Mese: maggio 2023

L’immobile “abusivo” entra a far parte del patrimonio ereditario?

 

Corte di Cassazione , sez. III, ud. 21 febbraio 2023 (dep. 17 aprile 2023), n. 16141

Con questo arresto gli ermellini hanno ribadito il principio, già affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25021/2009, che l’immobile abusivo oggetto di demolizione è parte dell’asse ereditario, si trasmette agli eredi e su di esso si forma la comunione ereditaria, salvo il caso della rinuncia.  Pertanto l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche nell’ipotesi di acquisto dell’immobile per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell’erede del condannato, stante la preminenza dell’interesse paesaggistico e urbanistico.

Il caso.  Due coniugi in qualità di proprietari, furono condannati– per i reati ex artt. 20, lett. c), L. n. 47 del 1985, 1-sexies L. n. 431 del 1985, 734 c.p  –  per avere realizzato, in assenza di concessione edilizia e di ogni autorizzazione, in area sottoposta a vincolo ambientale, un immobile di un piano di 91 mq., 4 verande di varie dimensioni, una scala ed una recinzione.

Gli eredi dei proprietari, nell’ambito di un successivo procedimento  nei loro confronti, sorto a seguito del provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, di esecuzione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza del primo giudice, chiesero di essere estromessi sostenendo  di non avere acquistato l’immobile mortis causa in quanto sorto su terreni occupati abusivamente e quindi sconosciuto ai registri immobiliari. Trattandosi, a loro giudizio, di bene inesistente non avrebbero ereditato alcunchè e nemmeno avrebbero potuto rinunciare all’eredità. Avverso il provvedimento di rigetto i prefati hanno proposto ricorso in Cassazione.

Con  la decisione che si annota la Suprema Corte ha  affermato che i condannati (i genitori, per l’appunto, dei ricorrenti) dovevano essere considerati proprietari dell’immobile oggetto di causa, che non può pertanto essere considerato “fantasma”, bensì una cosa già oggetto di diritto di proprietà con le dimensioni ben descritte nell’imputazione della sentenza.

Testo integrale della sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA   Gastone      –  Presidente   –

Dott. PAZIENZA    Vittorio     –  Consigliere  –

Dott. SEMERARO    Luca    –  rel. Consigliere  –

Dott. REYNAUD     Gianni F.    –  Consigliere  –

Dott. CORBO       Antonio      –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.G., nato a (Omissis);

B.M., nato a (Omissis);

avverso l’ordinanza del 10/10/2022 del TRIBUNALE di FOGGIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

lette le conclusioni del PG RAFFAELE GARGIULO;

Il PG conclude per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con l’ordinanza del 10 ottobre 2022 il Tribunale di Foggia ha rigettato l’istanza presentata da B.G. e B.M. di estromissione dal procedimento sorto a seguito del provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia del 7 giugno 2021 di esecuzione dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza della Pretura di Lucera del 23 maggio 1997, irrevocabile il 17 giugno 1997, di applicazione della pena nei confronti di B.M. e A.A., per i reati ex artt. 20, lett. c), L. n. 47 del 1985, 1-sexies L. n. 431 del 1985, 734 c.p., perché, in qualità di proprietari, realizzarono, in assenza di concessione edilizia e di ogni autorizzazione, in area sottoposta a vincolo ambientale, un immobile di un piano di 91 mq., 4 verande di varie dimensioni, una scala ed una recinzione.
  2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.G. e B.M., eredi dei condannati, deducendo con l’unico motivo il vizio di motivazione.

Il Tribunale di Foggia avrebbe errato nel ritenere che i ricorrenti abbiano acquistato l’immobile mortis causa.

La zona su cui insiste l’immobile abusivo sarebbe stata interessata da occupazioni abusive del terreno, di proprietà di terzi, in seguito oggetto di più edificazioni. I soggetti occupanti sarebbero stati condannati per i reati edilizi commessi, con il relativo ordine di ripristino.

Per effetto dell’occupazione abusiva, l’unico diritto esercitato sugli immobili sarebbe il possesso: o perché mantenuto nel tempo o perché acquistato attraverso atti in forma di scrittura privata.

L’immobile de quo, come gli altri, sarebbe “sconosciuto ai pubblici registri immobiliari”; nel caso esaminato, la successione dei genitori non avrebbe avuto alcun bene da trasferire; non vi sarebbe stato un testamento che abbia disposto sull’immobile abusivo né i ricorrenti avrebbero ereditato o acquisito il possesso dell’immobile. Per l’assenza di beni, non avrebbero potuto neanche rinunciare all’eredità. Dunque, contrariamente a quanto sostenuto dall’ordinanza, non vi sarebbe stato alcun acquisto iure hereditatis dell’immobile abusivo, non avendo ereditato alcunché.

La giurisprudenza richiamata dall’ordinanza in tema di demolizione di opere abusive ereditate sarebbe inconferente, perché l’immobile sarebbe un “bene fantasma, non censito, non ereditabile”, non oggetto di possesso da parte dei ricorrenti. L’autorità avrebbe dovuto accertare l’effettivo proprietario del bene.

L’ordinanza avrebbe ritenuto irrilevante la questione relativa alla presenza di ulteriori eredi della sig.ra B.C. omettendo di considerare che nella fattispecie de qua sarebbe coinvolto un minore che, per il solo fatto di essere orfano della madre, sarebbe obbligato a partecipare alle spese di abbattimento di un immobile, pur non avendone il possesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso infondato.

1.1. I ricorrenti deducono il vizio di motivazione rispetto ad una questione di diritto relativa al se l’immobile costruito in assenza di permesso di costruire (o di concessione edilizia) ed autorizzazione paesistica faccia parte dell’asse ereditario, ed è pertanto inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p.; il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è soltanto quello attinente alle questioni di fatto, non anche a quelle di diritto (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 01).

1.2. In ogni caso, è infondata la tesi in diritto proposta con il ricorso.

Risulta anche dall’istanza di incidente di esecuzione (p. 2) che i ricorrenti sono gli eredi di B.M. e A.A., che erano i loro genitori, e nei confronti dei quali fu emessa dal Pretore di Lucera il 23 maggio 1997, irrevocabile il 17 giugno 1997 la sentenza ex art. 444 c.p.p. contenente l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo. E’, dunque, incontestata la qualità di eredi dei ricorrenti, come indicato nell’ordinanza impugnata.

1.3. I ricorrenti affermano erroneamente che l’immobile abusivo non possa rientrare nell’asse ereditario e che non si trasmetta iure hereditatis, in base alla argomentazione per cui l’immobile, essendo abusivo, sarebbe “sconosciuto” ai registri immobiliari ed inidoneo a far parte dell’asse ereditario.

1.4. Dalla sentenza definitiva risulta che i condannati erano i proprietari dell’immobile abusivo, che ha una sua chiara consistenza, secondo quanto emerge dal titolo esecutivo, come prima indicato. Dunque, non è un “immobile fantasma”, ma una cosa già oggetto di diritto di proprietà con le dimensioni ben descritte nell’imputazione della sentenza.

1.5. Come affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili (cfr. Sez. U Civili, n. 25021 del 16/04/2019, in motivazione), l’immobile abusivo oggetto di demolizione è parte dell’asse ereditario, si trasmette agli eredi e su di esso si forma la comunione ereditaria, salvo il caso della rinuncia, che nel caso in esame non risulta effettuata.

1.5.1. Secondo le Sezioni Unite Civili, la comunione ereditaria “… ha ad oggetto i beni che componevano il patrimonio del de cuius e si costituisce ipso iure tra gli eredi quando, a seguito dell’apertura di una successione mortis causa, vi siano una pluralità di chiamati all’eredità ed una pluralità di accettazioni (espresse o tacite). La comunione ereditaria e’, perciò, indipendente dalla volontà dei chiamati alla eredità (non è una comunione “volontaria”, mancando un atto negoziale diretto a costituirla) e va annoverata tra le comunioni “incidentali” (“communio incidens”), in quanto sorge per il verificarsi del mero “fatto giuridico” della pluralità di acquisti della medesima eredità…”.

1.5.2. Secondo la giurisprudenza, la nullità ex art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001 e’, infatti, relativa ai soli atti tra vivi, restando esclusi gli acquisti di beni immobili abusivi mortis causa.

Tale norma prevede che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria…”.

Cfr. Sez. U Civili, n. 8230 del 22/03/2019, Rv. 653283, che hanno affermato il principio per cui “la nullità comminata dall’art. 46 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile”.

