La compensazione e il conferimento di capitale

Corte di Cassazione, Sez. I Civile 19 marzo 2009, n. 6711

La sentenza in commento offre lo spunto per alcune brevi riflessioni sugli aspetti problematici che coinvolgono la compensazione, quando sia applicata all’obbligo di conferimento di capitale di società per azioni.

Riassumendo la SpA Alfa deliberava un aumento di capitale per il conferimento di nuovi apporti di danaro ai sensi dell’art. 2438 cc. Fra i sottoscrittori delle nuove azioni risultava anche la società Beta, già partecipante della Alfa. In seguito,la Alfa veniva sottoposta a procedura fallimentare.    Nel corso di questa, il giudice delegato ingiungeva alla Beta – per decreto ex art. 150 LF – il pagamento della somma di danaro corrispondente al valore delle azioni sottoscritte e non ancora liberate.  Presentata opposizione,il decreto veniva confermato sia in primo che in secondo grado. Veniva al riguardo ritenuta inammissibile la compensazione dedotta dalla stessa Beta con un precedente credito pecuniario vantato nei confronti della emittente. La questione era pertanto sottoposta al vaglio della Suprema Corte.

La Cassazione, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso riconoscendo l’efficacia del conferimento eseguito in via compensativa. Risultava così espresso il principio per cui l’obbligo di conferimento di denaro, in occasione di un aumento di capitale, può venire soddisfatto attraverso il meccanismo della compensazione con debito parimenti di natura pecuniaria.  Le conclusioni del giudice di legittimità poggiano sul rilievo del carattere pienamente satisfattivo della compensazione, venendo il creditore-società, per effetto di essa, ad acquisire un valore economico succedaneo al credito estinto ed espresso nella liberazione da un corrispondente debito.

Si è dato, in questo modo, seguito ad un orientamento giurisprudenziale che annovera fra i suoi più significativi precedenti le decisioni della Cassazione n. 936 del 05/02/2006 en. 4236 del   24/04/1998.                                                                         Né è valsa la doglianza, espressa dalla curatela, secondo cui l’operare della compensazione, eliminando la necessità di una materiale erogazione, pregiudicherebbe la simmetria tra capitale nominale e la sua effettiva entità. Invero, ciò che è stato ritenuto rilevante è la corrispondenza tra patrimonio netto e capitale. L’elisione di un debito della società comporta l’accrescimento del patrimonio netto (grandezza relativa, data dalla differenza tra attivo e passivo) in una misura pari al debito che viene ad estinguersi.

La compensazione in discorso è evidentemente quella legale ex art. 1243 cc, peraltro l’unica comunemente consentita nelle fattispecie di aumento di capitale sociale.       In secondo luogo, l’operare della compensazione nell’ambito delle procedure fallimentari è espressamente previsto dall’art. 56 LF e costituisce una esplicita deroga al principio della par condicio creditorum, conseguendo il creditore il soddisfacimento integrale delle proprie ragioni. La giurisprudenza, tuttavia, pretende che i fatti costitutivi dei crediti contrapposti si collochino – cronologicamente – entrambi nella fase antecedente all’apertura del concorso. Successivamente, il patrimonio, ormai vincolato alla procedura, resterebbe insensibile ad ogni effetto dispositivo-solutorio non rispettoso della regolazione concorsuale dei crediti (Tribunale di Milano, 29 dicembre 2004, in Corriere del merito 2005, pag. 629; Cassazione Civile, Sez. I 26 febbraio 1999, n. 1671).  Per quanto concerne la deduzione della compensazione nel fallimento,si può ritenere che la stessa sarà oggetto di cognizione del giudice delegato nelle sole seguenti ipotesi: a) quando il creditore chieda di essere ammesso al passivo per un certo importo, dedotto il minor credito del fallito; b) quando sia il curatore, nella fase di verificazione del passivo, ad eccepire in compensazione l’esistenza del contro-credito del fallito.

Nel caso di specie pare, invece, che il creditore non abbia provveduto alla previa insinuazione al passivo, limitandosi a far valere l’effetto legale della compensazione in sede di opposizione al decreto con il quale, ai sensi dell’art. 150 LF, gli era stato ingiunto il versamento dei conferimenti ancora dovuti. La compensazione è stata dunque accertata in sede ordinaria.

Il modus procedendi è corretto. Il creditore che intende solo avvalersi della facoltà di compensare – senza avanzare pretese per un eventuale importo residuo – non è tenuto a partecipare al concorso. Inoltre, la dichiarazione in sede extra-fallimentare di compensazione non determina alcuna effettiva lesione del contraddittorio con i creditori concorsuali. La compensazione viene, in tal caso, in rilievo come semplice causa estintiva (opponibile al fallimento) del credito del fallito al pari, ad esempio, della prescrizione.