 18/11/2019), presentando tempestiva opposizione al decreto ingiuntivo n. 781/2019 con cui il Giudice di Pace di Reggio Emilia in data 8/04/2019 ingiungeva il pagamento della somma di euro 4.458,37 a titolo di somma capitale oltre interessi moratori legali dalle date di scadenza indicate in fattura al saldo.

Parte attrice opponente eccepiva la carenza di titolarità del diritto dedotto in giudizio in capo ad Istituto Finanziario s.r.l. mancando una analitica elencazione dei crediti oggetto della domanda, eccepiva l’inefficacia della cessione per invalidità della notifica/inefficacia dell’intervenuta cessione ex art. 1264 c.c. ed infine la prescrizione del diritto di credito e concludeva chiedendone la revoca o la dichiarazione di nullità e/o inefficacia.

In data 4/11/2019 si costituiva in giudizio la società  Istituto Finanziario s.r.l. sottolineando come il credito vantato fosse stato oggetto di cessione del credito in virtù di operazione di cartolarizzazione ex artt. 1 e 4 I. n. 130 del 30/04/1999 ed art. 58 T.U.B. i cui obblighi pubblicitari erano stati assolti con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, producendo tale adempimento gli effetti indicati ex art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti e contestando il fondamento dell’eccezione di prescrizione, interrotta dalle lettere raccomandate in data 12/01/2017. Ribadiva la sussistenza del credito insistendo nelle conclusioni esposte.

Con ordinanza riservata del 22/11/2019 il G.d.p. revocava l’esecutività del D.l. opposto erroneamente dichiarata in data 16/07/2019 in pendenza di opposizione incardinata in data 8/07/2019.

All’udienza del 16/12/2019 il Gdp rigettava la richiesta di provvisoria esecutività del D.l. opposto e di concessione di termini ex art. 320 c.p.c. e ritenuta la causa sufficientemente istruita e matura per la decisione fissava udienza di precisazione delle conclusioni.   All’udienza del giorno 17/02/2020, il Giudice tratteneva la causa per la decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate.

***

Ai sensi dell’art. 4 della legge I. n. 130 del 30/04/1999 si applicano, infatti, alle cartolarizzazioni le disposizioni contenute nell’articolo 58, commi 2,3 e 4, del T.U.B. che recita: “La banca cessionaria dà notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La Banca d’Italia può stabilire forme integrative di pubblicità. I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti. Nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 producono gli effetti indicati dall’arì. 1264 del codice civile.”

Questa disposizione, dunque, prevede nei confronti dei debitori ceduti un’efficacia ex lege della cessione, in deroga all’art. 1264 c.c., dal momento della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, senza necessità della notifica e dell’accettazione della cessione da parte del debitore ceduto.

Il D.l. n. 781/2019, oggetto di opposizione, è stato emesso sulla base copia della G.U. parte seconda n. 145 del 10/12/2016 contenente l’avviso della comunicazione di acquisto da parte di Istituto Finanziario da  Gamma Srl ., società costituita ai sensi della legge della cartolarizzazione, di un generico portafoglio crediti pecuniari (per capitale, interessi maturati e maturandi, accessori, spese e quant’altro spettante ivi incluso il diritto al recupero di eventuali spese legali e giudiziali e delle altre spese sostenute in relazione al recupero, comunque dovuti per legge o in base al rapporto da cui originano, sue successive modifiche, integrazioni, con ogni pattuizione relativa e/o ai sensi dei successivi provvedimenti giudiziali) che  Gamma Srl aveva precedentemente acquistato in blocco ai sensi della legge sulla Cartolarizzazione da Unicredit Credit Management Bank s.p.a., costituito da tutti i crediti derivanti da contratti di finanziamento di varia tipologia ed altri contratti bancari risultanti nella titolarità di Arena che, alla data del 25/10/2016, non fossero stati integralmente soddisfatti o comunque estinti e non avessero formato oggetto di accordi stragiudiziali e della copia del rapporto a sofferenze della posizione di Ghirardini Graziano da parte di Unicredit dal 7/02/2008 al 31/10/2016.

Se il D.l. è stato concesso in conformità alle condizioni di legge prescritte dagli artt. 634 c.p.c. ss. tuttavia, con l’opposizione a decreto ingiuntivo, si instaura un normale procedimento di cognizione, nel quale il giudice non valuta soltanto la sussistenza delle condizioni e della prova documentale necessarie per l’emanazione della ingiunzione, ma la fondatezza (e le prove relative) della pretesa creditoria nel suo complesso.

In tema di onere della prova poi, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava su chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa, mentre incombe sul convenuto l’onere di contestarlo allegando circostanze estintive o modificative del medesimo o l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda.

Oggetto di controversia è innanzitutto la titolarità del rapporto contrattuale oggetto di cessione in capo a Istituto Finanziario s.r.l. ai sensi e per gli effetti della legge sulla Cartolarizzazione.

A parere del giudicante l’opposizione di Caio  è fondata e merita accoglimento.