Nello stesso senso, la sentenza citata n. 25021 del 16/04/2019, per cui “restano fuori dal campo di applicazione dell’art. 40, comma 2, della L. n. 47 del 1985, così come – d’altra parte – dal campo di applicazione dell’art. 46, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e prima dell’art. 17, comma 1, della L. n. 47 del 1985), gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale (ossia quelli ad effetti meramente obbligatori), gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù (espressamente esclusi dalle richiamate disposizioni) e – come si vedrà nel prosieguo – gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali (artt. 46, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001 e 40, commi 5 e 6, della L. n. 47 del 1985)”.

1.6. L’ordinanza impugnata, che ha confermato l’ingiunzione a demolire nei confronti degli eredi dei soggetti condannati per i reati edilizi, ha correttamente ritenuto che l’immobile sia parte del patrimonio ereditario di cui sono titolari i ricorrenti.

1.7. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale ed ha natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve, pertanto, essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403; Sez. 3, n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175).

1.8. Pertanto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, anche nell’ipotesi di acquisto dell’immobile per successione a causa di morte, conserva la sua efficacia nei confronti dell’erede del condannato, stante la preminenza dell’interesse paesaggistico e urbanistico, alla cui tutela è preordinato il provvedimento amministrativo emesso dal giudice penale, rispetto a quello privatistico, alla conservazione del manufatto, dell’avente causa del condannato.

1.9. Generico ed irrilevante appare il riferimento ad eventuali eredi minori della sig.ra B.C., terza figlia di B.M. e A.A., deceduta il giorno (Omissis), prima che la sentenza di condanna diventasse irrevocabile. Come correttamente rilevato dall’ordinanza, l’eventuale notifica dell’ingiunzione di demolizione agli eredi di B.C. non incide in alcun modo sulla decisione nei confronti dei ricorrenti.

  1. Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. si condannano i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2023

L’estraneo, vittima di un sinistro occorsogli nei locali d’imprea, risponde a titolo di concorso di colpa?

I casi del nostro Studio

Tribunale ordinario di Modena, sezione civile II, sentenza n. 716/2019 del 12.04.2019

Il giudice territoriale, con la pronuncia che si annota, ha enunciato il seguente principio: “.. nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (es. scoppio della caldaia, scarica elettrica, crollo per cedimento di strutture o simili), ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno.”

IL CASO. Con atto di citazione regolarmente notificato X conveniva in giudizio Y per accertare che l’infortunio ( trauma da schiacciamento agli arti inferiori causato da una pesante trave durante una manovra) subito da X in data 04/06/2014, nei locali dell’officina gestita dal convenuto Y, andava ascritto a fatto e colpa dello stesso Y, con conseguente condanna del responsabile al risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., o da esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., ovvero e comunque per fatto illecito ex art. 2043 c.c. .
Il Tribunale, affermata la responsabilità per colpa di Y ex art 2051 cc, lo condannava a corrispondere a X, a titolo di risarcimento del danno, la somma di € 130.753,35 oltre alle spese processuali.
L’appello proposto da Y è stato respinto dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1843 in data 14/09/2022,che ha confermato ogni statuizione del giudice di primo grado.
Nel motivare a proposito dell’eccepito concorso di colpa della vittima del sinistro, il Giudice ha ritenuto di escludere la compartecipazione della vittima in virtù del principio enunciato, peraltro condiviso da altre pronunce dello stesso Tribunale (tra le quali Trib. Modena 11/102017, sentenza n. 1778; Trib. Modena 11/12/2017, n. 2169; Trib. Modena 5/9/2017, n. 1497).
Nella fattispecie, il giudice ha ritenuto che mentre il danneggiato aveva dato prova del nesso causale tra la cosa in custodia ( la trave) e l’evento lesivo, non era stato in alcun modo provato l’assunto di parte convenuta che il danno provocato dalla trave fosse conseguenza di un’attività e di un’iniziativa autonoma ed indipendente dello stesso danneggiato, ovvero di terzi, svolta nell’azienda del convenuto contro la sua volontà; risultando provato, se mai, il contrario. Per vincere la presunzione di responsabilità del custode, infatti, questi ai fini della prova liberatoria, aveva l’onere di indicare e provare la causa del danno estranea alla sua sfera di azione (caso fortuito, fatto del terzo, colpa del danneggiato, dotati di impulso causale autonomo).

Testo integrale della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Modena

SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Giudice istruttore dott. Giuseppe Pagliani, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa iscritta al no III 18/2015 R. G. promossa da

X

– Attore –

rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Orlandi del Foro di Reggio Emilia

CONTRO

Y                                                                                                                              – Convenuto –

rappresentato e difeso dall’Avv. Z del Foro di Modena;

in punto a: risarcimento danni.

All’udienza del 12/2/19 la causa è stata assegnata a decisione, con termine fino al 15/10/13 per il deposito di comparse conclusionali, e fino al 31/3/19 per il deposito di repliche, sulle conclusioni precisate dalle parti come di seguito.

Per parte attrice:

“Piaccia all ‘Ill.mo Tribunale adito, contrariis reictis In via principale

a) accertare, per le causali enunciate in narrativa dell’atto di citazione, che l’infortunio subito da X in data 04/06/2014, presso l’immobile sito in Via Beta, è ascrivibile a fatto e colpa di Y, e dichiarare tenuto Y a risarcire il danno cagionato da cosa in custodia ex art. 2051 c.c., o il danno da esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., ovvero e comunque per fatto illecito ex art. 2043 c.c. e/o per qualunque altro titolo di responsabilità;

b) per l’effetto condannare Io stesso Y al risarcimento, in favore di X, di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti dallo stesso X a causa dell’incidente occorso, incluso l’equivalente monetario per la perdita di capacità lavorativa specifica, e quindi al pagamento della somma di € 230.000,00 0 di quella somma maggiore o minore che sarà accertata, provata e liquidata in corso di causa, oltre a maggior danno da ritardato pagamento, a rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dì dell ‘evento al giorno in cui avverrà l’effettivo saldo;

c) confermare il provvedimento di sequestro conservativo pronunciato in data 03.11.2015 in favore di X e nei confronti di Y.

Con vittoria di spese e compensi professionali, anche per la fase cautelare, nonché delle spese di CTU e di CTP eventuali.

In via istruttoria meramente subordinata:

a) l’attore chiede che il Giudice voglia ordinare e/o comunque disporre, ai sensi degli artt. 210, 212 e 213 c.p.c., alla Centrale Operativa del 118, presso la Direzione Medica dell ‘Ospedale Maggiore di Bologna, l’esibizione delle registrazioni inerenti le comunicazioni effettuate da parte del Pronto Intervento (118), in data 04.06.2014, in seguito all’incidente occorso al signor X nonché le relative trascrizioni.

Sul punto giova osservare che l’accesso alle registrazioni de quibus può essere utile per raccogliere elementi utili al fine di ricostruire la dinamica dell ‘incidente occorso all’attore. Vedansi in proposito la comunicazione trasmessa via PEC da parte della Direzione medica di Bologna in risposta alla richiesta avanzata dallo scrivente procuratore (cfr. doc. n. 25 e 26, 26b, 26c).

b) Nell ‘eventualità e nel caso in cui all ‘esito delle prove orali permangano incertezze, l’attore insta affinché il Giudice voglia disporre una CTU ai fini della ricostruzione e descrizione della dinamica del sinistro. In via alternativa chiede che il Giudice voglia disporre un sopralluogo nei locali dove è avvenuto I ‘incidente”;

per parte convenuta:

“In via principale e di merito: accertare e dichiarare che non sussiste alcuna responsabilità in capo al Sig. Y per l’evento dannoso verificatosi in data 4.6.2014 ai danni del Sig. X, anche in ragione del caso fortuito che provocò la caduta della trave, e per gli effetti rigettare la domanda di parte attrice poiché infondata in fatto ed in diritto per i motivi sopra esposti, ovvero, comunque poiché i fatti asseriti dall ‘attore non risultano accertati e provati, con conseguente decadenza del provvedimento autorizzativo del sequestro conservativo concesso con ordinanza del Tribunale di Modena del 3.11.2015.
In via subordinata: nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, della domanda di risarcimento danni proposta dal Sig. Y, accertare e dichiarare il concorso di colpa del Sig. X nella causazione del danno ex art. 1227 c.c. e, conseguentemente, diminuire il risarcimento secondo la gravità della colpa sulla base delle risultanze di causa, tenendo comunque conto della percentuale di invalidità preesistente, ovvero, in mancanza, in via equitativa o in extrema ratio ex art. 2055 c.c., escludendo in ogni caso la perdita di capacità lavorativa, e per gli effetti dichiarare la decadenza del provvedimento autorizzativo del sequestro conservativo concesso con ordinanza del Tribunale di Modena del 3.11.2015.

