Mese: marzo 2018

Alimenti, quando può dirsi prevedibile un evento dannoso (per la presenza di cariche microbiche inferiori alla soglia limite ) ?

Ogni qual volta un evento dannoso rientri nella prevedibilità ed evitabilità secondo regole di ordinaria diligenza il responsabile del ciclo produttivo (e dunque, nella generalità dei casi, il titolare) ne risponde,  a meno che non abbia delegato la responsabilità a singoli preposti in caso di aziende di grandi dimensioni sulla base di norme interne (nella fattispecie  era stata ravvisata la presenza di cariche microbiche in tramezzini)

(Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 37436/17; depositata il 27 luglio)

Nel caso di specie il Tribunale di Genova aveva inteso ravvisare la responsabilità, penale, del  ricorrente in quanto tre unità oggetto di campionamento presentavano valori superiori a 10 ufc/g, “parametri chimico fisici che comportano la possibilità di moltiplicazione microbica del predetto batterio nel tempo in cui il prodotto è in vendita” (nella specie tramezzini).

In sostanza – pur prevedendo la normativa un limite soglia di cariche microbiche di 100 ufc/g in modo da   giustificare la conclusione  che il mancato superamento di tale  soglia durante il periodo di validità commerciale del prodotto escluda che possa configurarsi un illecito – nel caso di specie essendo stata rilevata la presenza di cariche microbiche, seppure inferiori alla soglia, a distanza di un certo periodo di tempo dalla data di scadenza, aveva fatto ritenere ai verbalizzanti che vi fosse la possibilità in detto arco di tempo di un proliferare delle cariche microbiche  con conseguente pericolo di superamento della soglia limite.

I giudici di legittimità, tuttavia hanno accolto il ricorso del commerciante (annullando la sentenza di condanna ) osservando che non era stata contestata l’ipotesi dell’incertezza sul mancato superamento della soglia di 100 ufc/g fino alla data di scadenza del prodotto (posto che all’epoca delle analisi i dati di riferimento rientravano invece nelle soglie ) .

Del resto il Tribunale aveva espressamente osservato che non vi era questione in ordine al rispetto, da parte del ricorrente, del sistema di controlli convenuto con le autorità sanitarie secondo il piano di campionamento concordato. Dunque doveva ritenersi rispettato il principio generale di cautela costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità secondo il titolare di una ditta di produzione e commercio di prodotti alimentari ha l’obbligo di rispettare non solo le disposizioni di legge che presiedono alla disciplina di quel settore di produzione ma anche le generali norme che impongono la massima prudenza, attenzione e diligenza nella produzione. Da qui il principio  sintetizzato nella massima enunciata in apertura.
Testo delle sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 aprile – 27 luglio 2017, n. 37436 Presidente Cavallo – Relatore Cerroni

 

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza dell’11 marzo 2016 il Tribunale di Genova ha condannato P.L. , in qualità di legale rappresentante della s.r.l. Laboratorio Gastronomico Dua A.A. e concesse le attenuanti generiche, alla pena di Euro 1400 di ammenda per il reato di cui all’art. 5 lett. c) della legge 30 aprile 1962, n. 283, stante la messa in commercio di tramezzini contenenti germi patogeni listeria monoctytogeneses. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, con tre motivi di impugnazione. 2.1. In particolare, col primo motivo è stata dedotta violazione di legge in quanto l’art. 5 lett. c) della legge 283 cit. puniva solamente chi, e non era la fattispecie come desunto dall’istruttoria, impiegava negli alimenti sostanze con cariche microbiche superiori ai limiti di legge. In specie, al contrario, i prodotti alimentari erano certamente, all’epoca della verifica, ancora in buono stato di conservazione e non risultavano superati i limiti di tollerabilità microbica previsti dalla legge. 2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha contestato l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, dal momento che la ditta del ricorrente aveva svolto tutti i controlli necessari e previsti al fine di verificare la genuinità dei prodotti, non potendosi pretendere un controllo su ogni singolo tramezzino. In considerazione di ciò, si sarebbe così delineata una vera e propria responsabilità di tipo oggettivo. 2.3. Col terzo motivo infine è stato censurato l’immotivato rigetto della richiesta di applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cod. pen., di cui invece ricorrevano i presupposti (assenza di precedenti penali, effettuazione di tutti i controlli necessari e peraltro non obbligatori, commestibilità dei tramezzini al momento delle analisi, carica batterica inferiore ai limiti). 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio relativamente alla richiesta ex art. 131-bis cod. pen..