La società opposta, come anticipato, ha prodotto con il fascicolo monitorio copia della G.U. parte seconda n. 145/2016 (doc. n. 1 fascicolo monitorio) e della procura speciale alla società Credit Base International s.r.l. con sigla C.B.I. S.R.L. a riscuotere i crediti (doc. n. 2 fascicolo monitorio) ma non ha ritenuto di produrre né l’atto di cessione dei crediti né altro documento a riprova che il credito azionato sia compreso tra quelli oggetto della cessione.

La sola copia del rapporto a sofferenze di  Caio nei confronti di Unicredit dal 7/02/2008 al 31/10/2016 non è idonea di per sé sola a dimostrare né quale tipologia di rapporto contrattuale fosse intercorso tra Unicredit e Caio né la congruità dell’importo preteso né, prima ancora, che la posizione dell’attore opponente sia stata effettivamente oggetto della cessione prò soluto e, conseguentemente, la titolarità del rapporto in capo ad Istituto Finanziario  s.r.l..

Per tali motivi, in mancanza di prova della sussistenza del credito ceduto in capo a Istituto Finanziario s.r.l. l’opposizione deve essere accolta ed il decreto ingiuntivo deve essere revocato.

Resta assorbita ogni ulteriore eccezione.

Le spese del presente procedimento di opposizione seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Reggio Emilia, definitivamente pronunciato, nel procedimento di opposizione a D.l. n. 781/2019 proposta da Caio nei confronti di Istituto Finanziario S.R.L ogni contraria e diversa domanda ed eccezione disattesa e respinta:

accoglie l’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n. 781/2019 emesso dal Giudice di Pace di Reggio Emilia.

Dichiara tenuta e condanna Istituto Finanziario s.r.l. in persona del l.r.p.t. alla rifusione delle spese processuali nei confronti di parte attrice opponente che liquida in euro XXXXXX, per compensi professionali oltre spese generali, Iva se dovuta e Cpa come per legge.

Dichiara la sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge.

Reggio Emilia,   li 4 Marzo 2020

Tulela del credito. Il Nuovo Portale delle vendite pubbliche

D’ora in avanti sarà obbligatoria la pubblicazione delle vendite immobiliari sul Portale delle Vendite Pubbliche.

Questi gli indirizzi per collegarsi al sito: https://venditepubbliche.giustizia.it/pvp/

oppure :  https://pvp.giustizia.it/pvp/

Si tratta di un sito web  predisposto dal Ministero della Giustizia per la pubblicità delle vendite dei beni delle procedure esecutive e concorsuali in genere.
 Avrà la funzione, altresì, di consentire la prenotazione delle visite e per la successiva vendita mediante asta telematica.

Il Ministero dovrà ora attivare i flussi di trasmissione dati tra il Portale delle Vendite Pubbliche e i singoli portali privati dedicati alle pubblicità delle vendite e alla gestione delle vendite telematiche dei siti iscritti nell’elenco ministeriale, così da raggiungere un altro importante risultato nella digitalizzazione della giustizia e nella trasparenza dei dati, a tutela del mercato dei crediti.

 

 

Tutela de credito. Quale il rimedio se il debitore cede l’azienda a terzi ?

Sovente capita di imbattersi in casi di cessione d’azienda o di ramo d’azienda strumentali  posti in essere da società o imprese indebitate.

In questo caso ai creditori insoddisfatti non resta sovente altra alternativa che rivolgersi al cessionario per riscuotere i loro crediti.

E’ altrettanto frequente, tuttavia, soprattutto quando l’operazione è finalizzata ad eludere la garanzia del credito, che il cessionario tenda a sottrarsi .

Per inciso e brevemente riepilogando la disciplina civilistica,  occorre sottolineare che ai sensi dell’articolo 2560 c.c. – fermo restando che l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che creditori vi abbiano consentito –  nel trasferimento dell’azienda commerciale, l’acquirente dell’azienda stessa risponde dei debiti suddetti a condizione che essi risultino dai libri contabili obbligatori.

Proprio questo è il punto. Infatti, spesso accade che il cessionario corresponsabile non collabori e resista, mentre l’onere della prova (che il debito risulti dei libri contabili) grava sul creditore.

Può accadere quindi che il dì cessionario affermi di non avere ricevuto la copia delle scritture contabili perché, ad esempio, le stesse sono andate smarrite (tra l’altro i piccoli imprenditori non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili).

Ora, la giurisprudenza interpreta la norma dell’articolo 2560 c.c. in maniera restrittiva, nel senso che non consente di ovviare altrimenti alla prova dell’annotazione del debito sulle scritture contabili (ad esempio per via testimoniale o anche semplicemente dimostrando che il cessionario sapeva). Lo stesso consolidato indirizzo tende a ritenere che “i libri contabili obbligatori” sono soltanto quelli previsti dall’articolo 2214 cpc vale a dire il libro giornale e il libro inventari e non altri tra i quali ad esempio registro Iva acquisti, e   persino che la inesistenza per qualunque ragione delle scritture contabili preclude il sorgere della responsabilità del cessionario.

Aggiungersi che i libri contabili non sono documenti pubblici e per questo i terzi non possono accedervi.