In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari anche della fase di sequestro conservativo, dell ‘eventuale CTU e di CTP”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Come da atti di causa e relativo verbale d’udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Preliminarmente va rilevato che la presente decisione interviene dopo le modifiche apportate agli artt. 132 C.P.C. e 118 disp. att. C.P.C. ad opera della legge no 69/2009 e, pertanto, la redazione della sentenza avviene in conformità alle nuove previsioni normative che impongono di esporre in modo succinto i fatti rilevanti della causa e le ragioni giuridiche della decisione. Sempre preliminarmente, va ricordato che ai sensi del combinato disposto del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, coordinato con la legge di conversione 1 0 agosto 2012, n. 122, e della successiva L. 7 dicembre 2012, n. 213, i termini per il deposito di conclusionali e repliche sono rimasti sospesi per legge fino al 30/6/2013.

3. L’attore in data 4/6/2014 si trovava all’interno della proprietà del convenuto, suo amico, e subiva un trauma da schiacciamento agli arti inferiori -con frattura femore dx e grave ischemia acuta dell’arto inferiore sin da trombosi traumatica dell’arteria femorale superficiale- a causa di una trave, che veniva rinvenuta dagli operatori di pronto soccorso nell’immediatezza dei fatti. I testi (ud. 22/2/18) hanno, infatti, confermato tale circostanza. In particolare uno dei testi sul cap 18 (Vero che a fianco Di X v’era una trave metallica sulla quale si notavano macchie di sangue?)- ha dichiarato: <<è vero ma ricordo che la trave fosse di legno e particolarmente pesante>>; l’altro teste ha dichiarato: <<vero ricordo che la trave era di metallo particolarmente pesante>>.
In primo luogo, quindi, è accertato che l’attore si è infortunato nella proprietà del convenuto e per effetto di una trave ivi presente. Le caratteristiche precise della trave non sono note e la stessa non è stata esaminata per l’intervento del convenuto, come risulta dalla testimonianza della teste figlia dell’attore, che sul cap. 26 -(Vero che il giorno dopo l’infortunio la trave è stata rimossa e spostata altrove da parte di Y?)- ha dichiarato: <<lo stessa ho chiesto a Y andando nel suo capannone ed egli mi ha detto che aveva già fatto sparire la trave>>.
L’unica certezza che rimane, quindi, è che la trave era molto pesante. Oltre al fatto che era di Y, e  X non se l’era certo portata con sé andando nel capannone del convenuto: è lo stesso convenuto ad allegare -cfr. comparsa conclusionale, pag. 5- che la trave “era stata posizionata in quel posto alcuni mesi prima dal Sig. Y DA SOLO, senza l’ausilio di nessuno”.

4. Altre certezze sulla dinamica non ve ne sono. L’attore fornisce una versione dei fatti che viene contestata dal convenuto. L’attore allega in atto di citazione che <<usciva dalla propria abitazione che è situata difronte ad un piccolo capannone… condotto in locazione dal signor Y… titolare dell’omonima impresa artigiana… il quale esercita in quei locali l’attività di carrozziere riguardante automezzi, quali pullman, autocarri ed automobili in genere, e attività meccanica in generale…, con l’intento di recarsi al bar limitrofo per un caffè. Fatti pochi passi…veniva invitato da Y ad entrare nel capannone dove esercitava la sua attività perché aveva bisogno d’aiuto per un lavoro di manovalanza (…) che conosceva Y da tempo per ragioni di vicinato, a mero titolo di cortesia, si rendeva disponibile a collaborare. L’artigiano aveva intenzione di sollevare una pesante trave metallica, afferente un ponte sollevatore installato all’interno dei locali d’impresa. Y spiegava all’attore che era sua intenzione sollevare la trave, che pesava all’incirca quattro quintali, per metterla in posizione verticale. A tal fine intendeva avvalersi di una sorta di muletto manuale al quale aveva fissato un cavo che all’altro capo collegato ad una estremità della trave stessa. Mentre lui azionava il muletto che trascinava il cavo, l’attore avrebbe dovuto posizionarsi in corrispondenza dell’estremità della trave per guidarla e contribuire a sollevarla. Nel corso della manovra il cavo collegato all’estremità della trave, improvvisamente cedeva, e la pesante putrella, cadendo, investiva il ricorrente, provocandogli lo schiacciamento della gamba destra all’altezza del femore, nonché profonde lacerazioni alla gamba sinistra con emorragia e conseguenti gravi traumi. X rimaneva così con gli arti schiacciati sotto la trave…>>
Il convenuto allega che <<Quel giorno il Sig. Y stava riordinando da solo il proprio capannone, voltato di schiena rispetto alla porta d’ingresso, quando udì qualcuno entrare e voltandosi vide il Sig. X, probabilmente lì per invitare l’amico a fare la consueta sosta al bar, e poco dopo inciampare sulla trave di metallo>>.
Le risultanze istruttorie sulla dinamica sono le seguenti; il teste sui cap 19-23 – (Vero che in quel frangente il signor Y riferiva che l’incidente si era verificato mentre i due, cioè X e Y, erano intenti a sollevare la trave che si trovava di fianco all’infortunato? Descriva il teste la trave che si trovava a fianco di X? Vero che nella circostanza era presente il signor Y, il quale dichiarava di essere titolare dell’attività d’impresa svolta in quei locali? Dica se e come Y o altri hanno descritto la dinamica dell’incidente? Vero che il giorno dell’incidente Y indossava una tuta da lavoro?) – ha dichiarato: <<Nell’occasione il sig. Y che era presente disse che l’incidente è avvenuto mentre X stava spostando una trave e ha precisato che X era un suo amico e non un suo dipendente che lo era andato a trovare nell’occasione. Ho ritenuto che fosse vero in quanto X non indossava tuta da lavoro>>; il teste ha dichiarato: <<nell’occasione io ero impegnato a soccorrere X che parlava ma era visibilmente sotto shock. I miei colleghi hanno chiesto la dinamica al sig. Y e in seguito nell’ambulanza mi hanno riferito che l’infortunio è avvenuto mentre i due stavano spostando la trave di metalli che era particolarmente grossa e pesante. Non ricordo se X indossasse tuta da lavoro né se la indossasse Y>>; la teste madre dell’attore, sul cap. 5 -(Vero che il giorno 04/06/2014, alle ore 15:00 circa, X, mentre era diretto al bar limitrofo, è stato invitato da Y ad entrare nel capannone sito in ……..per spostare una trave metallica riposta all’interno)- ha dichiarato: <<E’ vero ero in cortile perché noi abitiamo di fronte al capannone di Y ed ho visto che egli ha chiamato mio figlio che passava di lì chiedendogli di entrare nel capannone per spostare una sbarra>>; quindi, sui cap. da 9 a 14 – (Vero che nella circostanza dell’infortunio venne utilizzato un sollevatore, per spostare la trave, simile a quello raffigurato nel doc. n. 22 che si rammostra? Vero che mentre i due (cioè X e Y) erano intenti a sollevare la trave metallica, un cavo collegato ad una estremità della medesima – e all’estremo opposto al sollevatore – si è spezzato e la trave ha investito X? Vero che la trave ha investito X provocando lo schiacciamento degli arti inferiori? Vero che a quel punto Y ha chiesto aiuto per soccorrere X che, riverso a terra, perdeva sangue? Vero che immediatamente è accorsa la madre di X e di lì a poco altre persone del vicinato? Dica il teste chi altri è intervenuto sul luogo del sinistro?) – ha dichiarato: < «Dopo un po’ Y mi ha chiamato dicendomi che X si era fatto male io sono arrivata e lui me lo ha indicato e l’ho visto nell’angolo; Y mi ha detto che è stata la trave che stavano spostando che si era slegata o sfilata e che era precipitata su mio figlio colpendolo alle gambe. Mi ha detto che aveva chiamato mio figlio per farsi aiutare nello spostamento di questa trave di metallo. La trave era stata messa in un altro capannone e poi era stata spostata in quello di Y, che però voleva metterla in un altro punto del proprio capannone e si è fatto aiutare per amicizia da mio figlio. Y mi ha detto che aveva già chiamato l’ambulanza ed io sono uscita per segnalare la posizione ai soccorritori>>.
Dunque, mentre la versione del convenuto è rimasta completamente priva di riscontri, la versione dell’attore è compatibile sia con la natura e tipologie delle lesioni subite, come risulta dalla Ctu medico legale, sia con il rinvenimento della trave sul luogo dell’infortunio, sporca di sangue; inoltre la versione è confermata dalla confessione stragiudiziale resa nell’immediatezza del fatto dal convenuto ai testimoni terzi estranei, precisamente un teste ha confermato dall’altro al quale il primo riferisce quanto appreso, e che trova riscontro intrinseco di attendibilità nel fatto che lo stesso Y dichiara il vero anche nel riferire che X “era un suo amico e non un suo dipendente” e che “lo era andato a trovare nell’occasione”, nonché ulteriore riscontro estrinseco di attendibilità nel fatto che effettivamente “X non indossava tuta da lavoro”. A ciò si aggiunge l’ulteriore conferma fornita dalla testimonianza della madre dell’infortunato, secondo la quale fu Y a chiamare X “chiedendogli di entrare nel capannone per spostare una sbarra”.

