Responsabilità medica. Trib.le di Reggio Emilia. Responsabilità della struttura sanitaria per omessa o inesatta esecuzione di  intervento di sterilizzazione

Tribunale di Reggio Emilia Sent.1298 del 07.10.15

La norma: Art. 1227 c.c : se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. 

Il secondo comma dell’art. 1227 c.c., pone come condizione per il risarcimento dei danni patiti, l’inevitabilità dei danni stessi da parte del creditore- danneggiato.

Impone cioè a quest’ultimo una condotta attiva diretta ad impedire le conseguenze dell’altrui comportamento dannoso, ma nei limiti dell’ordinaria diligenza che, deve intendersi nell’ambito di attività o scelte che non abbiano carattere di eccezionalità o che comportino rischi o sacrifici.

Pertanto, il dovere di usare l’ordinaria diligenza non implica l’obbligo della paziente danneggiata dalla omessa o inesatta esecuzione di un intervento di sterilizzazione di sottoporsi ad interruzione volontaria della gravidanza al fine di evitare i danni conseguenti all’inadempimento, comportando l’intervento abortivo un evidente e rilevante sacrificio alla salute e alla libertà di autodeterminazione della madre.

Occorre precisare, infatti, che in ambito medico, non trova applicazione il principio noto come concorso del fatto colposo del creditore-danneggiato, previsto dal secondo comma dell’art. 1227 c.c..  per il quale la risarcibilità per i danni occorsi al creditore è esclusa qualora questi avrebbe potuto evitarli usando l’ordinaria diligenza, intesa quale condotta non gravosa oltre modo o non eccezionale per il danneggiato-creditore.

Nel caso di specie, è pacifico che il rimedio abortivo esuli dalle attività di ordinaria diligenza afferenti al novero di cui all’art. 1227 c.c. risultando lesivo del diritto di autodeterminazione della gestante.

 Il caso di specie

 Una paziente in occasione di un parto cesareo richiedeva che in tale sede venisse eseguito anche un intervento volto a scongiurare gravidanze future e indesiderate.

Successivamente però, la stessa rimaneva nuovamente incinta e scopriva che non le era stata eseguita alcuna sterilizzazione nonostante ne avesse fatto richiesta scritta. Lamentava, quindi, che la nascita indesiderata le aveva comportato un concreto ed effettivo peggioramento della propria qualità di vita.

Il Giudice preso atto anche che la stessa si era tempestivamente attivata per scongiurare tale evento, ha ritenuto la struttura sanitaria responsabile dei danni patiti dalla gestante.

Testo della sentenza 

R E P U B B L I C A   I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Zompi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 564/2012 promossa

da:

Mu. Iq. (C.F. –omissis–) e Pa. Sa. (C.F. –omissis–), con il

patrocinio dell’avv. INTAGLIATA MAURO e dell’avv. INTAGLIATA DOMENICO

(–omissis–) VIA PANSA, 55/I 42100 REGGIO NELL’EMILIA; elettivamente

domiciliati in VIA PANSA, 55/I 42100 REGGIO NELL’EMILIA presso il

difensore avv. INTAGLIATA MAURO

ATTORI

contro

AZIENDA USL DI REGGIO EMILIA, con il patrocinio dell’avv. MAZZA

FRANCO, elettivamente domiciliata in VIA EMILIA SAN PIETRO 27 42100

REGGIO EMILIA presso il difensore avv. MAZZA FRANCO

CONVENUTA

CONCLUSIONI

Il procuratore di parte attrice chiede e conclude come da fogli

allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

Il procuratore di parte convenuta chiede e conclude come da memoria

ex art. 183 co. 6, n. 1, c.p.c..

 Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, Iq. Mu. e Sa. Pa. convenivano in giudizio, innanzi all’intestato Tribunale, l’Azienda USL di Reggio Emilia, in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, per sentirla condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza della nascita indesiderata del loro sesto figlio.

In particolare, gli attori esponevano che Pa. Sa., in occasione del suo quinto parto, programmato col taglio cesareo, aveva comunicato al ginecologo la scelta di procedere al contestuale intervento di sterilizzazione tubarica, a tal fine sottoscrivendo, in data 23.02.2007, l’apposito modulo di manifestazione del consenso c.d. informato.