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 4.1. Il contestato art. 5 lett. c) della legge 283 del 1962 stabilisce che “È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:… c) con cariche microbiche superiori ai limiti che saranno stabiliti dal regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali”. In particolare, le analisi erano state condotte su tramezzini prodotti ed immessi in commercio dalla società di cui l’odierno ricorrente era legale rappresentante, ed avevano fatto registrare in data 17 aprile 2013, laddove il prodotto scadeva il 12 maggio 2013, valori rispettivamente di 50 unità formanti colonia (ufc), 60 ufc, maggio 40 ufc e minore 10 ufc.. In specie, si trattava di sostanze alimentari (tramezzini) deteriorabili a norma del d.m. 16 dicembre 1993 in considerazione della composizione; in particolare, di alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita di listeria monocytogenes, come previsto dal Regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005, “Sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari”. Dal momento che i prodotti erano stati immessi sul mercato durante il loro periodo di conservabilità, il limite di tollerabilità era fissato in 100 ufc “se il produttore è in grado di dimostrare, con soddisfazione dell’autorità competente, che il prodotto non supererà il limite di 100 ufc/g durante il periodo di conservabilità”. Al riguardo, l’esito delle analisi doveva considerarsi non soddisfacente, atteso che – anche se l’analisi stessa aveva attestato che il prodotto si collocava nell’ambito del limite di 100 ufc/g – è pacifico (o quantomeno non è stata sollevata contestazione sul punto) che non era stata fornita alcuna dimostrazione circa la possibilità di rispettare il suddetto limite nel corso di validità del prodotto. Sì che erano state adottate le misure di salvaguardia e di allerta previste dalla normazione. Vero è quindi che, per quanto possa interessare, non sussiste dubbio circa il fatto che si sarà proceduto al doveroso ritiro ovvero comunque al richiamo del prodotto. Per quanto invero concerne la responsabilità di natura penale, è stato ripetutamente affermato, in tema di rapporti tra le fattispecie di cui alle lett. c) e d) dell’art. 5 cit., che non integra il reato di cui all’art. 5, comma primo, lett. d), legge 30 aprile 1962 n. 283, la presenza di cariche microbiche superiori ai limiti consentiti in sostanza alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ma realizza fattispecie prevista dalla lett. c) della norma citata, per la cui configurabilità non è sufficiente un’analisi qualitativa del prodotto, essendo necessario l’accertamento del superamento dei citati limiti di tolleranza (Sez. 3, n. 29988 del 13/07/2011, Pollini, Rv. 251253; Sez. 3, n. 46764 del 16/11/2005, Salvatore, Rv. 232654). Invero, come è già stato ricordato dal provvedimento impugnato, per la configurabilità del reato di cui all’art. 5, lett. c) cit., non è necessario l’accertamento della nocività delle sostanze impiegate, ma è sufficiente il mancato rispetto dei limiti imposti a garanzia della qualità del prodotto (Sez. 3, n. 44659 del 16/11/2001, Parisi, Rv. 220629). Alla stregua dei principi richiamati, che la Corte non ha ragione di revocare in dubbio ma che anzi intende consolidare, non può non essere rilevato che il Tribunale di Genova ha inteso ravvisare la responsabilità, penale, dell’odierno ricorrente in quanto tre unità oggetto di campionamento presentavano valori superiori a 10, “parametri chimico fisici che comportano la possibilità di moltiplicazione microbica del predetto batterio nel tempo in cui il prodotto è in vendita”. Va da sé che il ragionamento non appare condivisibile, laddove è stato assunto come parametro di riferimento il valore inferiore a 10 ufc/g che, in realtà, non è fissato da alcuno e che, se risponde ad evidenti ragioni di precauzione e di stima sanitaria, comunque non esclude la sussistenza di cariche microbiche ed è diverso dalla pura e semplice “assenza” di carica microbica. In altre parole, se 100 ufc/g si pone come limite invalicabile nel caso in cui sia assicurato il suo mancato superamento nel periodo di validità commerciale del prodotto, l’eventuale parametro minimo non è altrimenti ricavabile dal sistema se non operando esegesi, ragionevoli sì, ma estranee alle previsioni, atteso che il regolamento comunitario fissa altri riferimenti (ad es. “Assente in 25 g”) per le altre ipotesi colà richiamate. D’altronde il ricorrente è stato ritenuto responsabile alternativamente, ed in entrambe le ipotesi per fattispecie in sé non contestate ovvero non espressamente previste, perché non sussisteva certezza sul mancato superamento della soglia di 100 ufc/g fino alla data di scadenza del prodotto (all’epoca delle analisi i dati di riferimento rientravano invece nel range), e perché era stato rintracciato un valore superiore a 10 ufc/g. 4.2. In ogni caso, poi, non vi è questione in ordine al rispetto, da parte del ricorrente, del sistema di controlli convenuto con le autorità sanitarie secondo il piano di campionamento concordato, come è stato espressamente osservato dal Tribunale. Al riguardo, è stato ripetutamente osservato che il titolare di una ditta di produzione e commercio di prodotti alimentari ha l’obbligo di rispettare non solo le disposizioni di legge che presiedono alla disciplina di quel settore di produzione ma anche le generali norme che impongono la massima prudenza, attenzione e diligenza nella produzione. Ogni qual volta un evento dannoso rientri nella prevedibilità ed evitabilità secondo regole di ordinaria diligenza il responsabile del ciclo produttivo ne risponde (a meno che non abbia delegato la responsabilità a singoli preposti in caso di aziende di grandi dimensioni sulla base di norme interne; in specie il titolare di una ditta di produzione e vendita al dettaglio di formaggi è stato chiamato a rispondere dell’intossicazione determinata dalla presenza nel formaggio di stafilococco aureo presente nell’acqua bevuta dagli animali, nonostante che egli fosse in regola con i controlli della AUSL, perché tali controlli non danno la garanzia che i prodotti venduti fossero immuni da qualsiasi contaminazione)(Sez. 3, n. 5950 del 20/05/1997, Danesi, Rv. 208208; conf. Sez. 7, n. 21660 del 23/09/2016, dep. 2017, Bambini, Rv. 269777, secondo cui è stata ritenuta esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per avere commercializzato una partita di alici contaminata da parassiti pericolosi per la salute la cui presenza era riscontrabile a vista, pur avendo egli provveduto a sottoporre gli alimenti a controlli a campione). Ma in specie, tra l’altro, dal provvedimento impugnato non risulta neppure emersa alcuna circostanza dalla quale era possibile desumere, come invece risulta nei precedenti richiamati, l’evento dannoso secondo i canoni della prevedibilità, nonché della evitabilità seguendo regole di ordinaria diligenza. 5. Alla stregua dei rilievi complessivamente svolti, e con assorbimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato

 

Le insidie che si possono celare dietro la clausola arbitrale (Cassazione, Sezioni Unite, 9 maggio 2016, n. 9341 )

In applicazione della disciplina transitoria dettata dall’art. 27 del d.lgs. n. 40 del 2006, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dall’art. 24 del d.lgs. n. 40/2006, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, per stabilire se è ammessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione che include la clausola arbitrale (Massima).

Testo della sentenza

Cassazione, Sezioni Unite, 9 maggio 2016, n. 9341

(Rordorf presidente, Nappi estensore) – Bertucci (avv.ti G. Iannotta, F. Iannotta) – Tironi s.p.a. (avv.ti Crisci, Benedetti)

[Omissis]   Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano dichiarò inammissibile l’impugnazione proposta da Bertucci per la dichiarazione di nullità del lodo arbitrale pronunciato nella controversia insorta con la Tironi s.p.a. in relazione al preliminare di compravendita stipulato tra le parti il 27 novembre 2001. Ritennero i giudici del merito che l’impugnazione per violazione delle norme di diritto relative al merito della controversia era inammissibile, in quanto la richiesta di arbitrato, pur fondata su una clausola compromissoria inserita nel contratto preliminare del 2001, era stata proposta il 12 marzo 2007, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, il cui art. 24 ha modificato l’art. 829 c.p.c., nel senso che «l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge», mentre una tale previsione delle parti non era contenuta nella clausola compromissoria. Del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, prevede infatti che anche l’art. 829 c.p.c., si applichi nella nuova formulazione ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda  di arbitrato sia stata proposta dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina (2 marzo 2006), così escludendo l’applicabilità della sua precedente formulazione, che ammetteva la impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto, quando le parti non avessero autorizzato decisioni secondo equità né dichiarato il lodo non impugnabile. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso B. rv. sulla base di due motivi d’impugnazione, illustrati poi anche da memoria, cui resiste con controricorso la Tironi s.p.a., proponendo altresì ricorso incidentale condizionato. La Prima sezione civile di questa corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha chiesto la rimessione alle Sezioni unite, avendo rilevato che è controverso in giurisprudenza se la nuova formulazione dell’art. 829 c.p.c., debba applicarsi anche quando la convenzione arbitrale sia stata stipulata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo il ricorrente principale censura l’interpretazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, proposta dalla Corte d’appello di Milano, in quanto contraria ai principi generali di irretroattività della legge e di immodificabilità della disciplina contrattuale per effetto dei successivi mutamenti della legislazione, nonché lesiva del diritto di difesa, «finendo per ricollegare al silenzio delle parti un significato opposto a quello dalla legge previsto al momento della stipula della convenzione di arbitrato».

1.2 – Con il secondo motivo il ricorrente principale propone questione di costituzionalità dell’art. 829 c.p.c., ove interpretato nel senso ritenuto dai giudici del merito.

1.3 – Con l’unico motivo del ricorso incidentale subordinato, la Tironi s.p.a. deduce l’inammissibilità dell’impugnazione di B. per carenza di interesse, avendo egli posto il lodo controverso a fondamento dei propri assunti in un altro giudizio.