5. In estrema sintesi, quindi, le circostanze di fatto indiscutibilmente comprovate dall’istruttoria sono che l’attore si è infortunato all’interno dell’azienda del convenuto a causa dello schiacciamento agli arti inferiori provocato da una trave, che pure ivi già si trovava in disponibilità del convenuto.
Stando così le cose, la responsabilità del convenuto per quanto accaduto all’attore ed il suo conseguente obbligo di provvedere al risarcimento del danno dallo stesso subito discendono dal disposto dell’art. 2051 C. C., che stabilisce che ciascuno è responsabile del danno causato dalle cose che ha in custodia; trattasi di una fattispecie di responsabilità anomala di natura oggettiva per cui alla parte danneggiata spetta solamente l’onere di provare il fatto e la relazione tra l’evento dannoso e la cosa in custodia. Essa presuppone, peraltro, che il danno derivi dalla cosa in sé o nel suo connaturato dinamismo, e ciò sul piano probatorio comporta che la prova liberatoria richiede la prova del fatto che la causa da cui è derivato il danno non sia strutturale ed intrinseca al bene, ma sia derivata da comportamenti estemporanei di terzi, non immediatamente conoscibili o eliminabili da parte del custode.
Oggetto di prova del giudizio è, anzitutto, se l’evento dannoso lamentato sia avvenuto per effetto della cosa (nella specie la trave) su cui parte convenuta, in qualità di proprietaria, aveva l’obbligo di custodia; prova che, in base alle circostanze e considerazioni esposte ai posti precedenti, nel caso di specie è raggiunta.
6. A questo punto va considerato, in diritto, quanto segue. In primo luogo, la responsabilità del custode per i danni cagionati da cose in custodia, stabilita dall’art. 2051 C.c., é ritenuta di natura presuntiva e viene ricollegata, in giurisprudenza, ai danni intrinseci al dinamismo connaturale alla cosa medesima o prodottisi per l’insorgenza in questa di un processo dannoso ancorché provocato da agenti esterni (Cass. III, 26/2/94, n. 1947); detta norma, pertanto, non richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura, cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di un dinamismo proprio sussiste il dovere di custodia e controllo, allorquando il fortuito ed il fatto dell’uomo possono prevedibilmente intervenire, come causa esclusiva o come concausa, nel processo obiettivo di produzione dell’evento dannoso, eccitando lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa l’idoneità al nocumento (Cass. 9/6/83, no 3971; Cass. 23/10/90, no 10277; Cass. III, 26/5/93, no 5925, in tema di infiltrazioni di acqua), e la cosa, per guasto od altre cause accidentali, sfugge al controllo del custode; la presunzione di responsabilità che vi è connessa può inoltre essere vinta solo dalla prova del caso fortuito, evento che non si sia potuto prevedibilmente evitare e che sia stato da solo la causa dell’evento dannoso.

7. In ordine alla nozione di caso fortuito, inoltre, va rilevato che esso viene per costante e conforme giurisprudenza inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e della colpa del danneggiato (Cass. 22/5/82, no 3134; Cass. no 10277/90, cit.; Cass. III, 3/12/02, n. 17152; specificamente in materia condominiale, Cass. II, 22/7/02, n. 10686); pertanto, mentre incombe al danneggiato l’onere di provare gli elementi sui quali si basa la responsabilità presunta iuris tantum del custode, quest’ultimo, ai fini della prova liberatoria, ha l’onere di indicare e provare la causa del danno estranea alla sua sfera di azione (caso fortuito, fatto del terzo, colpa del danneggiato, dotati di impulso causale autonomo: cfr. Casse 20/1/81, no 0 481), rimanendo a suo carico la causa ignota (Cass. 14/3/83, no 1897; Cass. civ., 25/11/88, no 6340; Cass. S.L., 16/9/98, n. 9247).
Dunque, secondo giurisprudenza assolutamente consolidata e dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, l’art. 2051 C.c. non esonera il danneggiato dall’onere di provare un efficace nesso causale fra cosa in custodia e danno (Cass. III, 18 luglio 1977, n. 3211; III, 6/8/97, n. 7276; III, 3/8/01, n. 10687).
È, in particolare, principio noto e consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che <<per il danno cagionato da cose in custodia, l’art. 2051 c.c. non esonera il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale fra cosa in custodia e danno>> (Cassazione civile, n. 3211/77, cit.; Cass. III, 22/7/87, n. 6407; Cass. n. 7276/97, cit.; Cass. n. 10687/01, cit., che parla di “efficace nesso causale”; Cass. III, 13/2/02, n. 2075, in una fattispecie di caduta da una scala mobile); anche se, ovviamente, non occorre fornire la prova diabolica dell’esclusione, nel concreto determinismo dell’evento, di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode (Cass. n. 6407/87, cit.; n. 7276/97, cit.; n. 2075/02, cit.).

8. Se ne ricava che, secondo l’orientamento consolidato, la responsabilità può dirsi sussistente quando sia possibile individuare tre circostanze: il rapporto di custodia in relazione ad una cosa, la verificazione di un danno, la provenienza del danno dalla cosa custodita.
Quale ulteriore premessa in diritto, va considerato che questo ufficio condivide e applica da sempre l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, ritenendo, in particolare, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, che:
“L’articolo 2051 c.c. non esonera il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale fra cosa in custodia e danno – ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa – mentre spetta al custode dimostrare il caso fortuito, cui va equiparata l’esclusiva colpa del danneggiato” (Trib. Modena (Cividali S.), 7/9/2017, n. 1518);
“La oggettiva pericolosità della cosa, avuto riguardo a tutte le circostanze specifiche del caso concreto, costituisce oggetto dell’indagine sul nesso di causalità e, quindi, è riconducibile all’ambito della prova che grava sul danneggiato, la quale a sua volta costituisce un prius logico rispetto alla prova liberatoria, di cui sarà poi onerato il custode” (Trib. Modena (Cividali S.), 14/9/2017, n. 1585);
“Per accertare della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, nonché dell’esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che la cosa produca danni a terzi” (Trib. Modena (Rimondini A.), 11/10/2017, n. 1778).

9. Per escludere la propria responsabilità, quindi, il custode deve offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, ovvero del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere d’imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (cfr. Trib. Modena (Rimondini A.), 11/12/2017, n. 2169). In relazione al caso di specie viene, però, in specifico rilievo la precisazione necessariamente correlata all’enunciazione del ricordato principio, e cioè il corollario per il quale: “Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un ‘obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno” (Trib. Modena (Rimondini A.), 11/102017, sentenza n. 1778; Conf.: Trib. Modena (Rimondini A.), 11/12/2017, n. 2169; Trib. Modena (Rimondini A.), 5/9/2017, n. 1497).
In relazione, infatti, all’ipotesi di mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, l’onere della prova incombente sul danneggiato comprende necessariamente il nesso di causalità concreto. Prova che, tuttavia, come già rilevato al precedente punto 5., nel caso di specie è raggiunta, anche se, come sopra rilevato, il danno non proviene da vizio intrinseco della cosa.
Non è stato, infatti, in alcun modo provato l’assunto di parte convenuta, che il danno provocato dalla trave sia conseguenza di un’attività e di un’iniziativa autonoma ed indipendente dello stesso danneggiato, ovvero di terzi, svolta nell’azienda del convenuto contro la sua volontà; risultando provato, se mai, il contrario. Il caso fortuito nella specie è escluso.