In questo quadro complesso si inserisce la sentenza che si annota, di indubbio interesse perché suggerisce una  soluzione per aggirare gli ostacoli che la  rigida normativa civilistica ( applicata in maniera, per lo più intransigente , dalla giurisprudenza)  detta per disciplinare il regime dei crediti nel contesto della cessione d’azienda.

Secondo il Tribunale di Parma, infatti, il giudice può desumere argomenti di prova ai sensi dell’articolo 116 cpc in pregiudizio della parte ( in genere il cessionario)  che non abbia ottemperato ( e quindi si sia sottratto)  all’ordine  di esibizione  in giudizio delle scritture contabili dell’azienda ceduta), dovendosi ritenere ammessi i fatti che avrebbero dovuto essere dimostrati attraverso le scritture contabili non esibite.

A tale proposito la Corte territoriale richiama anche un precedente conforme della Corte di Cassazione (Cass. n. 188 del 1996) .

Altri rimedi esperiti, da creditori che hanno subito il depauperamento del patrimonio aziendale, per contrastare manovre elusive della garanzia del credito, nella casistica sono l’azione revocatoria del contratto di  cessione d’azienda e l’azione di responsabilità dei creditori verso gli amministratori che hanno ceduto l’azienda.

V’è da osservare, per inciso, che la soluzione suggerita da questa sentenza non può trovare applicazione laddove la cessione d’azienda riguarda la piccola impresa per la quale non vige l’obbligo della tenuta delle scritture contabili civilistiche.

Testo della sentenza

Tribunale Parma, 23 agosto 2016 – Giud. Cicriò – Euroaudiomedical Service 2008 seri (avv. Borri) – BT Enia Telecomunicazioni spa (avv. Cantelli).

Azienda – Cessione di ramo – Omessa esibizione dei libri contabili – Responsabilità per debiti

Omissis.Motivi della decisione.

L’appello non è fondato. Con ordinanza del 6 luglio 2010 il giudice di pace ordinò ad EuroAudioMedical srl in liqui­dazione c all’attuale appellante Euroaudiomedical Service 2008 seri {rispettivamente cedente e cessionario del ramo di azienda giusta atto del 15 gennaio 2009) l’esibizione in giudizio dei libri contabili obbligatori relativi agli esercizi 2003 – 2005 della società cedente. Risulta pacifico, per quanto rileva in questa sede, che l’appellante non ebbe ad ottemperare a tale richiesta (correttamente notificata presso la sua sede legale) e la sua asserzione di non esserne nella disponibilità della documentazione richiesta è del tut­to destituita di credibilità posto che in base a minimi criteri di avvedutezza nelle transazioni commerciali, è da ritenere che una società che acquisisca un ramo di azienda, rispon­dendo dei debiti sociali dell’alienante ove risultanti dai libri contabili obbligatori ex art. 2560 secondo comma cc, ne­cessariamente si premunirà di acquisire e compulsare gli stessi prima di determinarsi a procedere alla stipula per poi conservarli al fine di poterli opporre ad eventuali cre­ditori. Ciò secondo l’appellante non sarebbe avvenuto nel caso in esame e la deduzione di essersi accontentata delle dichiarazioni del legale rappresentante della cedente circa l’inesistenza di debiti a carico del ramo di azienda non è minimamente credibile, se non volendo ritenere, anche alla luce degli stretti rapporti di parentela tra gli amministratori delle due società, che la cessione sia stata architettata al fine di frodare i creditori della cedente. Si può quindi condividere la valutazione operata dal giudice di prime cure se­condo cui l’appellante volontariamente abbia omesso di procedere alla produzione in giudizio delle scritture conta­bili, con la conseguenza che tale condotta possa assurgere quale argomento di prova ai sensi dell’art. 116 secondo comma epe, dovendosi ritenere ammessi i fatti che avreb­bero dovuto essere dimostrati attraverso le scritture conta­bili non esibite.

La giurisprudenza intatti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 188 del 1996), dall’ingiustificata inottemperanza all’ordine di esibizione emesso ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ, ha ritenuto che il giudice possa desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c, in pregiudizio della parte che non vi abbia ottemperato, in base al principio della vici­nanza della prova (Sez. 2, Sentenza n. 20110 del 02/09/ 2013) ed alla leale collaborazione delle parti con il giudice.

L’appello deve pertanto essere respinto dovendosi ritenere sussistente la responsabilità dell’appellante per i debiti re­lativi all’azienda ceduta ai sensi dell’art. 2560 secondo com­ma ce, il che assorbe il secondo motivo di appello. – Omìssis

 

 

Tutela del credito. La data certa del credito nell’ammissione al passivo del fallimento. Cassazione Sez.Un. 20 febbraio 2013, n. 4213

Come si evince dalla massima riportata in apertura, con l’importante arresto giurisprudenziale in commento gli ermellini hanno affermato i seguenti principi:

  1. il curatore del fallimento è terzo in quanto svolge una funzione di gestione del patrimonio del fallito rappresentando anche e soprattutto gli interessi della massa creditoria nella sua veste di incaricato istituzionalmente alla formazione dello stato passivo (il che implica che nei suoi confronti non può essere invocata la norma dell’art 2710 cc secondo la quale i libri contabili fanno prova tra imprenditori ed i rapporti inerenti l’esercizio dell’impresa);
  2. il requisito della data certa di scritture è configurabile come elemento impeditivo (e non costitutivo) del riconoscimento del diritto perché altrimenti si renderebbe impossibile o estremamente difficoltoso l’esercizio del diritto stesso da parte del creditore istante tanti caratteri peculiari dei rapporti commerciali in relazione ai quali il legislatore ha previsto agevolazioni probatorie per agevolare gli scambi;
  3. le riconoscimento del carattere impeditivo delle riconoscimento del diritto di credito implica che sollevata l’eccezione (sull’ammissibilità del credito) da parte del curatore (o del Giudice delegato) occorrer instaurare il contraddittorio tra le parti sul punto.