2.1 – Il primo motivo del ricorso principale pone la questione sulla quale si è manifestato nella giurisprudenza di questa corte il contrasto denunciato dalla Prima sezione civile. Come ben chiarisce l’ordinanza di rimessione, infatti, l’originario testo dell’art. 829 c.p.c., comma 2, prevedeva che, salvo deroghe convenzionali, i lodi arbitrali fossero sempre impugnabili per violazione di norme di diritto sostanziali; mentre nel suo nuovo testo, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, l’art. 829 c.p.c., comma 3, prevede all’opposto che l’impugnazione dei lodi arbitrali per violazione di norme di diritto sostanziali è ammessa solo «se espressamente disposta dalle parti o dalla legge». Sicché il silenzio delle parti stipulanti, che in origine rendeva impugnabile il lodo arbitrale anche per violazione delle norme di diritto sostanziali, con la sopravvenuta nuova formulazione esclude invece l’impugnabilità del lodo per tali motivi. Secondo una parte della giurisprudenza tuttavia il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 4, che prevede l’applicazione delle nuove norme ai giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006, andrebbe interpretato in coerenza con il principio generale di irretroattività della legge e con gli artt. 3 e 24 Cost., con la conseguenza che il nuovo testo dell’art. 829 c.p.c., comma 3, non varrebbe a precludere l’impugnabilità per errores in judicando dei lodi arbitrali emessi sulla base di clausole compromissorie precedentemente stipulate (Cass., sez. 1, 19 aprile 2012, n. 6148, rv. 622519, Cass., sez. 1, 3 giugno 2014, n. 12379, rv. 631488, Cass., sez. 1, 18 giugno 2014, n. 13898, Cass., sez. 1, 19 gennaio 2015, n. 745, Cass., sez. 1, 19 gennaio 2015, n. 748, Cass., sez. 1, 28 ottobre 2015, n. 22007). A questa interpretazione si è però opposto che il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 4, è «chiarissimo» laddove stabilisce che l’art. 829 c.p.c., nel suo nuovo testo, si applica «ai procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto, pur se riferita a clausola compromissoria stipulata in epoca anteriore» (Cass., sez. 6, 17 settembre 2013, n. 21205, rv. 627936, Cass., sez. 1, 20 febbraio 2012, n. 2400, rv. 621295, Cass., sez. 1, 25 settembre 2015, n. 19075, rv. 636684). Sicché il nuovo testo dell’art. 829 c.p.c., comma 3, si applica anche ai lodi arbitrali emessi sulla base di clausole compromissorie stipulate prima del 2 marzo 2006.

2.2– Benché manifestatosi con riferimento all’interpretazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 4, il contrasto giurisprudenziale denunciato dalla Prima sezione civile deve trovare la sua soluzione nell’interpretazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3. Non sembra infatti discutibile l’inequivocabile portata della pur controversa norma transitoria, laddove prevede che le disposizioni del D.Lgs. n. 40 del 2006, artt. 21, 22, 23, 24 e 25, «si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente» al 2 marzo 2006, quand’anche sulla base di clausole compromissorie stipulate precedentemente, cui è esclusa l’applicabilità solo delle disposizioni del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 20, relative a forma ed effetti delle convenzioni. A tutti i giudizi arbitrali promossi dopo il 2 marzo 2006 si applica dunque anche l’art. 829 c.p.c., comma 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, con la previsione che «l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge». Occorre tuttavia domandarsi quale sia la «legge» la cui espressa previsione può rendere ammissibile l’impugnazione del lodo arbitrale anche «per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia». E sembra ragionevole ritenere che questa legge debba avere i tre seguenti connotati. Deve innanzitutto trattarsi ovviamente di una legge diversa dallo stesso art. 829 c.p.c., comma 3, che esclude certamente l’impugnabilità del lodo arbitrale per violazione delle norme di diritto sostanziali, ma ammette che a questa esclusione  possano derogare altra norma di legge o la volontà delle parti. Deve trattarsi in secondo luogo di una legge che disciplini la convenzione di arbitrato, perché è quella convenzione a definire, anche per volontà delle parti, i limiti di impugnabilità del lodo. Deve trattarsi infine della legge vigente nel momento in cui la convenzione di arbitrato viene stipulata, perché è solo la legge vigente in quel momento che può ascrivere al silenzio delle parti un significato normativamente predeterminato. Infatti il silenzio è un comportamento di per sé neutro; è solo il contesto normativo preesistente che può attribuirgli un particolare significato. Secondo quanto l’art. 1368 c.c., comma 2, dispone per l’interpretazione dei contratti, «le clausole ambigue s’interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso». E il silenzio è appunto un comportamento ambiguo (Cass., sez. 1, 10 aprile 1975, n. 1326, rv. 374846, Cass., sez. 3, 3 giugno 1978, n. 2785, rv. 392208), che può assumere un significato convenzionale solo in ragione del contesto anche normativo proprio del luogo e del momento dell’azione (Cass., sez. 3, 15 maggio 1959, n. 1442, rv. 880789, Cass., sez. 2, 14 giugno 1997, n. 5363, rv. 505200). È certo possibile che una legge sopravvenuta privi di effetti una determinata convenzione contrattuale, ammessa nel momento in cui fu stipulata (Cass., sez. 3, 26 gennaio 2006, n. 1689, rv. 587843). Sicché si è ritenuto che «il divieto di arbitrato, previsto dal D.L. 11 giugno 1998, n. 180, art. 3, comma 2 (convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 1998, n. 267) per le controversie relative all’esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamità naturali, comporta l’inefficacia per il futuro delle clausole compromissorie già stipulate» (Cass., sez. 1, 27 aprile 2011, n. 9394, rv. 617862). Ma non è possibile che una norma sopravvenuta ascriva al silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il futuro in termini diversi da quelli definiti dalla legge vigente al momento della conclusione del contratto. Né vale osservare, come pure si è fatto, che le parti, consapevoli del sopravvenuto mutamento legislativo, possono rinnovare la convenzione, perché la conclusione della nuova convenzione richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti, anche di quelli eventualmente interessati al mantenimento del vincolo precedente. Non è possibile dunque che al silenzio tenuto dalle parti nel momento in cui la convenzione di arbitrato fu stipulata venga attribuito un significato diverso da quello che vi ascriveva la legge vigente al momento della stipulazione. Del resto è questa la ratio della stessa disciplina transitoria dettata del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, dai commi 3 e 4, che distinguono appunto tra norme disciplinanti le convenzioni e norme disciplinanti il giudizio di arbitrato. E poiché è la convenzione a definire i limiti di impugnabilità dei lodi, è alle norme che la disciplinano nel momento della stipulazione che occorre richiamarsi. Né in questa prospettiva assume rilievo il mutamento di giurisprudenza intervenuto nel 2013, con il riconoscimento della natura giurisdizionale (Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153, rv. 627786), anziché negoziale (Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, rv. 539100), dell’arbitrato rituale. Infatti la natura processuale dell’attività degli arbitri non esclude che sia pur sempre la convenzione di arbitrato a determinare i limiti di impugnabilità dei lodi. Mentre la presenza di un’esplicita disciplina transitoria priva di rilevanza esclusiva il riferimento alla natura processuale degli atti per risolvere le questioni di diritto intertemporale.