10. Premesso quanto sopra, occorre determinare il danno risarcibile.
In proposito è stata effettuata una consulenza tecnica d’ufficio medico legale. La consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che in conseguenza dei fatti per cui è causa l’attore ha riportato lesioni compiutamente descritte nella prima parte delle conclusioni dell’elaborato peritale, al quale per brevità si fa integrale rinvio, ed ha descritto le conseguenze permanenti come segue: < «Attualmente i postumi residuati possono ritenersi stabilizzati. I suddetti postumi, epifenomenici della evoluzione delle lesioni sopra riportate, sono rappresentati da: Esiti di frattura del femore dx con ginocchio dx globoso e dismorfico, limitazione funzionale specie in flessione (pox sino a 90 0), esiti cicatriziali, discromie cutanee. Esiti di ischemia all’arto inferiore sx con residua insuffienza circolatoria e linfedema, limitazione funzionale a carico del ginocchio sx, esiti cicatriziali, discromie cutanee. Ad emtrambi gli arti limitazione funzionale ai gradi estremi delle escursioni delle anche e delle tibio-tarsiche, lassità in varo-valgo del ginocchio. Deambulazione con zoppia e con atteggiamento extraruotato del piede sx. I postumi sovra descritti si accentuano con i cambiamenti climatici e con il sovraccarico funzionale determinando maggiore algia e rigidità>>.
La consulenza tecnica ha ritenuto congrue le spese mediche sostenute dall’attore nella misura di € 597.80, ed ha quantificato la durata della malattia in dieci mesi (I.T.T. gg. 30, I.T.P. al 75% mesi 4, I.T.P. al 50% mesi 3, ed I.T.P. al 25% mesi 2) e la I.P.P. in misura del 18-20%, tenuto conto anche delle preesistenze menomative.
Ha, infine, accertato che tale quadro menomativo determina anche un danno alla capacità lavorativa specifica del 10%., affermando che <<i suddetti postumi, determinando un sovraccarico funzionale agli arti inferiori, con conseguente maggiore usura e necessità di maggiori pause/cautele, incidono sulla capacità lavorativa nella misura del 10 %>>.
In primo luogo, in adesione alla valutazione della consulenza tecnica d’ufficio, va riconosciuta una serie di spese mediche ritenute pertinenti, nella misura indicata nella consulenza stessa.
In secondo luogo, nel caso in esame sussistono anche ragioni per prevedere un aumento ulteriore del danno, equitativamente valutabile come pari al 15% del biologico, per ricomprendere anche le sofferenze derivanti dal sinistro e  corrispondenti alla prevedibile progressiva modifica delle proprie abitudini di vita, in considerazione dell’effetto che sul quadro lesivo del danneggiato sarà determinato dal peggioramento delle condizioni di salute con l’avanzare dell’età; al riguardo si  legge nell’elaborato peritale (pag. 38): <<Leggendo le note del Dott. Redeghieri mi preme solo confermare come, pure a fronte di postumi stabilizzati, il progressivo invecchiamento e la sovrapposizione di fenomeni artrosici potrà indurre un ulteriore aggravamento del danno, di difficile percentualizzazione, ma valutabile in maniera equitativa dal Giudice>>.
Va, infine, riconosciuto il danno patrimoniale per la diminuzione della capacità lavorativa specifica, da calcolare sulla base della retribuzione media annuale di € 26.600,00 circa, risultante dalla documentazione prodotta (dichiarazioni dei redditi precedenti all’incidente).
Quanto, quindi, al danno alla salute, secondo i criteri utilizzati correntemente da questo ufficio, quindi, tenuto conto dell’età del danneggiato (anni 53) al momento del fatto ed adottando per la valutazione del danno le tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano, il danno può essere in sintesi quantificato come segue:
I.T.T. gg. 30 (€ 122,50 al dì) € 3.675,00;
I.T.P. gg. 120 — al 75%, € 11.025,00;
I.T.P. gg. 90 — al 50%, € 5-512,50;
I.T.P. gg. 30 — al 25%, € 1.837,50;
I.P.P. 19% € 59.045,00;
Personalizzazione del danno non patrimoniale, € 12.164,25;
Spese mediche documentate, € 597,80;
A queste voci va aggiunto il danno patrimoniale, € 33-464,60.
Complessivamente, tenuto conto della devalutazione al momento del fatto delle somme attribuite a titolo di risarcimento del danno alla salute, il danno ammonta ad € 81.095,00+12.164,25+33464,60+597,80; che, con l’aggiunta di rivalutazione in base al costo della vita secondo gli indici Istat dalla data del sinistro a quella di liquidazione (€ 2.765,77), e degli interessi sul capitale rivalutato con progressione annuale (€ 2.004,07), nonché a seguito della devalutazione per riportare i valori alla data del sinistro, porta ad un risarcimento effettivamente dovuto, alla data della sentenza, di € 130.753,35. A tale somma andranno aggiunti interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza fino al saldo effettivo.

11. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Le spese di consulenza tecnica vanno poste definitivamente a carico di parte convenuta, con diritto di ripetizione di parte attrice di quanto eventualmente corrisposto.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda rigettata, dichiara obbligato e condanna Y a corrispondere a X, a titolo di risarcimento del danno, la somma di € 130.753,35, comprensiva di interessi legali e danno da ritardo fino alla data di pubblicazione della sentenza, oltre agli interessi legali su detta somma dalla data della pubblicazione della sentenza fino a quella di saldo effettivo; dichiara obbligato e condanna Y a rifondere a X le spese processuali che liquida nella complessiva somma di € 3-500,00, di cui € 100,00 per spese, oltre ad accessori dovuti per legge; pone definitivamente a carico di Y le spese di consulenza tecnica d’ufficio così come liquidate, con obbligo di restituzione a parte attrice di quanto eventualmente anticipato.
Così deciso in Modena, il 12/4/19 e contestualmente depositato nel sistema telematico.

Il Giudice Dr. G. Pagliani

Air-bag difettoso, la responsabilità compete al produttore o al fornitore? Responsabilità da prodotto

 

C.Cass. civ. Sez. Terza Ord., 06/03/2023, n. 6568, Pres. Travaglino, Est. Graziosi

Un dubbio interpretativo ha indotto la Corte di Cassazione a sottoporre il tema al vaglio della Corte di Giustizia Europea.  Si tratta di appurare se, la condivisione di elementi identificativi adeguati a confondere, deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore, oppure è sufficiente una semplice coincidenza da sanzionare con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore.
Il Caso. Un consumatore che aveva acquistato un veicolo ha  chiamato in giudizio la casa produttrice del veicolo per chiedere il risarcimento dei danni subiti in un sinistro automobilistico. Nell’occorso non aveva funzionato l’air-bag della vettura.
La convenuta si è costituita negando di essere la produttrice ed eccependo di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato.

Sosteneva, in particolare la Casa Automobilistica convenuta che il fornitore ( nella fattispecie essa  Casa automobilistica) non risponde del danno se il produttore ( del componente difettoso) è individuato e, comunque, ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come avvenuto nel caso di specie.

Prima il Tribunale di Bologna e poi la Corte d’Appello di Bologna affermavano  la responsabilità di natura extracontrattuale della convenuta casa produttrice del veicolo, per difetto di fabbricazione dell’air-bag.

La  soccombente, tuttavia, proponeva ricorso alla Corte di Cassazione criticando la scelta interpretativa dei giudici territoriali,  con la richiesta, ove ritenuto necessario, di rinvio pregiudiziale  alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per  l’esegesi del testo dell’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha ritenuto necessario porre la questione interpretativa alla Corte di Giustizia  UE, perché si pronunci, in via pregiudiziale, sulla seguente questione di diritto: «se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».

Sarà cura della redazione dare notizia, a suo tempo, della decisione del Corte CEDU.

Testo integrale della ordinanza

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA Dl CASSAZIONE

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

Rilevato che:

M Tullio Cicerone conveniva davanti al Tribunale di Bologna  Mevio  S.p.A. quale venditrice e Casa Automobilistica S.p.A. quale produttrice della propria auto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui subiti in un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’air-bag della vettura.

Si costituivano le convenute, resistendo; in particolare Casa Automobilistica negava di essere la produttrice, qualificando tale F W   – appartenente al suo gruppo industriale – come sarebbe emerso dalla fattura di vendita che allo scopo produceva. Eccepiva inoltre di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponde se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come sarebbe avvenuto nel caso di specie.

Con sentenza non definitiva del 6 novembre 2012 il Tribunale accoglieva nell’an debeatur la domanda attorea, dichiarando la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’airbag, e rimetteva la causa in istruttoria per la quantificazione del risarcimento.

Proponeva appello Casa Automobilistica Spa; gli appellati si costituivano resistendo.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 21 dicembre 2018, rigettava il gravame.

Ha presentato ricorso Casa Automobilistica sulla base di tre motivi, nella parte conclusiva chiedendo, se necessario, il rinvio pregiudiziale alla CGUE per acquisire la risposta a quesiti. Gli intimati non si sono difesi.

Chiamata la causa a udienza pubblica cameralizzata, il Procuratore Generale ha concluso per iscritto nel senso dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

  1. II primo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., adducendo che il giudice d’appello ha condannato l’attuale ricorrente “per un titolo estraneo alle allegazioni attoree”, cioè come produttrice e non anche quale fornitrice.
  2. Il secondo motivo denuncia omesso esame di fatto discusso e decisivo nonché falsa applicazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988.