Proseguivano gli attori esponendo che, in data 08.03.2007, la sig.ra Pa. Sa. si era quindi sottoposta, previa esecuzione di anestesia spinale, all’intervento di “taglio cesareo tradizionale” a seguito del quale era stata dimessa, in data 11.03.2007, con diagnosi di “V gravida alla 39 settimana, precesarizzata, presentazione cefalica”, con prescrizione di terapia medica e controllo dopo 6 settimane.

Fatto sta che, nel mese di dicembre 2008, l’attrice si era accorta di essere restata nuovamente incinta e, avendo deciso di portare a termine anche questa gravidanza, in data 10.08.2009 aveva partorito il suo sesto figlio. Ciò posto, deducevano gli attori che i sanitari dell’Ospedale dl Guastalla avevano del tutto omesso di provvedere, successivamente all’effettuazione del taglio cesareo, alla sterilizzazione tubarica, benché espressamente richiesta e autorizzata dalla paziente.

Lamentavano che la nascita del sesto figlio aveva messo a dura prova la situazione economica ed umana della famiglia e aveva esposto la madre un elevato stress fisico e mentale, certificato dalla comparsa di “evidente edema al dorso delle mani e dei piedi, alla regione orbitaria bilateralmente” e di “orticaria allergica ed edema diffuso sottocutaneo”.

Assumevano, quindi, gli attori che la nascita indesiderata aveva cagionato alla madre un danno biologico, nonché ad entrambi i genitori un grave pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, danni quantificati in complessivi E. 490.206,50. Si costituiva in giudizio la Azienda USL convenuta, contestando la fondatezza della domanda risarcitoria ex adverso formulata e chiedendone l’integrale reiezione. In particolare, la Azienda convenuta negava che la Parveen, all’atto del “prericovero” avvenuto in data 23.02.2007, avesse formulato la richiesta di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica. Eccepiva che, in ogni caso, dalla lettera di dimissioni emergeva chiaramente il fatto che tale intervento non era stato eseguito.

Infine, deduceva che l’attrice, scoperta la gravidanza nel dicembre 2008, ben avrebbe potuto ricorrere all’interruzione volontaria della stessa ai sensi della L. n. 194/78.

Nel corso del giudizio, espletati gli incombenti di cui all’art. 183 c.p.c., il G.I. ammetteva le prove orali richieste dalle parti. Infine, all’udienza del 21.5.2015, il G.I., in funzione di Giudice Unico, sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti, tratteneva la causa in decisione a norma dell’art. 190 c.p.c.

Ritiene questo Giudice che, alla luce delle acquisite risultanze processuali, la domanda risarcitoria così come formulata dagli attori sia, almeno in parte, meritevole di accoglimento.

Giova anzitutto osservare che, nella fattispecie, non si verte nell’ipotesi, più ricorrente nella realtà giudiziaria, in cui il paziente allega di aver patito un danno alla salute in conseguenza di azioni od omissioni del medico ovvero di non avere conseguito alcun miglioramento delle proprie condizioni di salute nonostante il suo intervento, ma si verte invece nell’ipotesi, assolutamente diversa, in cui una paziente, premesso di aver concordato con i medici l’esecuzione, in occasione di un parto cesareo, di un intervento volto a scongiurare gravidanze indesiderate, lamenta di essere restata nuovamente incinta a distanza di pochi mesi, in quanto, come accertato in seguito, il programmato intervento di sterilizzazione tubarica non era stato affatto eseguito dai sanitari operanti.