2.3 – Nel caso in esame la convenziona di arbitrato, essendo stata stipulata il 27 novembre 2001, risultava dunque regolata dal previgente art. 829 c.p.c., comma 2, laddove prevedeva che «l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile». Ed è questa la legge che, in applicazione del sopravvenuto nuovo testo dell’art. 829 c.p.c., comma 3, ammette l’impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, in mancanza di contraria previsione delle parti. Sicché nel caso in esame, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, è ammissibile l’impugnazione del lodo anche per errores in judicando. Il primo motivo del ricorso principale di Bertucci è dunque fondato e assorbente del secondo motivo. Il ricorso incidentale condizionato è invece inammissibile per genericità, perché la società ricorrente non precisa in quale contesto giudiziario e in quale sua parte il lodo arbitrale sarebbe stato oggetto di acquiescenza da parte del ricorrente principale. L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, che si atterrà al seguente principio di diritto: «In applicazione della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, per stabilire se è ammessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d’arbitrato». [Omissis]

Tulela del credito. Il Nuovo Portale delle vendite pubbliche

D’ora in avanti sarà obbligatoria la pubblicazione delle vendite immobiliari sul Portale delle Vendite Pubbliche.

Questi gli indirizzi per collegarsi al sito: https://venditepubbliche.giustizia.it/pvp/

oppure :  https://pvp.giustizia.it/pvp/

Si tratta di un sito web  predisposto dal Ministero della Giustizia per la pubblicità delle vendite dei beni delle procedure esecutive e concorsuali in genere.
 Avrà la funzione, altresì, di consentire la prenotazione delle visite e per la successiva vendita mediante asta telematica.

Il Ministero dovrà ora attivare i flussi di trasmissione dati tra il Portale delle Vendite Pubbliche e i singoli portali privati dedicati alle pubblicità delle vendite e alla gestione delle vendite telematiche dei siti iscritti nell’elenco ministeriale, così da raggiungere un altro importante risultato nella digitalizzazione della giustizia e nella trasparenza dei dati, a tutela del mercato dei crediti.

 

 

Operazione di crowdfunding mediante cambio valuta in bitcoin

Il Tribunale scaligero,  nell’affrontare per  primo  temi di grande attualità  quali quelli delle  monete virtuali e del crowdfounding, appurata la totale assenza, nella singola operazione, di informativa fornita al cliente, così come di un documento contrattuale redatto per iscritto, e quindi la violazione degli obblighi legali di forma e di informativa precontrattuale di cui agli artt. 67-duodecies ss. Codice Consumo «violazione degli obblighi di informativa precontrattuale, idonea ad alterare in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche dell’investimento», ha affermato la nullità del contratto (ex art. 67-septiesdecies cod. cons.) e, a cascata ex art. 2033 c.c., il conseguente obbligo per la società di cambio di restituire il capitale in Euro investito dagli attori  ( Tribunale di Verona Sent. n. 195 del 2017 ) .

ll testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di VERONA SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Giudice Unico Dott. Andrea Mirenda

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 14185/2014 R.G. promossa da:

V………. (C.F………) con il patrocinio degli aw. …….. …………………….