II giudice d’appello avrebbe correlato l’obbligo dell’attuale ricorrente – quale fornitrice convenuta – di chiamare in causa la (vera) produttrice al fatto che la convenuta avrebbe potuto essere estromessa solo dopo tale estensione del contraddittorio. Ciò sarebbe infondato, e pure irrilevante per stabilire se l’interessato alla chiamata in causa del produttore sia il consumatore/attore oppure il fornitore/convenuto e, in secondo caso, quali siano le conseguenze dell’omissione della chiamata in causa.

Si afferma di ‘censurare l’omesso esame del fatto decisivo perché comportante la ritenuta applicabilità alla fattispecie dell’art. 4 del D.P.R. 224/88 – rappresentato dalla concorde individuazione del produttore operata dalle parti in limine litis”: il riferimento sarebbe appunto al testo dell’articolo 4, primo comma, d.p.r. 224/1988, che indica come presupposto della responsabilità del fornitore la mancata individuazione del produttore; e nel caso in esame l’individuazione di quest’ultimo non sarebbe stata controversa.

Il non avere considerato che l’identità del produttore era stata individuata concordemente dalle parti avrebbe impedito al giudice d’appello di rilevare l’assenza della condicio juris (“Quando i/ produttore non sia individuato…” ) della responsabilità dell’attuale ricorrente. In un simile contesto in cui quest’ultima sarebbe stata appunto la fornitrice, essa “avrebbe dovuto essere assolta dalla domanda, ponendosi, il tema della chiamata in causa del produttore, al diverso fine – al quale la Ford era indifferente – della condanna del produttore nei confronti dell’attore”.

L’omesso esame denunciato sarebbe “decisivo anche sotto diverso profilo di una falsa applicazione, per vizio di sussunzione, della norma applicata”, in quanto, se non era controversa l’identificazione del produttore ‘già individuato concordemente dalle parti in un soggetto diverso” – l’articolo 4 citato non sarebbe applicabile: pertanto il giudice d’appello avrebbe erroneamente sussunto la fattispecie nell’articolo 4, “perché il presupposto di fatto della sua applicabilità, la mancata individuazione del produttore, era negato dalle convergenti allegazioni delle parti”.

  1. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 e della direttiva CEE 85/374, e propone “duplice richiesta subordinata di rinvio pregiudiziale” alla CGUE.
    • Conoscendo il consumatore l’identità del produttore, confermata dalla fornitrice in tempo che il consumatore potesse chiedere di chiamarlo in causa, “il tema della causa, donde la causalità del vizio di violazione di legge” qui appunto denunciato, sarebbe se, per l’omissione di tale richiesta, il consumatore dovesse soccombere nel giudizio promosso avverso la fornitrice,

‘cui era assodata l’estraneità al processo produttivo”. Al riguardo il giudice d’appello ha risposto nel senso che l’attuale ricorrente non avrebbe avuto soltanto l’onere di comunicare al danneggiato l’identità del produttore, ma avrebbe pure dovuto chiamarlo in causa, essendo questa l’unica via per essere estromessa. In tal modo la corte territoriale si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, e precisamente con Cass. 11710/2009, Cass.5428/2002 e Cass. 13432/2010 .

  • In particolare, Cass. 20 maggio 2010 n. 11710 afferma che, qualora il danneggiato agisca per danno da prodotto difettoso nei confronti del fornitore, quest’ultimo è privo di legittimazione passiva (rectius: titolarità passiva del rapporto) se il prodotto è fabbricato da un soggetto avente sede all’interno della Unione Europea, come nel caso de quo. D’altronde per l’accertamento dell’origine infracomunitaria del prodotto non occorre la partecipazione del produttore al giudizio, ben potendo “risultare dalle prove costituite prodotte al riguardo dal fornitore convenuto pur nella mancata estensione del contraddittorio al produttore”. Quindi l’evocazione in giudizio del produttore si rapporta “all’esclusivo interesse del consumatore ad ottenerne la condanna in luogo del fornitore esonerato, perché ai fini dell’assoluzione di quest’ultimo dalla domanda è sufficiente che l’identità del produttore sia individuata”: infatti il fornitore non risponde verso il consumatore “né in via solidale con il produttore, né in via vicaria, ma solo in via subordinata alla mancata individuazione di quest’ultimo”. Pertanto risulta comunque incongruo ‘attribuire al fornitore convenuto l’onere della chiamata in causa del produttore strumentalmente alla propria estromissione”, non potendo questa essere disposta in caso di contumacia del chiamato.

In realtà, si ribadisce, quel che interessa al fornitore per la sua assoluzione dalla domanda è soltanto l’accertamento dell’identità del produttore, non la sua partecipazione al giudizio.

Ancora, Cass. 15 aprile 2002 n. 5428 esclude che erri il giudice d’appello qualora dichiari il difetto di legittimazione passiva di una società importatrice di autoveicolo entro l’Unione Europea rispetto all’azione extracontrattuale esercitata dal consumatore per vizio del prodotto.

Conforme agli arresti già citati, Cass. 1 giugno 2010 n. 13432 osserva che l’onere di informazione dell’identità del produttore previsto dall’articolo 4 d.p.r. 224/88 “è previsto dalla legge in considerazione delle esigenze di tutela del consumatore”. Dunque, se nel caso in esame fosse corretto l’assunto del giudice d’appello detta norma non avrebbe senso e sarebbe stato

‘erroneamente individuato il soggetto da tutelare”: nella prospettiva della corte territoriale, infatti, quest’ultimo sarebbe il fornitore, e non il consumatore, poiché il consumatore, convenendo il fornitore, “avrebbe già individuato la propria giusta parte passiva”. Ergo, il consumatore non avrebbe alcun interesse a chiamare in giudizio il produttore, mentre interesse a chiamarlo l’avrebbe il fornitore, per essere “sostituito dal produttore come parte soccombente” oppure per ottenere nei suoi confronti una condanna di manleva dalle conseguenze dell’accoglimento della domanda attorea nei confronti propri. D’altronde, se fosse onere del fornitore/convenuto la chiamata in causa, non vi sarebbe alcuna ragione per far gravare su quest’ultimo un onere di previa, o comunque tempestiva (per la chiamata in causa) comunicazione al consumatore dell’identità del produttore”.

Inoltre la corte territoriale, sempre ad avviso della ricorrente, confonde il tema della identificazione del produttore con il tema dell’accertamento che il soggetto indicato sia effettivamente il produttore, il primo tema concernendo la corretta instaurazione del contraddittorio verso la “parte potenzialmente titolare del Iato passivo”, e il secondo invece “l’accertamento della qualità di produttore, e quindi di giusta parte passiva, non più potenziale ma effettiva, in capo al soggetto indicato dal fornitore”.

3.3 A questo punto la ricorrente rimarca che “nessun particolare valore interpretativo della norma può peraltro riconoscersi al fatto che di questa si debba dare un’interpretazione favorevole al consumatore anche oltre la voluntas legis, come sembra ritenere la Corte d’Appello”, in quanto il favor nei suoi confronti sarebbe già stato raggiunto con la direttiva comunitaria: quindi ‘la norma in esame non necessita di ulteriori estensioni interpretative indiscriminatamente favorevoli al consumatore”, già integrando “un equo contemperamento degli interessi delle parti nel riconoscimento che del danno da prodotto difettoso debba in primis rispondere il produttore, e che il fornitore possa essere chiamato a rispondere solo quando il produttore non risulti individuato”.

Tuttavia – rileva ancora la ricorrente – un ulteriore precedente di legittimità, Cass. ord. 7 dicembre 2017 n. 29327, ha affermato che è produttore, ai fini della responsabilità per danno da prodotto, anche il fornitore che abbia distribuito in Italia un prodotto contrassegnato con un marchio in tutto o in parte corrispondente alla propria denominazione, invocando l’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988. Per l’ipotesi in cui, nonostante la sentenza qui impugnata si fondi sull’articolo 4 e non sull’articolo 3 del decreto, si reputi la pronuncia del giudice d’appello “conforme a legge sulla base di tale precedente”, respingendo quindi il ricorso con correzione della motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente argomenta specificamente sul punto, criticando l’interpretazione dell’articolo 3, terzo comma, dap.r. 224/1988 che detto arresto di legittimità avrebbe scelta “senza alcuna aderenza al dato normativo, sia interno, sia comunitario,” mentre l’articolo 3, terzo comma, ‘sanziona, con l’estensione della responsabilità, un preciso contegno commissivo, e non puramente omissivo” del fornitore che aggiunga per sue ragioni (“pubblicitarie, commerciali o di altro tipo”) al marchio di fabbrica il marchio proprio, così “impedendo al consumatore di distinguere con certezza il produttore, il cui marchio non viene apposto con la precisazione che si tratti di un marchio di fabbrica e non di un marchio di commercio”. La norma allora sanziona “un comportamento confusorio del fornitore”, che se ne avvantaggia e che pertanto dal marchio deve ricavare responsabilità come quella del produttore; nella fattispecie in esame non ricorrerebbero però tali elementi identificativi, non avendo Casa Automobilistica” apposto la propria denominazione, né in senso reiterativo, né in senso distintivo”, nel marchio del produttore”.