Ebbene, come di recente chiarito dalla Suprema Corte in relazione ad ipotesi del tutto analoga (Cass. n. 24109/2013), deve trovare anche in questo caso applicazione il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il creditore, ossia il paziente che agisca in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, è tenuto a dimostrare l’esistenza del contratto e ad allegare l’inadempimento del sanitario, incombendo sul sanitario (o sulla struttura ospedaliera) l’onere di provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente. Ciò posto, nel caso che occupa tra le parti non vi è alcuna contestazione in ordine alla sussistenza del rapporto professionale – negoziale dedotto in giudizio e ai fatti descritti in citazione, e, segnatamente, in ordine al ricovero dell’attrice presso l’Unità Operativa di Ostetricia dell’Ospedale di Guastalla per l’esecuzione del programmato intervento di parto cesareo e alla mancata esecuzione, a seguito del predetto parto mediante taglio cesareo, dell’ulteriore intervento di sterilizzazione tubarica. La Azienda USL convenuta si è infatti limitata ad eccepire che “nessuna richiesta in tal senso” sarebbe stata formulata dall’odierna attrice in sede di raccolta anamnestica. L’assunto difensivo risulta tuttavia smentito dall’istruttoria.

Ed invero, com’è pacifico e documentato, in data 23.2.2007, all’atto del “prericovero” per fine gravidanza, la Pa. sottoscrisse apposito modulo di consenso cd informato, con cui dichiarava di autorizzare il personale medico del reparto di ostetricia a praticare sulla sua persona l’intervento di sterilizzazione tubarica, inteso a prevenire ulteriori gravidanze (doc. 1 att.). Come è stato riferito dal teste di parte convenuta dott. Be. Cl., medico ginecologo che raccolse il consenso della paziente, “quella di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica è una specifica richiesta della paziente che il medico raccoglie e poi inserisce in cartella clinica, come richiesta accessoria a quella di parto cesareo”. Il teste ha altresì precisato che “se ci sono due moduli di consenso, uno relativo al parto cesareo e l’altro relativo alla sterilizzazione, è perché la paziente ha specificamente richiesto la sterilizzazione”. Sulla scorta del chiaro tenore letterale del documento prodotto da parte attrice sub doc. 1 e della sopra riportata deposizione testimoniale, non può seriamente dubitarsi che la Parveen abbia manifestato in modo inequivoco ai sanitari del nosocomio di Guastalla la sua volontà di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica.

Ne è riprova la circostanza che anche il diario infermieristico contenuto al foglio 40 della cartella clinica riporta la annotazione “programma taglio cesareo + S.T.” laddove la sigla S.T., come è stato confermato dai testi Ventura Alessandro e Barbara Dallatomasina, sta per “Sterilizzazione Tubarica” (doc. 2 conv.).

Ciò posto, dovendo ritenersi provato che l’attrice abbia espresso, in occasione della visita ginecologica del 23.2.2007, una chiara volontà di essere sottoposta a sterilizzazione tubarica, del tutto irrilevante appare la circostanza che ella non abbia ribadito tale richiesta “contemporaneamente all’esecuzione del programmato taglio cesareo” ai sanitari presenti in sala operatoria.

Neppure può condividersi la difesa di parte convenuta secondo cui gli attori avrebbero dovuto avvedersi del fatto che la sterilizzazione non era stata praticata, in quanto la stessa non era indicata nella lettera di dimissioni dell’11.3.2007 (pag. 48 doc. 2 conv.).

Sul punto basti osservare che la mera circostanza che la lettera di dimissioni riportasse come intervento praticato sulla paziente (solo) il taglio cesareo non può certo ritenersi di per sé sufficiente a mettere gli attori, peraltro stranieri, in condizione di comprendere che il richiesto intervento di sterilizzazione – per ragioni che erano e sono rimaste sconosciute – non era stato eseguito. Sotto altro profilo, eccepisce la Azienda USL che la Parveen, venuta a conoscenza nel dicembre 2008 di essere rimasta nuovamente incinta, “ben avrebbe potuto legittimamente ricorrere, in forza delle disposizioni della Legge n. 194/78, all’interruzione di gravidanza”.

Anche tale eccezione non merita accoglimento. L’esistenza, nel nostro ordinamento, di un diritto all’aborto non comporta che tale diritto debba essere esercitato, ben potendo sussistere ragioni etiche, morali o religiose che impediscono tale scelta.

D’altra parte, altro è la scelta di non procreare, altro è quella di porre termine ad una gravidanza già in corso, decisione quest’ultima che risulta carica di ripercussioni, fisiche e psicologiche, per la donna.