Alla luce dei principi sopra riferiti, il problema dell’ammissione del credito commerciale al passivo del fallimento può presentare non poche difficoltà ove si consideri che se ben vero che le fatture fiscali i documenti di accompagnamento sono equiparate le scritture contabili, secondo la giurisprudenza detti documenti pur se regolarmente tenuti, “non hanno valore di prova legale a favore dell’imprenditore che le ha redatte, spettando sempre la loro valutazione al libero apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116, primo comma, cod. proc. civ. . Non solo. Sovente, dalla stessa giurisprudenza, è stata ritenuta irrilevante ai fini dell’art. 2704 c.c. l’autenticazione notarile apposta alle fatture prodotte dal creditore poiché successiva alla data di dichiarazione di fallimento.

La sentenza in commento, pertanto, richiamando un principio già espresso in precedenza da altra pronuncia delle Sezioni Unite conclude affermando che il creditore, interessato all’insinuazione del proprio credito sulla base di documenti relativi a un rapporto commerciale sorto prima della dichiarazione di fallimento, deve agire rispettando la cd. “regola della certezza e computabilità” della data ex art. 2704 c.c.

Per mitigare il rigore di tale considerazione giova tuttavia sottolineare che la norma in oggetto non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di un atto tra privati non autenticato ( come una scrittura privata, un contratto o un credito) debba ritenersi certa rispetto a terzi, e molteplicii pronunce hanno ritenuto che debba essere demandata al giudice del merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la certezza della data (ex multis Cassazione Civile, Sezione I, 22 Ottobre 2009 n. 22430) .

Così si è ritenuto che in assenza delle situazioni tipiche di certezza previste dall’articolo 2704 del Codice Civile, il fatto idoneo a stabilire in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento in sede di contenzioso, potesse essere oggetto di prova per testi o anche per presunzioni, purchè, ha affermato la Suprema Corte in un recente arresto ( Cass. n. 19656 del 1 Ottobre 2015 ), il fatto dedotto in giudizio per integrare la prova sia munito di una certa attitudine probatoria, il che non succede quando le prove allegate siano rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento.

 

Tutela del credito. Un SMS può rappresentare prova del credito ?

Decreto ingiuntivo n. 4330/2016 del 24/11/2016 del Tribunale di Genova

Il Giudice “Rilevato che dai documenti prodotti il credito risulta certo liquido ed esigibile considerato che sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 633, 634, 641 c.p.c. ma non quelle di cui all’art. 642 risultando gli sms prodotti di ignota provenienza…ingiunge a …..”

Il Tribunale, nella fattispecie, ha concesso il decreto ingiuntivo in forma  non provvisoriamente  esecutiva ravvisando in un  messaggio SMS un principio di riconoscimento del debito, ma non una prova certa.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza ligure perché il documento informatico, e dunque anche un SMS, possa fare piena prova, occorre poter riconoscere la provenienza e nella fattispecie la provenienza dei messaggi era possibile ma non accertata.

Fornire prova certa dell’effettiva provenienza di un messaggio da una determinata persona non è cosa semplice specie nell’ambito di un procedimento d’ingiunzione caratterizzato da istruzione sommaria e da assenza di contraddittorio.

Testo del provvedimento

Il Tribunale di Genova Sezione seconda In composizione monocratica

Numero 14885/2016 del Ruolo D.I.

Letto il ricorso per la concessione di decreto ingiuntivo depositato da

rilevato che dai documenti prodotti il credito risulta certo, liquido ed esigibile; considerato che sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 633, 634, 04ic.p.c., ma non di quelle di cui all’an. 642 risultando gli sms prodotti di ignota provenienza;

Ingiunge a

« Caio    di pagare alla parte ricorrente, entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione del presente decreto:

la somma di Furo 875,00 oltre interessi legali dalla dómanda al saldo; le spese di questa procedura di ingiunzione, liquidate in Furo 400,00 per competenze, in Euro 21,50 per esborsi, oltre spese forfetizzate al 15%, I.v.a. e C.p.a., oltre le successive decorrende;

Avverte

l.a parie debitrice:

  • che può proporre opposizione contro il presente decreto nel termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica;
  • che in mancanza di opposizione la parte ricorrente ha diritto di procedere ad esecuzione forzata.*                                                                                          Il Giudice
  • Cosi deciso in data 22/11/2016

Tutela del credito. L’assegno dato in garanzia e postdatato è  nullo

 

Corte di Cassazione sent.  24 maggio 2016, n. 10710

L’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute nella R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 1 e 2 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 cod. civ..

Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ.

 Il Giudice di Legittimità, richiamando precedenti pronunce (Cass. Civ, Sez. n. 3, n.26232 del 22 novembre 2013 e Cass. Civ., Sez. n. 2, n.4368 del 19 aprile 1995), ha formulato il principio di diritto riportato in massima e, ritenendo meritevole di accoglimento il motivo proposto, ha accolto il ricorso rinviando a diversa composizione della Corte di Appello affinché, applicato detto principio di diritto, valutasse nuovamente il merito della controversia .

Dunque il giudice di legittimità ha ritenuto nullo il decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore  sulla base di un assegno postdatato rilasciatogli dal debitore: e questo perché l’assegno è pagabile a vista e ogni accordo diverso da tale regola è nullo. Dunque, il patto tra creditore e debitore con cui quest’ultimo conferisce al primo un assegno postdatato a garanzia di un futuro pagamento è nullo.

E’ una decisione che merita attenzione,  tenuto conto del fatto che, nel recente passato, l’assegno postdatato è stato ritenuto un titolo valido.   Infatti l giurisprudenza di legittimità  con  sentenza n. 26161/2014  aveva statuito  che l’assegno bancario postdatato non è nullo, risultando nullo solamente il patto di postdatazione;  in altri e più chiari termini, l’assegno bancario postdatato deve considerarsi venuto ad esistenza come titolo di credito e mezzo di pagamento al momento della sua emissione, ovverosia con il distacco dalla sfera giuridica del traente ed il passaggio nella disponibilità del prenditore (il creditore, cioè, che ha materialmente in mano l’assegno).

Testo della sentenza

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 24 maggio 2016, n. 10710

Rilevato che

I. S.B. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Sciacca il 18/19 marzo 2002 con il quale veniva ingiunto all’opponente e a O.U. di pagare, in favore di G.T., la somma di 41.500.000 oltre interessi legali e spese del procedimento monitorio. Il decreto ingiuntivo era fondato su un atto di transazione stipulato il 19 luglio 1993 tra i sigg.ri U. e T. e su un assegno di conto corrente rilasciato in pari data dallo stesso opponente in favore dell’opposta, a garanzia dell’obbligazione assunta dall’U., da riscuotersi il 31 dicembre 1993 in caso di mancato adempimento da parte del debitore principale. L’opponente ha rilevato che l’emissione di un assegno postdatato in garanzia è contraria alle norme imperative di cui agli artt. 1 e 2 del R.D. n. 1763/1933, con conseguente nullità del patto di garanzia stipulato tra le parti e ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo.
2. Si è costituita G.T. e ha rivendicato la validità del titolo di credito emesso in funzione del contratto autonomo di garanzia intercorso con il B..
3. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 25 agosto – 23 dicembre 2003, ha respinto l’opposizione.
4. Ha proposto appello S.B. ribadendo che la emissione di un assegno postdatato comporta la nullità del patto di garanzia sottostante, qualificabile, nella specie, come fideiussione e ha rilevato altresì che la T. era decaduta dal suo diritto, ai sensi dell’art. 1957 c.c., non avendo proceduto nei confronti del debitore principale nei sei mesi successivi la scadenza del credito, e che egli era liberato, ex art. 1955 c.c., per fatto del creditore che con il suo comportamento aveva causato un grave pregiudizio consistito nell’impedimento del suo diritto di surroga nei confronti del debitore principale.
5. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 803/09, ha respinto l’appello ritenendo che la postdatazione non renda il titolo nullo in sé, ma rende nulla solo la postdatazione con la conseguenza che il prenditore può esigerne l’immediato pagamento e che pertanto resta valido il sottostante patto di garanzia.
6. Propone ricorso per cassazione S.B. affidandosi a due motivi di impugnazione.
7. Si difende con controricorso G.T..

Rilevato che

8. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge assegni e formula il seguente quesito di diritto: se l’emissione di un assegno bancario postdatato a garanzia di un altrui futuro adempimento comporta, stante la violazione degli articoli 1 e 2 della legge assegni e dell’articolo 1343 del codice civile, la nullità del sottostante patto di garanzia, stante la natura imperativa delle norme citate.
9. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all’articolo 112 del codice di procedura civile nonché 1957 e 1955 del codice civile e sottopone alla Corte il seguente quesito: se la mancata pronuncia del giudice d’appello in ordine a domande spiegate in atto di appello comporti violazione dell’articolo 112 cpc e delle norme di diritto sostanziale poste a fondamento delle stesse.
Ritenuto che
10. I1 primo motivo di ricorso è fondato alla luce della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ. sez. III, n. 26232 del 22 novembre 2013) secondo cui l’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia – nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento -, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933 n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art. 1343 cod. civ.. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 cod. civ. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all’art. 1988 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sezione II, n. 4368 del 19 aprile 1995).
11. Va pertanto accolto il primo motivo, restando assorbito il secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, applicato il principio di cui sopra, valuterà nuovamente il merito della controversia e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

 

 

Fondo patrimoniale. Il debito tributario sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può gravare sul fondo patrimoniale solo se contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

Cassazione Civ. n. 3600 del 24.02.16

La norma: Art.170 c.c.: l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Con la sentenza che si annota la Corte di Cassazione non ha  escluso la possibilità di procedere a esecuzione forzata  per i debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per gli stessi scopi.