Tuttavia “l’unico profilo che consentirebbe di accertare la responsabilità della Ford” ricorrente risiederebbe, secondo Cass. ord. 29327/2017, nel fatto oggettivo che questa ha una denominazione in tutto o in parte coincidente con il marchio del produttore; la coincidenza però “non identifica affatto un titolo di responsabilità perché non rende al consumatore più problematica l’identificazione del produttore”.

3.4 Per l’ipotesi in cui non si diverga da Cass. ord. 29327/2017, la ricorrente propone di sottoporre alla CGUE il quesito seguente: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore.

3.5 Invoca poi la ricorrente il terzo comma di tale articolo 3 – “Quando non può essere individuato il produttore de/ prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità de/ produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore.’ per sostenerne il significato (come d’altronde emergerebbe dai lavori preparatori della direttiva) nel senso che “la responsabilità del fornitore è esclusa in caso di comunicazione dell’identità del produttore, sul presupposto, ovviamente, che il soggetto indicato si riconosca, o sia riconosciuto, come tale; accertamento quest’ultimo che, come già osservato, non richiede però la necessaria presenza in giudizio del produttore”. E il d.p.r. 224/1988 avrebbe correttamente rappresentato il testo della norma comunitaria, non rispettato dalla sentenza impugnata.

Qualora però si ritenga “plausibile” l’interpretazione del giudice d’appello

‘perché non preclusa dal senso fatto palese dalle parole usate dal Legislatore sia comunitario, sia interno”, insorgerebbe la necessità di un ulteriore quesito: se sia conforme alla Direttiva del Consiglio della Comunità Europea del 25 luglio 1985 (85/374/CEE) l’interpretazione della norma implementativa interna, nella specie l’articolo 4 d.p.r. 224/1988, nel senso che non basti a/ fornitore, per sottrarsi alla responsabilità per danno da prodotto, indicare al consumatore i dati identificativi del produttore in tempo utile per permetterne la chiamata in causa da parte del primo, dovendo i/ fornitore altresì farsi carico della chiamata in causa de/ produttore stesso ai fini della sua individuazione, non altrimenti conseguibile in sede giudiziale.

Si conclude per la decisione nel merito nel senso del rigetto della domanda del Letizia, con condanna di quest’ultimo alle spese dei tre gradi di giudizio.

  1. Per una migliore comprensione è opportuno riassumere il contenuto della sentenza d’appello.

4.1 La corte territoriale ha esaminato congiuntamente i due motivi del gravame: il primo contestava l’esistenza dell’obbligo, attribuito all’appellante dal tribunale, di chiamare in causa il produttore contrapponendo la sufficienza dell’indicarne i dati identificativi, e il secondo lamentava ultrapetizione per avere il tribunale condannato la appellante quale fornitrice del veicolo, benché l’attore ne avesse chiesto la condanna quale produttrice.

La motivazione è assai concisa, e prende le mosse dalla condivisione dell’interpretazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 adottata dal tribunale nel senso che “estende al fornitore la responsabilità del produttore quando questi non sia individuato” per “assicurare al consumatore una tutela più ampia”, cosicché il fornitore, per “liberarsi dalla responsabilità in questione”, non risulta obbligato soltanto a indicare i dati identificativi del produttore, ma deve altresì provvedere a chiamarlo in causa “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione”.

L’interesse processuale alla chiamata continua la corte territoriale appartiene a chi mira a essere estromesso, qui Ford Italia, “la quale non vi ha, invece, provveduto”.

Per questo correttamente “il fornitore Casa Automobilisticaè stato sottoposto alla stessa responsabilità”, non avendo inciso l’essere stata tale parte citata quale fornitrice, in quanto “la sua posizione era equiparata a quella del produttore non evocato, mentre parte attrice non era onerata dalla chiamata in causa”. E

‘per il resto” la domanda attorea “è rimasta identica nel petitum dall’inizio alla fine e la Casa Automobilistica Spa ha pienamente svolto le proprie difese di merito in vece del produttore”.

4.2 Ad avviso della Corte d’appello, dunque, l’onere di individuazione del produttore normativamente imposto al fornitore non si arresta all’indicarne i dati identificativi, bensì include la chiamata in causa in modo che si possa verificare in sede giurisdizionale se i dati identificativi forniti siano corretti, id est che il chiamato sia davvero il produttore. Ciò denoterebbe un intento di rafforzamento della tutela del consumatore, la cui posizione viene presidiata, nel caso in cui il produttore non sia stato “immesso” nel giudizio, dall’assunzione della responsabilità del produttore da parte del fornitore che avrebbe dovuto introdurvelo e invece ha omesso di chiamarlo oppure ha chiamato un soggetto che non è in realtà il produttore. Per la corte territoriale dunque una garanzia ibrida tra il mezzo processuale e quello, in realtà fonte di impulso di tutto l’insieme, sostanziale, che ha unito i due motivi d’appello.

  1. Passando allora a scrutinare i motivi, dato atto che il primo è ictu oculi infondato in quanto il giudice ha potere di qualificazione della domanda, il secondo e il terzo motivo costituiscono il reale contenuto del ricorso e meritano un vaglio congiunto.

5.1 Preliminarmente occorre rimarcare l’erroneità dell’interpretazione, adottata dal giudice di merito, dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 nel senso che il fornitore abbia l’obbligo non solo di fornire al consumatore i dati identificativi del produttore, ma altresì di chiamare in giudizio quest’ultimo “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione”.

Del – qui applicabile ratione temporis d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224, Attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell’art. 15 della l. 16 aprile 1987 n. 183, l’articolo 4, Responsabilità del fornitore, statuisce al primo comma: “Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità i/ fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto”. Il secondo comma descrive il contenuto che deve essere versato nella richiesta del consumatore e il terzo assegna al fornitore che la richiesta non abbia ricevuta prima dell’avvio del giudizio in cui è parte convenuta il termine di tre mesi (aumentabile nel caso del quarto comma) per rendere noti all’attore i dati del produttore.

È il quinto comma, presumibilmente (la corte territoriale ne omette uno specifico richiamo), la fonte del preteso obbligo ravvisato dal giudice d’appello in capo al fornitore, così stabilendo: “Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’art. 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista da/ comma terzo, i/ convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionateg/i dalla chiamata in giudizio”.

Da un lato il riferimento alla estromissione, collocato immediatamente dopo la previsione della chiamata ex articolo 106 c.p.c., e dall’altro quello alla condanna spese potrebbero avere effettivamente suscitato l’interpretazione del giudice d’appello nel senso che la chiamata sia onere del fornitore convenuto. Si tratta, però, di una deformante lettura della norma perché non la connette proprio con l’articolo 106 c.p.c., il quale è chiaramente incompatibile con una siffatta interpretazione in quanto fin dall’incipit la osta consentendo a tutte le parti già costituite di avvalersi in presenza naturalmente dei relativi presupposti sostanziali – dell’istituto della chiamata in causa (“Ciascuna parte può chiamare … “) .

5.2 Va peraltro rilevato – e qui è il nucleo della questione da dirimere – che la pronuncia impugnata, pur motivata in modo non del tutto limpido, lascia comunque intendere di ritenere sussistente la responsabilità di Casa Automobilistica per il suo trovarsi in una posizione “equiparata a quella del produttore non evocato”. La presenza di questo tema – che significa applicazione (anche) dell’articolo 3 d.p.r. 224/1988 – come non confinato in effetti alla chiamata in causa è stata avvertita dalla ricorrente, che pur la nega in tesi; ed è una presenza agevolmente ancora sostenibile considerato che, pur avendo poi qualificato il giudice di merito diversamente la domanda, l’attore ha espressamente convenuto Casa Automobilistica come produttrice, e non come fornitrice.

La stessa ricorrente, nella premessa del ricorso, espone che “il Sig. Letizia conveniva in giudizio la  Casa Automobilistica e, sul presupposto che questa fosse la produttrice del veicolo XX  ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno da lui subito in occasione di un incidente automobilistico nel quale il sistema air-bag del veicolo non aveva funzionato”, per poi riportare la sua immediata contestazione per cui produttrice sarebbe stato  il Produttore.