Ciò detto, deve rammentarsi che, secondo consolidata giurisprudenza, il secondo comma dell’art. 1227 cod. civ., nel porre come condizione per il risarcimento dei danni l’inevitabilità degli stessi da parte del creditore, impone a quest’ultimo una condotta attiva o positiva diretta ad impedire le conseguenze dell’altrui comportamento dannoso ma nei limiti dell’ordinaria diligenza, laddove si intendono comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, all’uopo richiesta, soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici.

Nella fattispecie, non può certo richiedersi alla danneggiata di sottoporsi ad intervento di interruzione volontaria della gravidanza al fine di evitare i danni conseguenti alla mancata esecuzione della sterilizzazione, comportando l’intervento abortivo un evidente e rilevante sacrificio alla salute e alla libertà di autodeterminazione della madre. Sulla scorta delle predette considerazioni, ritenuti sussistenti i dedotti profili di colpa nell’operato dei sanitari del nosocomio di Guastalla, i quali hanno totalmente omesso l’esecuzione dell’intervento di sterilizzazione tubarica richiesto dalla Parveen, va pertanto affermata la responsabilità dell’Azienda USL convenuta, e, per l’effetto, quest’ultima deve essere condannata al risarcimento dei danni sofferti dagli attori. Venendo alla quantificazione dei predetti danni, deve in primo luogo essere rigettata la domanda di risarcimento del danno biologico asseritamente sofferto dalla Parveen. Sul punto occorre infatti rilevare che, com’è pacifico e come emerge dalla cartella clinica prodotta dalla convenuta sub doc. 3, la gravidanza indesiderata ebbe un decorso regolare e si concluse con un intervento di parto cesareo (e sterilizzazione tubarica, richiesta e questa volta eseguita) privo di complicanze, tant’è che nessun profilo di danno alla salute viene dedotto con riferimento al periodo di gestazione.

Piuttosto, lamenta l’attrice che, successivamente al parto, avvenuto in data 10.8.2009, ella aveva sofferto di edema al volto e alle mani e di orticaria, sintomi di uno stato di “elevato stress psicologico”. Tuttavia, è la stessa attrice a riferire che, sottopostasi a visita psichiatrica per i predetti disturbi somatici, non emersero patologie psichiatriche, “ma soltanto un elevato stress psicologico, dovuto allo stravolgimento della qualità della vita” (doc. 3 att.).

Date tali risultanze, non può darsi ingresso alla C.T.U. medico-legale su cui parte attrice ha insistito anche in sede di precisazione delle conclusioni, trattandosi di indagine del tutto esplorativa.

Sotto altro profilo, lamentano gli attori di aver sofferto un danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto di “autodeterminazione della propria esistenza” da quantificarsi, in via equitativa, in E 110.000,00 in favore della madre Pa. Sa. e in E.70.000,00 in favore del padre Mu. Iq..

Sul punto si osserva che può dirsi ormai acquisito nel nostro ordinamento il riconoscimento della posizione di tutela conseguente alla lesione del diritto all’autodeterminazione della coppia nella scelta di procreare in modo “cosciente e responsabile” (art. 1 L. n. 194 del 1978) che, se frustrato, costituisce un danno ingiusto meritevole di risarcimento, trattandosi di un diritto di libertà che trova tutela nel testo costituzionale (artt. 2 e 13 Cost.).

Come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano 20.10.1997; Trib. Tolmezzo 7.6.2011, Trib. Latina 21.7.2011; Trib. Busto Arsizio 17.7.2001), se dall’inadempimento del sanitario agli obblighi di diligenza a suo carico consegue la lesione del diritto della paziente di decidere liberamente se procreare o meno, tale inadempimento genera un danno che deve essere risarcito anche nella sua componente non patrimoniale e ciò malgrado il fatto non costituisca reato, trattandosi della lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione ed essendosi in presenza di una grave lesione dell’interesse tutelato e di un danno certamente non futile (cfr Cass. S.U. n. 26972/2008).