Infatti, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità.

In sostanza per la Cassazione, i beni vincolati al fondo patrimoniale ben possono essere soggetti all’azione esattoriale per un credito del fisco. Dunque anche un debito tributario sorto per l’esercizio dell’impresa può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

L’onere di fornire la prova – possibile anche mediante presunzioni semplici o ricorrendo a criteri logici e di comune esperienza – che il debito per cui l’ente di riscossione intende procedere è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, grava sul debitore, ovvero sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.

Il caso di specie

L’ente di riscossione iscriveva ipoteca legale sull’immobile di Tizio per un debito che lo stesso aveva contratto nel corso della sua attività d’impresa. Tizio, avendo conferito tale immobile in fondo patrimoniale, proponeva opposizione all’esecuzione deducendo l’impignorabilità del bene. Il Giudice accoglieva l’opposizione di Tizio perché, in considerazione delle prove fornite, della sua attività lavorativa e dell’elevato importo del debito maturato, ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore.

La Corte di cassazione, trattandosi di valutazione che atteneva al merito della controversia, ha affermato di non poter interferire sul pronunciamento del primo giudice.

Occorre osservare, tuttavia, che in precedenti pronunce la Cassazione aveva affermato che, anche un debito di natura tributaria, sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, può ritenersi contratto per soddisfare i bisogni della famiglia, fermo restando che l’obbligazione sia effettivamente sorta per il soddisfacimento di tali esigenze, non potendosi dirsi sussistente il collegamento per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge (cfr. Cassazione civile sez. VI  24 febbraio 2015 n. 3738).

(Dr.ssa Eleonora Panini) 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI   Stefano                            –  Presidente   –

Dott. CIRILLO Ettore                             –  Consigliere  –

Dott. OLIVIERI Stefano                          –  Consigliere  –

Dott. TRICOMI Laura                         –  rel. Consigliere  –

Dott. VELLA   Paola                              –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16715/2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA in persona del Direttore Operativo pro  tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA EUDO GIULIOLI 47/B/18,  presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAZZITELLI, rappresentato e  difeso

dall’avvocato BARBARO CIRO GENNARO, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ALESSANDRO

MANZONI 81, presso lo studio dell’avvocato DONATO SENA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ORLANDELLA LIBERO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la  sentenza n. 346/2008 del TRIBUNALE  di  SANT’ANGELO  DEI

LOMBARDI, depositata l’08/07/2008;

udita la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del

24/03/2015 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per  il  controricorrente l’Avvocato RANIERI  delega  Avvocato

ORLANDELLA che ha chiesto il rigetto;

udito il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e

in subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

  1. I.A. a seguito della comunicazione dell’avviso di iscrizione di ipoteca legale sul bene di sua proprietà iscritto nel N.C.T. del Comune di Bisaccia, fol. 47, p.lla 218, proponeva opposizione all’esecuzione con ricorso depositato il 03.07.2006 dinanzi al Tribunale ordinario di Sant’Angelo dei Lombardi deducendo l’impignorabilità del bene esecutato ai sensi dell’art. 170 c.c., in quanto costituito in fondo patrimoniale, e chiedendo dichiararsi nullo l’atto di pignoramento.

L’opposta G.E.I. SPA si costituiva chiedendo il rigetto dell’avversa domanda per non aver operato alcun atto di pignoramento, sostenendo altresì la inoperatività dell’art. 170 c.c., per i crediti tributari.

  1. Con la sentenza n. 346/2008 del 03.07.08, depositata il 08.07.08 e non notificata, il G.M. del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi preliminarmente qualificava l’opposizione avverso l’iscrizione ipotecaria operata dal Concessionario alla riscossione quale “opposizione alla esecuzione” ex art. 615 c.p.c., comma 2, e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a; quindi riteneva la propria competenza quale giudice dell’esecuzione, trattandosi di opposizione proposta anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 248 del 2006. Ne affermava quindi l’ammissibilità perchè spiegata nei limiti del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), trattandosi di questione attinente alla pignorabilità del bene esecutato.

Di seguito affermava che l’esecutato poteva opporsi alla procedura esecutiva esattoriale anche prima della notifica dell’atto di pignoramento, che nel caso non era ancora avvenuta, e sulla scorta di tale considerazione qualificava diversamente la domanda.

Concludeva il G.O. affermando che il bene era stato sottoposto illegittimamente ad una procedura esecutiva in violazione dell’art. 170 c.c., non risultando il credito riconducibile ai bisogni familiari, e che in questi termini la domanda doveva essere accolta:

dichiarava pertanto l’illegittimità della iscrizione ipotecaria eseguita in data 07.03.06 ai danni di I.A. su istanza della GEI SPA di Avellino al n. di rep. 215/2006 e ne ordinava la cancellazione.