È dunque prospettabile, si ripete, che l’attore abbia in effetti agito nei confronti di Casa Automobilistica non quale fornitrice, bensì quale produttrice di un’automobile che sarebbe stata difettosa; e il giudice di legittimità, in applicazione dell’articolo 384, quarto comma, c.p.c., potrebbe respingere il ricorso correggendo la motivazione della sentenza che ne è oggetto, in quanto, se Casa Automobilistica è stata convenuta come produttrice, la sua condanna al risarcimento come correlata “alla stessa responsabilità del produttore” (così si esprime, nella stringata motivazione della sua pronuncia, la corte territoriale) può confermarsi. Tuttavia, la qualificazione come produttrice per Casa Automobilistica non è sostenibile sulla base dell’omessa chiamata in causa del Produttore – che, come si è visto, non è onere suo -, bensì sulla base dei rilievi fatti propri in una vicenda affine (che si approfondirà infra) dalla recente Cass. ord. 29327/2017.

E infatti la ricorrente ha affrontato la relativa tematica, inclusa appunto Cass.ord. 29327/2017, giungendo a proporre, in subordine, i già sopra riportati quesiti diretti alla CGUE.

6.1 L’articolo 3 d.p.r. 224/1988, Produttore, dopo avere al primo comma definito: “Produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e i/ produttore della materia prima”, estende la qualità di produttore al terzo comma: “Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione”.

Questa norma appare rispecchiare direttamente il contenuto della direttiva 85/374/CEE, sia con riferimento agli introduttivi considerando, sia con riferimento all’articolo 3 della direttiva stessa.

Dei considerando anteposti dalla direttiva agli articoli, due sono reputabili attinenti al caso in esame, i seguenti:

‘considerando che ai fini della protezione de/ consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo se il prodotto finito o la parte componente o la materia prima da essi fornita sono difettosi:

che per lo stesso motivo è necessario che sia impegnata la responsabili dell’importatore che introduca prodotti nella Comunità europea e quella di chiunque si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato” ;

“considerando che, se dello stesso danno sono responsabili più persone, la protezione de/ consumatore implica che il danneggiato possa chiedere i/ risarcimento integrale del danno ad uno qualsiasi dei responsabili”.

È ben noto poi che l’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE così statuisce:

‘1. Il termine ” produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, i/ produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo i/ proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.

  1. Senza pregiudizio della responsabilità de/ produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore de/ medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo de/ produttore.
  1. Quando non può essere individuato i/ produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito i/ prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi j/ nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato i/ nome del produttore. “

6.2 Nel caso in esame Casa Automobilistica S.p.A. verrebbe allora a condividere la qualità di produttrice del Produttore apponendo il proprio nome”, in modo del tutto evidente, al prodotto, così realizzando quella “autopresentazione” cui si riferisce l’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988, sulla scia del primo comma dell’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE. Ciò che peraltro va chiarito – è già intuibile – è come debba intendersi l’espressione “apponendo il proprio nome:’  cioè se l’apposizione debba essere soltanto una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia lato sensu, e dunque includa pure (sembra un’inversione, ma in realtà è una mera espansione) la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto, che in tal modo “si presenta come produttore”, oggettivamente generando una confusione di individuazione del produttore che potrebbe risolversi a favore del soggetto debole, il consumatore, anche se il dettato normativo non appare inequivoco, bensì compatibile con più letture.

  1. La ricorrente, come anticipato, fronteggia Cass. sez. 3, ord. 7 dicembre 2017 n. 29327, che riguarda proprio una vicenda affine, la quale per responsabilità estesa a quella del produttore coinvolge ancora  Casa Automobilistica, per la comunanza, nelle modalità appena descritte, dell’elemento distintivo ” marchio”.

In sostanza, nel caso trattato da Cass. ord. 29327/2017 il ricorrente aveva lamentato l’esclusione della responsabilità del distributore per i subiti danni da prodotto qualora il prodotto sia commercializzato con marchi o segni distintivi confusivi delle posizioni di produttore e di distributore. La censura viene reputata fondata per violazione dell’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988 (anche in quel caso applicabile ratione temporis), norma che il giudice d’appello non aveva correttamente applicato “escludendo la responsabilità del distributore in un caso in cui tanto il produttore, quanto i/ distributore, pacificamente utilizzavano i/ medesimo segno distintivo”. Di qui la cassazione della pronuncia impugnata e l’assegnazione del principio per cui “i/ distributore o l’importatore rispondono del danno causato del vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio od una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli de/ produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto”.

L’indirizzo di questo recente arresto si fonda in termini unicamente oggettivi sulla coincidenza, in tutto o nella parte prevalente per il percipiente (questo è il significato logico, nel contesto, di “larga parte”), del marchio o della ragione sociale del produttore stricto sensu rispetto al marchio o alla ragione sociale del soggetto (distributore/fornitore, importatore) che così viene equiparato

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quanto alla responsabilità verso il consumatore, al “comunista” di tali elementi distintivi. Peraltro, non si può negare che la questione interpretativa sia risolvibile anche in modo diverso.

  1. Invero, nel momento in cui la sovrapponibilità, in misura assoluta o comunque realmente rilevante in termini di ordinaria percezione, dei segni e dei dati identificativi giunge ad un livello di “confusione”, da parte del consumatore, nell’identificazione del fornitore o importatore che lo dovrebbe distinguere dal produttore, l’interpretazione dell’articolo 3, primo comma, della direttiva 85/374/CEE (“Il termine ” produttore” designa i/ fabbricante di un prodotto finito, i/ produttore di una materia prima o i/ fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso. che quanto alla seconda parte (“nonché ogni persona ecc.) pare conformemente riversato nella norma nazionale di cui all’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988 (“”Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. “), si trova dinanzi ad un bivio.

La tutela del consumatore effettuata mediante l’estensione della responsabilità del produttore a chi produttore non è ma ne condivide significativi dati esterni è offerta soltanto per quando, come già si anticipava, I m apposizione” sia una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto effettuata da chi non è produttore per volutamente fruire di un’ambiguità rispetto al produttore, oppure anche per quando il produttore e chi non è produttore condividono comunque e oggettivamente elementi alquanto consistenti nei propri dati identificativi? (Il secondo è il caso che qui ricorre, in cui sia la ricorrente sia la produttrice condividono nella loro denominazione l’elemento “marchio”, senza che la ricorrente sia attivata per apporre sul prodotto un elemento per creare confusione al consumatore).

Vale a dire: la condivisione di elementi identificativi adeguati a “confondere” deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure anche una semplice coincidenza va ricondotta a un’attività di confondere i soggetti (“apponendo si presenta come produttore”) da sanzionare oggettivamente con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?

La seconda via interpretativa appare, a questo collegio, come già si anticipava, una soluzione prospettabile se si focalizza la comprensione della ratio normativa con particolare intensità nella tutela appunto del consumatore; tuttavia, il collegio è ben consapevole che sarebbe sostenibile anche la linea offerta dalla ricorrente, nell’ottica di controbilanciare gli interessi dei soggetti coinvolti, pur tenendo in conto l’oggettiva “debolezza” consumatore nel rapporto de quo. Si tratta dunque, in ultima analisi, della identificazione di un corretto equilibrio, essendo di per sé la lettera della norma unionale (e dunque, della conformata norma interna) compatibile a entrambe le soluzioni interpretative.

  1. Si ritiene, pertanto, accoglibile la richiesta della ricorrente in ordine alla proposizione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, del primo quesito prospettato dalla ricorrente stessa: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello de/ produttore. L’interpretazione della norma di cui il quesito chiede risposta costituisce invero questione pregiudiziale rispetto al restante thema decidendum in quanto, qualora risulti corretta l’interpretazione maggiormente estensiva – cioè la seconda ipotesi sopra indicata – dovrebbe desumersi infondato il ricorso, previa correzione/integrazione motivazionale della sentenza d’appello, mentre, in caso contrario, il ricorso meriterebbe accoglimento.

La risoluzione di questo quesito, per quanto si è sopra evidenziato, rende superflua la proposizione del quesito ulteriore. Il presente giudizio deve essere ovviamente sospeso sino alla definizione della questione pregiudiziale.

P.Q.M.

La Corte, visto l’articolo 267 TFUE, chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione di interpretazione del diritto dell’Unione Europea: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto su/ bene i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello de/ produttore.

Dispone conseguentemente la trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione Europea e sospende il presente giudizio sino alla definizione della suddetta questione pregiudiziale.

Così deciso in Roma il 9 febbraio 2023

Il Presidente