Inoltre, come chiarito dalla Suprema Corte in fattispecie analoghe, deve ritenersi che entrambi i genitori, e non solo la madre, siano legittimati a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, essendo anche il padre tra i soggetti protetti dal contratto col medico (cfr. Cass. n. 6735/2002, secondo cui, in tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del ginecologo spetta non solo alla madre, ma anche al padre, “atteso il complesso di diritti e doveri che, secondo l’ordinamento, si incentrano sul fatto della procreazione, non rilevando, in contrario, che sia consentito solo alla madre (e non al padre) la scelta in ordine all’interruzione della gravidanza, atteso che, sottratta alla madre la possibilità di scegliere a causa dell’inesatta prestazione del medico, agli effetti negativi del comportamento di quest’ultimo non può ritenersi estraneo il padre, che deve perciò ritenersi tra i soggetti protetti dal contratto col medico e quindi tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta può qualificarsi come inadempimento, con tutte le relative conseguenze sul piano risarcitorio”). Sennonché non è l’inadempimento del sanitario che è di per sé oggetto di risarcimento, ma il danno consequenziale, secondo i principi di cui all’art. 1223 c.c..

Tali principi trovano applicazione anche nel caso di danno non patrimoniale che deve sempre essere provato, trattandosi di danno – conseguenza e non di danno – evento, giacché, come più volte chiarito dalla Suprema Corte, “il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici” (tra le tante, Cass. 10527/2011; Cass. 13614/2011; Cass. 7471/2012). Venendo al caso che occupa, ritiene questo giudice che l’onere di allegazione e prova posto a carico del danneggiato dalla giurisprudenza sopra richiamata sia stato adeguatamente assolto soltanto dall’attrice Pa. Sa..

Ed invero, quest’ultima ha domandato il risarcimento del danno cd da nascita indesiderata dedotto con riferimento allo stress ed al disagio conseguente allo stravolgimento delle proprie aspettative e della “qualità” della propria vita a seguito e per l’effetto della nascita del sesto figlio allegando, in particolare, di aver vissuto un periodo di elevato stress fisico e mentale cagionato dalla difficoltà di accudire tre bambini in tenera età “che riposano pochissimo la notte”.

Tale circostanza, non fatta oggetto di specifica contestazione da parte della convenuta, appare altresì comprovata dalla documentazione prodotta in atti dalla attrice, da cui risultano, nel periodo immediatamente successivo al sesto parto, ben due accessi al Pronto Soccorso per disturbi tipicamente psicosomatici (edema ed orticaria). Sulla scorta di tali elementi può ragionevolmente presumersi che la Parveen, già madre di cinque figli, abbia subito un concreto ed effettivo peggioramento della propria qualità di vita per effetto della nascita “indesiderata” del suo sesto figlio, anche ove si consideri che la stessa si era tempestivamente attivata proprio per evitare tale evento.

Si ravvisano pertanto i presupposti richiesti dalla citata giurisprudenza di legittimità per riconoscere la risarcibilità del danno non patrimoniale. Considerati tutti gli acquisiti elementi di giudizio, appare equo riconoscere a tale titolo all’attrice la somma di E. 20.000 liquidata all’attualità comprensiva, cioè, di rivalutazione ed interessi. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento alla analoga domanda promossa dall’attore Iqbal Muhammad.

Ed invero, quest’ultimo non ha specificamente allegato né provato quali siano stati i concreti riflessi della nascita del suo sesto figlio sulle sue abitudini e su i suoi ritmi di vita.

La difesa dell’attore si è infatti limitata ad argomentare, in modo del tutto generico, che la violazione del diritto alla procreazione si traduce in un danno evento “che si ritiene presuntivamente esistente e consiste nello stravolgimento della vita di più persone, con abitudini, passatempi, ritmi biologici, forzatamente mutati, nella perdita di chance lavorative, nella modifica della vita di relazione, insomma nel totale cambiamento della abitudini di vita”.