ATTORE 

contro:

L…. (C.F………………)

e , con elezione di domicilio in….. presso e nello studio dell’avv………..

 CONVENUTO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza, che qui si intendono richiamati

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITO-                               

rilevato che il novellato art. 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo;

ritenuta la legittimità processuale della motivazione c.d. per relationem (cfr., da ultimo, SS.UU. 16.1.2015 n. 642; v. anche Cass. 3636/07), la cui ammissibilità – come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta risultava del resto già codificata dall’art.16 del d.lgs 5/03, a sua volta recettivo dei previ orientamenti giurisprudenziali;

osservato che per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni – di fatto e di diritto – “rilevanti ai fini della decisione” concretamente adottata 1 ;

che, in effetti, le restanti questioni non trattate non andranno necessariamente ritenute come “omesse” (per l’effetto dell’ error in procedendo), ben potendo esse risultare

semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico­giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante;

richiamato il contenuto della citazione con la quale    hanno dedotto l’inesistenza dl contratto con………..

 avente ad oggetto l’ordine di acquisto azionari e/o  il quale in ogni caso sarebbe da   considerarsi nullo per violazione della normativa in tema di equity crowdfunding (D.L. 179/2012, convertito con modificazioni con la L. 221/2012) e del Codice del Consumo ( D.lgs. 206/2005)” e hanno, quindi, richiesto – ex art. 2033 c.civ. – la restituzione delle somme versate alla convenuta;

richiamata, del pari, la comparsa di risposta dei convenuti che, nel contestare la fondatezza della domanda e nel chiederne il rigetto, facevano rilevare ” come unico dato certo e incontrovertibile fosse l’accredito da parte di   sugli accounts privati degli attori – come peraltro da

loro medesimi affermato e provato – di quanto loro promesso, id est quote di partecipazione in “start up” presenti sullo stesso portale Uinvest”;

richiamate le risultanze dell’istruttoria orale espletata (prova per testi e per interpello del convenuto                           ;

tanto premesso, osserva:

l’istruttoria ha consentito di chiarire i termini “di fatto” dell’odierna vicenda.

Giova senz’altro la descrizione fornitane dal …………..nel suo interrogatorio formale (al netto della riserva assoluta in favore del giudicante circa la qualificazione giuridica della fattispecie concreta in esame)in quanto sostanzialmente coerente con gli scarni elementi documentali in atti, qui rappresentati, oltre che dai bonifici eseguiti dagli attori in favore della società del ¿al prospetto

contratto di partenariato della società convenuta con         ( contratto

che, a stretto rigore, non assurgerebbe alla dignità di prova scritta trattandosi di res inter alios acta).

 Il ……………..»   così risponde:                             

  “Sul primo capitolo” Nulla so sulle competenze finanziarie e in materia di investimenti mobiliari delle attrici; io mi sono limitato ad operare non come intermediario finanziario, bensì come financial partner di……. nella materia della c.d. criptovaluta. In breve, le attrici hanno individuato la nostra società come partner di………………………………………………….incaricata di  consegnare, dietro bonifico, “moneta ……” in pari misura, con la quale le attrici, poi, avrebbero potuto acquistare quote di partecipazioni in “start up” presenti sul portale…………………………………………….

Per la migliore definizione del nostro rapporto con…………………, mi riporto al contratto già dimesso in atti.

Sul capitolo 2): conoscevo il sig…………………………………………….( n.d.e., del quale ha parlato il teste ……………………. come colui che avvicinò e introdusse le attrici all’investimento per cui è causa) e lo conosco tutt’ora, il qual è un collaboratore non nostro bensi di……………………………………Lui mi metteva al corrente di potenziali clienti intenzionati ad acquistare “valuta……………………………………o a riscuotere denaro, in cambio della restituzione di tale valuta.

Omissis…… Confermo di aver ricevuto dalle attrici i bonifici di cui al capitolo 6, in esito ai quali attribuii loro pari  valore di “moneta…………..che acquistai a mia volta da altri investitori che avevano esercitato il diritto alla riconsegna del denaro.

Sul capitolo 5: è vero, mai alcun contratto o ordine scritto ci fu tra noi e le attrici in quanto il rapporto era costituito con……………………….

Sul capitolo 11: gli account ( creati direttamente dagli attori presso ……., n.d.e.) non funzionarono, nel senso che effettivamente non fu possibile prelevare le somme. Preciso che si trattava di account legati a ………………….cercò di ovviare a questo problema creando dei “top fund” che riuscirono a restituire gran parte o la totalità del capitale investito nell’arco di 24 mesi, ovvero somme ridotte in tempo reale. Altro rimedio fu quello dell’emanazione di carte di debito che pure funzionarono per quattro mesi, fino al fallimento dell’emittente……………….