  1. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Equitalia Polis SPA (di seguito Equitalia) affidato a quattro motivi. Il contribuente resiste con controricorso e deposita memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente va respinta la eccezione di improponiblità, inammissibilità ed improcedibilità della domanda sollevata dall’intimato nel controricorso, assumendo che la ricorrente avrebbe illegittimamente adito la Suprema Corte per saltum, senza interporre appello.

1.2. Al riguardo la Corte ha già avuto modo di chiarire che le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione, pubblicate successivamente al 1 marzo 2006 e fino al 4 luglio 2009, non sono appellabili, in forza dell’art. 616 c.p.c., ultimo periodo, come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, (“ratione temporis” applicabile), ma solo ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, qualunque sia il contenuto della decisione o il motivo d’impugnazione (cfr. Cass. n. 19160/2014, n.18261/2014): questa è la disciplina applicabile alla sentenza di primo grado in esame, depositata l’08.07.2008 e l’eccezione va respinta.

2.1. Con il primo motivo l’Equitalia lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che il G.O. non aveva qualificato diversamente la domanda, ma impropriamente aveva modificato il petitum e formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nell’ipotesi in cui venga spiegata domanda giudiziale volta alla declaratoria di nullità di un pignoramento, il Giudice di merito, assumendo di qualificare diversamente la domanda, possa dichiarare la nullità dell’iscrizione ipotecaria, ovvero, se trattandosi di modifica del petitum, in applicazione dell’art. 112 c.p.c., non possa pronunciarsi su una domanda diversa da quella introdotta dal ricorrente”.

2.1. Il motivo è infondato e va respinto.

2.2. Innanzi tutto va ricordato che, come questa Corte ha già affermato, qualora sia controversa la qualificazione dell’azione in sede di procedimento esecutivo, assume rilievo decisivo quella data, in modo implicito od esplicito, dal giudice del merito al rapporto controverso, con la conseguenza che è esperibile l’impugnazione conseguente a tale qualificazione, indipendentemente dalla esattezza dell’inquadramento effettuato (Cass. n. 21683/2009, n. 8103/2007). Ne consegue che legittimamente il giudice dell’esecuzione esercita il potere di qualificazione dell’azione, in presenza di una prospettazione della parte che presenti aspetti di contraddittorietà o di incertezza tra il contenuto della domanda e l’azione esercitata.

2.3. Ciò premesso, va altresì considerato che, a tali fini, occorre tenere presente che l’opposizione all’esecuzione investe il diritto della parte istante di agire in executivis, mentre l’opposizione agli atti esecutivi consiste nella contestazione della regolarità formale dei singoli atti del procedimento esecutivo (cfr. Cass. n. 21683/2009). Poichè nella specie, come risulta dalla sentenza impugnata senza che sul punto sia stata sollevata censura, l’opposizione è stata proposta deducendo la impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, quale unica ragione impeditiva della iscrizione ipotecaria, correttamente il giudice dell’esecuzione ha qualificato l’opposizione come “opposizione all’esecuzione” ( cfr.

Cass. sent. n. 11534/2014, n. 23891/2012) e la ha ritenuta ammissibile ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, lett. a), senza che sia ravvisabile alcuna modifica del petitum, contrariamente a quanto sostenuto, in modo peraltro assertivo, dalla ricorrente che ha valorizzato con la sua censura l’utilizzo improprio del termine “atto di pignoramento” della parte privata, trascurando di considerare il contenuto dell’opposizione sul quale, correttamente, il giudice di primo grado ha fondato la riqualificazione dell’azione.

3.1. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che tale disposizione normativa introduce una limitazione al diritto del creditore di procedere in via esecutiva, ma non ha ricadute in tema di iscrizione ipotecaria. Formula a corredo il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di beni costituiti in fondo patrimoniale sia preclusa al creditore, in applicazione dell’art. 170 c.c., la possibilità di procedere ad iscrizione ipotecaria, ovvero, se l’art. 170 c.c., precluda, in presenza di determinati presupposti, al creditore solo l’espropriazione e non anche la facoltà di iscrivere ipoteca.”.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Va rilevato che lo stringato motivo e la formulazione del quesito, astratto, generico e indeterminato nel suo contenuto, impongono la declaratoria di inammissibilità.

3.3. Pur ricordando che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “L’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. 3 marzo 1973, n. 602, art. 77” (Cass. n. 5385/2013; cfr anche n. 3738/2015, n. 13622/2010), va tuttavia osservato che la ricorrente nel formulare il quesito richiama, quale elemento – a suo parere – condizionante la risposta, la “presenza di determinati presupposti” che tuttavia rimangono vaghi e privi di individuazione con riferimento alla fattispecie in esame, di guisa che alla indeterminatezza del quesito consegue l’inammissibilità.

4.1. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 170 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto sostiene che la disciplina, che preclude al creditore l’aggressione dei beni destinati al fondo patrimoniale, troverebbe applicazione solo per le obbligazioni di natura contrattuale. Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi di credito di natura tributaria possa trovare applicazione l’art. 170 c.c., che richiede la prova della consapevolezza del creditore in ordine alla contrazione del debito per scopi estranei ai bisogni familiari, ovvero, se l’art. 170 c.c., non sia applicabile nei casi in cui l’obbligazione abbia natura extracontrattuale”.

