Fideiussione, in taluni casi è possibile concedere nuovo credito al terzo senza l’autorizzazione del garante

Cassazione civile, sez. I, 02/03/2016,  n. 4112

Nella fattispecie la ricorrente, fideiussore del marito,  proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, ha invocato l’art. 1956 cod. civ. per sottrarsi alle pretese della banca creditrice, ma la Corte d’Appello ha stabilito che la richiesta di autorizzazione ivi prevista doveva ritenersi nella specie irrilevante, tenuto conto che la moglie, stante il vincolo coniugale e di convivenza, era da considerare al corrente dell’aggravamento delle condizioni economiche del marito al punto da avere sostanzialmente assentito all’ulteriore credito.

La Corte di Cassazione ha confermato la correttezza di detta pronuncia. Diversamente da quanto eccepito nel ricorso, l’assenso del fideiussore, nel caso previsto dall’art. 1956 cod. civ., non impone la forma scritta, non potendosene affermare la configurazione in termini di accordo a latere del contratto bancario cui la fideiussione accede.

L’ipotesi contemplata dalla norma, che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia “fatto credito” al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate, non è necessariamente equiparabile alla instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore e il terzo cui debba poi estendersi la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE       Fabrizio                        –  Presidente   –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria                     –  Consigliere  –

Dott. ACIERNO     Maria                           –  Consigliere  –

Dott. TERRUSI     Francesco                  –  rel. Consigliere  –

Dott. NAZZICONE   Loredana                        –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4646-2011 proposto da:

D.R.G.  (C.F.  (OMISSIS)),   elettivamente

domiciliata in  ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso  l’avvocato  SABATINI

FRANCO, rappresentata  e difesa dall’avvocato MARCHIONNE  LANFRANCO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

U.C.M.B. – UNICREDIT MANAGEMENT CREDIT BANK, nuova denominazione  di

U.G.C. BANCA S.P.A., e per essa UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK,

Fatto

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.R.G. proponeva, in qualità di fideiussore e assieme al marito P.F., debitore principale, opposizione a un decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Pescara, su ricorso del Credito italiano s.p.a. (oggi Unicredit s.p.a.), per uno scoperto di conto corrente.

Eccepiva, per quanto in effetti ancora rileva, la propria liberazione dal vincolo, avendo la banca effettuato credito al garantito, senza autorizzazione di essa garante, per somme superiore all’affidamento, nonostante il mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.

L’opposizione veniva rigettata dall’adito tribunale, salvo il riconoscimento del diritto degli opponenti alla detrazione di una piccola somma.

L’appello della D.R. è stato a sua volta respinto dalla corte d’appello de L’Aquila, la quale, con sentenza in data 26-11-2010, ha ritenuto inammissibile per novità la deduzione relativa all’illegittimità della pretesa di pagamento di una somma superiore al limite massimo garantito e infondata la doglianza con la quale era stata invocata la liberazione del fideiussore per obbligazioni future ai sensi dell’art. 1956 cod. civ..

A tal proposito la corte ha in modo assorbente considerato che la mancata richiesta di autorizzazione da parte della banca non poteva configurare una violazione contrattuale liberatoria, in quanto la conoscenza delle condizioni economiche doveva ritenersi “comune” a creditore (rectius, debitore) e a garante, ovvero presunta in ragione del vincolo coniugale e dello stato di convivenza. Questi fatti – invero pacifici in causa costituivano, a dire della corte d’appello, elementi presuntivi di rilevante gravità, non superati da altri di segno contrario, in ordine “alla conoscenza da parte del fideiussore dell’aggravamento delle condizioni economiche del debitore e del suo sostanziale consenso all’ulteriore credito”.

Contro la sentenza citata la D.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. – Col primo mezzo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.per avere la corte d’appello erroneamente affermato la novità e di conseguenza l’inammissibilità di un profilo di censura, circa la pretesa di somme superiori al limite della garanzia, in verità mai prospettato.

Col secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1956 cod. civ., della L. n. 385 del 1993, art. 117 e dell’art. 2697 cod. civ. per avere la corte d’appello errato quanto al profilo afferente l’estinzione della fideiussione.

La tesi esposta nel secondo motivo è che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la speciale autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. imponeva la forma scritta, tenendo conto del sistema garantista e documentale attualmente in vigore per i contratti bancari e del fatto che detta autorizzazione riveste la qualifica di vero e proprio contratto in appendice alla fideiussione.

La ricorrente censura inoltre la decisione di merito nella parte in cui ha ritenuto che la conoscenza del garante circa l’aggravamento delle condizioni economiche del debitore avesse di per sè integrato l’autorizzazione citata, mentre la norma richiede che debba essere provata appunto la concessione dell’autorizzazione e non la conoscenza dello stato di aggravamento delle condizioni economiche dell’obbligato principale. In sostanza, ove anche fosse stata provata, nella fideiubente, la conoscenza dell’aggravamento, ella avrebbe potuto pur sempre negare l’autorizzazione per le future obbligazioni, e dunque in tal senso avrebbe dovuto essere comunque sollecitata a esprimersi dal creditore secondo il disposto di legge.