In definitiva, per quanto è emerso, gli attori corrisposero alla società convenuta (non al ……………….. che di quella società di capitali era solo il legale rappresentante), somme in valuta reale, ricevendone in cambio valuta ……………….che gli stessi impiegarono, poi, presso il portale ucraino al fine di dar corso agli investimenti di varia natura e specie ivi descritti e disciplinati, il tutto nell’ambito del chiaro partenariato che legava ………………………………………………… a quel gestore (si veda, in tal senso, la documentazione dimessa da ambo le parti in atti, sia in sede di costituzione che con le successive memorie ex art. 183, comma sesto, cpc).

Parte attrice, come detto, nel rilevare l’assoluta assenza di forme scritte e di qualsivoglia informativa precontrattuale a sostegno delle operazioni impugnate, invoca la tutela consumeristica di cui agli artt.67 e ss. del Codice del Consumo.

Parte convenuta, di contro, inquadra le operazioni in esame nell’ambito del c.d. eguity crowfunding, ciò è a dire in quelle attività volte, per quanto qui interessa, a proporre – mediante una piattaforma digitale dette “portale” ed affidata al “gestore di portale” iscritto nell’apposito registro ex art.50 quinquies TUF in conformità al Regolamento di cui alla delibera CONSOB 26.6.2013 n. 18592 (in G. Uff. n. 162 del 12.7.2013) – investimenti finalizzati all’acquisto di partecipazioni in start up innovative (operanti quali “emittenti” di strumenti finanziari).

Sempre i convenuti evidenziano come……………………………..     nella veste di gestore del relativo portale e di prestatore di attività funzionali all’utilizzo, scambio e conservazione di valute virtuali e alla conversione di esse con valute reali:

  • non avesse operato come intermediario finanziario e/o prestatore di servizi di investimento;
    • non fosse tenuta ad osservare la normativa antiriciclaggio, giusta l’autorevole conclusione raggiunta sul punto da l’UNITA’ DI INFORMAZIONE FINANZIARIA (U.I.F.);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
    • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
    • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
    • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
    • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
    • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
    • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
    • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
    • loStato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.
    • Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
    • non fosse tenuta a fornire agli odierni attori ulteriori informazioni rispetto a quelle, già specifiche e adeguate, fornite loro grazie all’accesso e all’iscrizione (ciascuno con proprio account personale] al portale gestito dalla società di diritto ucraino (iscrizione a cui conseguì l’erogazione della prestazione pattuita).
  • Va detto, tuttavia, quanto al preteso assolvimento dei doveri informativi gravanti sul “soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali di rischio per le start up innovative ” (secondo la definizione datane dall’art. 2 dell’Allegato 1 della Delibera Consob n.18592/2013) , come – nella realtà del processo – l’affermazione non abbia trovato concreto riscontro, nulla essendo comprovatamente emerso (al di là di mere affermazioni labiali e della produzione non confermata di un documento indicato come “Prospetto…………”, circa le caratteristiche e i contenuti obiettivi del portale medesimo, onde verificare il rispetto degli artt. 13 e ss. dell’All.l cit e, ancor più, dell’art.23 dell’Allegato 3, lì dove impone al gestore di assicurare “che per ciascuna offerta sia preliminarmente riportata con evidenza grafica la seguente avvertenza: Le informazioni sull’offerta non sono sottoposte ad approvazione da parte della Consob. L’emittente è l’esclusivo responsabile della completezza e della veridicità dei dati delle Informazioni dallo stesso fornite, Si richiama inoltre l’attenzione dell’investitore che l’investimento in strumenti finanziari emessi da start vip innovative è illiquido e connotato da un rischio molto alto“) .Peraltro, al di là del riparto del relativo onere probatorio, non mette conto in questa sede approfondire la questione e neppure rileva qui verificare se……………, quale gestore di portale, fosse davvero sottratta – ex art. 50 quìnquies TUF – alle disposizioni della parte II, titolo II, capo II, e dell’art. 22 del TUF medesimo, in difetto – ancora una volta – di prova alcuna che una società di diritto ucraino fosse effettivamente iscritta, all’epoca dei fatti, nell’apposito registro tenuto dalla Consob ai sensi del comma secondo dell’art. 50 quinquies cit, anche ai fini di cui al d.lgs. 4.3.2014 n.44 (attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui geestori di fondi di investimento alternativi, in G.U. 25.3,2014 n. 70}, salvo ai fini, tipicamente consumeristici, che si verranno dì seguito a trattare.Il nucleo “liquido” della vicenda, difatti, si incentra tutto sul rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale – al di fuori della benché minima “puntuazione” informativa e di qualsivoglia tracciatura formale (come ha riconosciuto il legale rappresentante della società in sede di interrogatorio formale) – ebbe luogo il cambio dì valuta reale con “bitcoin” (definito da attenta dottrina come uno “strumento finanziario utilizzato per compere una serie dì particolari forme di transazioni online” costituito da ” una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer”).In altra parole,………………………….quale utente–bitcoin di ……………e quale sostanziale promotore finanziario di costei ( giusta l’insistita autodefinizione quale “financial partner” della menzionata società di diritto ucraino: v. docc. in atti), ha ceduto agli attori, a fini di profitto d’impresa, la relativa moneta virtuale (non importa se già propria o se procurata ad hoc, in forza di intermediazione) in cambio di valuta reale.Di tal genere di operazioni si è occupata di recente – in termini autorevoli e convincenti – l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 72/E, prendendo le mosse dalla nota sentenza 22.10.2015 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ( Causa C-264/14) . Per quanto qui interessa, tanto la CGCE quanto l’Agenzia delle Entrate italiana definiscono le operazioni in questione ( ciòè a dire “cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti”) come prestazioni di servizio a titolo oneroso ( sub specie di “intermediazioni nell’acquisto e vendita di bitcoin“) , che – in quanto “…relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” – sono riconducibili all’art.135, paragrafo I, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, onde poi trarne l’inclusione nelle prestazioni esenti ex art. 10, corrma primo, n.3), dpr n.633/1972 (non assoggettabilità ad IVA e, per converso, assoggettabilità ad IRES ed IRAP dei margini di profitto generati).Ebbene, alla luce di quanto sopra, trova conferma l’evidente natura contrattuale delle operazioni in esame, qualificabili – sul versante di  ………………………………..  come attività professionale di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori 2.In effetti, le risultanze istruttorie consentono di affermare che……………………..assunse il ruolo di “fornitore” del servizio finanziario descritto all’art. 67 ter, lett.a), b) , c) e g) : essa, invero, operò quale soggetto privato che – mediante “contratto a distanza” ex art. 50 cod. consumo e servendosi di “operatore o fornitore di tecnica di comunicazione a distanza” ( qui il gestore del portale………………..) ebbe a collocare i “bitcoin” di che trattasi, senza mai incontrare personalmente gli odierni attori ( come ha lealmente dichiarato il legale rappresentante di costei), svolgendo siffattamente quel “servizio finanziario ai consumatori” ex art. 67 bis L. cit., con accordo per fatti concludenti comprovato, ex parte actoris. dai bonifici bancari esequiti da costoro sul c/c della società,______