4.2. Il motivo è infondato e va respinto.

4.3. E’ opportuno ricordare il dettato dell’art. 170 c.c., che così recita “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

La norma si occupa della possibilità dell’esecuzione, e nei termini prima ricordati sub 3.3. anche dell’iscrizione di ipoteca, su beni e sui frutti del fondo e sotto tale profilo evoca chiaramente l’iniziativa di un terzo estraneo al fondo. Essa esclude non in modo assoluto l’esecuzione, ma solo nel caso in cui la situazione per cui si procede sia insorta “per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e conosciuta dal creditore come tale.

4.4. Come questa Corte ha di recente chiarito l’evocazione nella sostanza 11 di tre distinte situazioni, quella dei “debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” e, a contrario, quella dei “debiti che il creditore non conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”, nonchè quella dei “debiti contratti per scopi non estranei ai bisogni della famiglia” e, quindi, assunti per soddisfare tali bisogni evidentemente dal soggetto che ha costituito il fondo conferendovi un bene e che normalmente dovrebbe rispondere, secondo la regola generale dell’art. 2740 c.c., con il suo patrimonio e, quindi, anche con esso, evidenzia che in realtà il legislatore ha voluto dettare una regola che non riguarda tanto l’inizio dell’esecuzione, bensì la forza stessa del titolo che potrebbe astrattamente svolgere la funzione di titolo per l’esecuzione sul bene facente parte del fondo patrimoniale, perchè, evidentemente, formatosi contro il coniuge o contro il terzo che costituì il fondo (Cass. n. 5385/2013).

4.5. Sulla scorta di tali considerazioni va quindi ribadito che, in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe ritenersi contratto per soddisfare tale finalità (cfr.

Cass. n. 11230/2003, n. 12998/2006, n. 3738/2015).

Il motivo va pertanto respinto.

5.1. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta ancora la violazione dell’art. 170 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e sostiene che il giudice di primo grado aveva superato la questione della conoscibilità della contrazione del debito per scopi estranei alle esigenze familiari, escludendo ogni relazione tra l’obbligazione tributaria ed i bisogni familiari, pur in assenza di prova, assumendo che il creditore avrebbe dovuto trarre consapevolezza della estraneità del debito alle esigenze familiari dalla natura tributaria dell’obbligazione riconducibile alla attività lavorativa autonoma del debitore.

Formula il seguente quesito “Dica la Suprema Corte di cassazione se nella ipotesi in cui l’obbligazione abbia natura tributaria e sia inerente all’attività lavorativa autonoma del debitore, debbano presumersi sussistenti i requisiti, richiesti, dall’art. 170 c.c., della estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari e della consapevolezza da parte del creditore di tale estraneità, ovvero, se in applicazione dell’art. 170 c.c., debba essere fornita la prova positiva della rottura della relazione che intercorre fra la produzione di reddito da parte del capofamiglia e la sua destinazione al sostentamento e allo sviluppo della famiglia nonchè della consapevolezza del creditore”.

5.2. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e non risulta pertinente al decisum.

Il giudice di primo grado, contrariamente a quanto assume la ricorrente, non ha deciso in assenza di prova ed anzi si è attenuto al principio (cfr. Cass. n. 5385/2013) secondo il quale l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, e quindi, nel caso, sul debitore opponente, che deve provare che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore ne era consapevole, ed ha precisato che la, prova può consistere anche in “presunzioni semplici o nel ricorso a criteri logici e di comune esperienza” (fol. 4 della sent.).

Il giudice di merito ha quindi sviluppato il suo ragionamento giuridico su più elementi, puntualmente indicati, e cioè la fonte dell’obbligazione, costituita dall’attività lavorativa del contribuente, e l’elevato importo del debito tributario, ed ha ritenuto provata la estraneità dei debiti ai bisogni familiari e la consapevolezza del creditore. Sul punto, giova ricordare peraltro che questa Corte ha già affermato che la prova di applicabilità dell’art. 170 c.c., alla stregua dei principi generali, ben può essere fornita anche avvalendosi di presunzioni ai sensi dell’art. 2729 c.c., gravando comunque sull’opponente l’onere di allegare e dimostrare i fatti noti, da cui desumere, in via presuntiva, i fatti oggetto di prova (cfr. Cass. n. 4011/2013).

5.3. La censura pertanto appare non pertinente alla decisione.

La statuizione è basata su un accertamento in fatto. Questo, in quanto relativo alla riconducibilità o meno dei debiti alle esigenze della famiglia, è istituzionalmente riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione, se congruamente motivato (cfr., da ultimo, Cass. n. 12730/07, n. 933/12): la statuizione avrebbe, eventualmente, potuto essere censurata sotto il profilo del vizio motivazionale.

6.1. In conclusione, il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto.

6.2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano a carico della Equitalia nella misura stabilita in dispositivo.

PQM

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:

– rigetta il ricorso, infondati i motivi primo e terzo ed inammissibili i motivi secondo e quarto;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro.7.000,00, oltre spese borsuali per Euro.150,00, IVA e CASSA. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2016