Sul piano logico-giuridico, poi, non poteva secondo la ricorrente giustificarsi la duplice affermazione della corte d’appello circa la presunzione di conoscenza della moglie in ordine alle condizioni economiche del marito e al conseguente consenso tacito alla concessione di ulteriore credito: dal primo punto di vista, si sarebbe stati dinanzi a una presunzione tutt’altro che grave precisa e concordante; dal secondo, a una illazione non poggiante su alcuna presunzione, stante che questa avrebbe dovuto riguardare un fatto positivo (l’autorizzazione) di cui nessuna dimostrazione era stata data.

  1. – Il ricorso è infondato in relazione al secondo motivo, il cui esame si palesa assorbente di ogni questione.
  2. – La ricorrente, fideiussore del marito, ha invocato l’art. 1956 cod. civ.per sottrarsi alle pretese della banca creditrice, ma la corte d’appello ha stabilito che la richiesta di autorizzazione ivi prevista doveva ritenersi nella specie irrilevante, tenuto conto che la moglie, stante il vincolo coniugale e di convivenza, era da considerare al corrente dell’aggravamento delle condizioni economiche del marito al punto da avere sostanzialmente assentito all’ulteriore credito.

Diversamente da quanto eccepito nel ricorso, l’assenso del fideiussore, nel caso previsto dall’art. 1956 cod. civ., non impone la forma scritta, non potendosene affermare la configurazione in termini di accordo a latere del contratto bancario cui la fideiussione accede. L’ipotesi contemplata dalla norma, che cioè il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia “fatto credito” al terzo pur sapendo che le condizioni patrimoniali di costui sono frattanto significativamente peggiorate, non è necessariamente equiparabile alla instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore e il terzo cui debba poi estendersi la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore.

Essa comprende anche la semplice modalità di gestione di un rapporto obbligatorio già instaurato col terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, e dunque non implica affatto un nuovo contratto nè tra la banca e il debitore, nè tra la banca e il terzo fideiussore.

La norma costituisce molto più semplicemente un’applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti (v. per tutte Sez. 1, n. 394-06) e perciò onera il creditore di un comportamento coerente col rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, tale da non ledere ingiustificatamente l’interesse del fideiussore.

  1. – Questa corte ha peraltro da tempo chiarito che vi possono essere casi in cui la richiesta di speciale autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ.non è necessaria perchè l’autorizzazione può essere ritenuta implicitamente o tacitamente concessa dal fideiussore. Il che è esattamente coerente col fatto che per l’autorizzazione, appunto, non è richiesta la forma scritta ad substantiam.

In guisa di simile principio è stato così affermato che i presupposti applicativi dell’art. 1956 cod. civ. non ricorrono quando, per esempio, in una stessa persona coesistono le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice, visto che la richiesta di credito, in tali casi, proviene sostanzialmente dalla persona fisica che somma la posizione di garante (v. Sez. 3, n. 7587-01, Sez. 1 n. 3761-06), donde la conoscenza della difficoltà economica del debitore devesi ritenere quanto meno comune.

Al di là di questa formula, sulla quale insiste la corte d’appello e che, invece, la ricorrente contesta in rapporto al distinto caso in cui il fideiussore sia il coniuge dell’obbligato, vi è che la ratio dell’insegnamento sta in ciò: che non è necessaria la richiesta di autorizzazione laddove possa ritenersi che vi sia già perfetta conoscenza, in capo al fideiussore, della situazione patrimoniale del debitore garantito.

Questo perchè tale perfetta conoscenza può essere considerata valida base di una presunzione di connessa autorizzazione tacita alla concessione del credito, desunta dalla possibilità di attivarsi mediante l’anticipata revoca della fideiussione per non aggravare i rischi assunti.

  1. – La corte d’appello non ha infranto i principi evocati, avendo appunto affermato, con apprezzamento di fatto non censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, e dunque insindacabile in questa sede, che il consenso (id est, l’autorizzazione) del fideiussore, essendo questi coniuge convivente del debitore, al corrente della di lui aggravata condizione economica, dovevasi considerare in effetti sostanzialmente acquisito.

Se è vero che, in ipotesi di concessione del credito nonostante il deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale può essere presunta comune al fideiussore, non è implausibile sostenere che tale sia anche, in relazione alle circostanze concrete, la condizione caratterizzante il coniuge dell’obbligato, ove sia desunta – come nella specie – dal legame tra debitore e fideiussore sorretto da vincoli stabili di comunione di vita e di interessi, tali da indurre a ritenere probabile – in mancanza di risultanze di segno contrario – sia la conoscenza sia il consenso del secondo.

Non si è in presenza, infatti, di una presunzione di secondo grado, notoriamente vietata, in quanto il fatto noto è costituito dalla stabile comunione di vita e di interessi tra fideiussore e debitore principale, cui segue la conoscenza del mutamento delle condizioni patrimoniali quale sintomo dell’autorizzazione tacita alla concessione del credito.

  1. – Tanto determina il rigetto del ricorso, assorbita rimanendo la questione prospettata nel primo motivo.

Le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 20 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2016