Sennonché tali considerazioni di carattere generale, oltre che contrastare con i principi enunciati dalla prevalente giurisprudenza di legittimità la quale, come già si è detto, esclude la configurabilità danno – evento anche nell’ipotesi di danno non patrimoniale, mal si attagliano alla fattispecie concreta ove si consideri che l’attore era già padre di cinque figli, di tal che appare inverosimile ritenere che la nascita del sesto possa aver comportato un radicale mutamento delle sue abitudini di vita. Sulla scorta delle predette considerazioni, la domanda dell’Iqbal di risarcimento del danno non patrimoniale non può trovare accoglimento, non avendo l’attore fornito alcun concreto elemento che consenta di ritenere provato il lamentato pregiudizio, neppure mediante il ricorso a presunzioni.

Resta da esaminare la domanda di risarcimento del danno patrimoniale proposta da entrambi gli attori. Superando un orientamento più risalente che limitava il danno risarcibile solo a quello dipendente dal pregiudizio alla salute fisio – psichica della donna specificamente tutelata dalla legge 194/1978 (Cass. 6464/1994), la recente giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la risarcibilità anche del danno patrimoniale che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del sanitario, in termini di causalità adeguata (Cass. n. 12195/1998; Cass. n. 14488/2004; Cass. n. 13/2010).

Ciò posto, è indubbio che la nascita di un figlio comporti delle spese, necessarie per il suo mantenimento e la sua educazione fino a raggiungimento della sua indipendenza economica, le quali costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento medico e soddisfano l’ulteriore requisito della prevedibilità del danno ai sensi dell’art. 1225 c.c.. Deve pertanto ritenersi che, come allegato dagli attori, il danno economico risarcibile sia costituito dalle spese che i due genitori dovranno sostenere per il mantenimento del figlio fino alla sua indipendenza economica, che può presuntivamente farsi coincidere con il compimento del 23 esimo anno di età (Trib. Cagliari 23 febbraio 1995; Trib. Tolmezzo 7 giugno 2011). Venendo alla quantificazione del predetto pregiudizio, la stessa non può che essere effettuata in via equitativa, data l’oggettiva difficoltà di fornire la prova del danno.

Non avendo gli attori fornito alcuna informazione circa la loro situazione reddituale o l’attività lavorativa svolta, alla liquidazione dovrà procedersi con riferimento al criterio generale ed astratto del costo minimo per il mantenimento di un figlio che può essere individuato nell’importo di E. 300,00 mensili (comprensivo d’interessi legali e rivalutazione monetaria).

Tale importo appare congruo anche ove si consideri che il sesto figlio, normalmente, può utilizzare il vestiario, le attrezzature e i libri già acquistati per i fratelli maggiori, consentendo ai genitori di giovarsi, in qualche misura, di “economie di scala”. Moltiplicando la suddetta somma di E.300,00 per 12 mesi e per 23 anni, agli attori deve essere riconosciuto, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, il complessivo importo di E. 82.800,00.

Quanto invece alle spese anticipate nel corso del tentativo di mediazione obbligatoria (E. 1.293,00 doc. 9 att.), le stesse non possono essere considerate come autonoma voce di danno risarcibile, dovendo invece essere liquidate tra le spese di lite (per tutte, Cass. n. 3523 del 27/10/1969). Sulle somme come sopra liquidate a titolo di danni patrimoniali e non patrimoniali sono dovuti gli ulteriori interessi di legge dalla decisione al saldo.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al DM 55/2014, avuto riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata.

PQM

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, reietta o assorbita ogni altra domanda, eccezione o conclusione:

1) – dichiara la convenuta Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia responsabile dei danni sofferti dagli attori in conseguenza dei fatti oggetto di causa e, per l’effetto

2) – condanna la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice Sa. Pa., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma, liquidata all’attualità, di E 20.000,00, nonché al pagamento in favore di entrambi gli attori, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, dell’ulteriore somma, sempre all’attualità, di E. 82.800,00, oltre interessi di legge dalla decisione al saldo;

3) – condanna la AUSL convenuta al rimborso in favore degli attori delle spese di lite liquidate in E. 2357,00 per esborsi (di cui E.1.293,00 per spese di tentativo obbligatorio di conciliazione) e in E. 13.430,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

REGGIO EMILIA, 7 ottobre 2015