    Note a piè di pagina

     

    1. laddove non si ritenga addirittura – in guisa della clausola di salvezza dell’art. 67 bis del Codice del Consumo (“omissis…, fatte salve, ove non espressamente derogate, le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa, dei sistemi di pagamento e di previdenza individuale, nonché le competenze delle autorità di settore”)               –  la sussistenza della fattispecie dell’ “offerta al pubblico di prodotti finanziari” descritta dall’art.l, lett. t) e u) , del d.lvo 24.2.1998 n.58, ovvero ancora di quella dei “servizi e attività di investimento” in “valori mobiliari” ex art.l bis, comma primo, lett. c) ed), nonché comma quinto, lett. a), del d.lvo n.58 cit., avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di “qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere” (n.d.e. azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership etc.) ovvero di “qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure” ( il 2pensiero corre alla prospettata facoltà di conversione successiva dei bitcoin in valuta reale). Si avrebbe, così, la nullità delle relative transazioni tra le odierne parti in quanto poste in essere senza il rispetto della forma scritta “ad substantiam” contemplata dall’art.23 TUF, senza che possa giovare l’esonero di cui al successivo art. 50 quinquies, in difetto di prova della sussistenza dei presupposti legittimanti ivi descritti. Si preferisce, tuttavia, nel rispetto dei principi sottesi all’art.101 c.p.c., restare saldamente legati al tema consumeristico in quanto maggiormente aderente a quello principalmente dibattuto in causa.
    • ———–

    bonifici ai quali fece seguito l’accredito, in favore dei primi, di unità di criptomoneta …………..(la c.d. Virtual value : “V.V.” ), in pari misura, sul portale ucraino (e dunque, ancora un volta, con le modalità degli artt. 50 e 67 ter, 1. cit.). La premessa ricostruttiva che precede consente, ora, di affrontare con maggiore precisione il tema della mancata informazione, agitato in via risarcitoria dagli attori, per verificarne la riconducibilità al perimetro tracciato dagli artt. 67 quater, quinquies, sexies, septies, undecies della L. cit., come integrato in via regolamentare (ex art. 67 decies) dal Titolo III dell’Allegato 1 della delibera Consob n. 18592 del 26.6.2013 (Regole di condotta: artt.13-21).

    Escluso il diritto di recesso giusta la previsione dell’art.67 duodecies, comma quinto, la disciplina prevede, in estrema sintesi, che il consumatore abbia diritto:

  • di comprendere “in maniera inequivocabile” il “fine commerciale” perseguito dal fornitore ( qui………………………………….);
  • di essere informato, secondo le regole dell’Unione Europea (anche laddove il fornitore sia extra-UE), “in modo chiaro e comprensibile con qualunque mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza”, “prima che lo stesso sia vincolato da un contratto a distanza o da un’offerta” ( ovvero, come forse nella fattispecie in esame, ” subito dopo la conclusione del contratto a distanza, se quest’ultimo è stato concluso su richiesta del consumatore utilizzando una tecnica di comunicazione a distanza che non consente di trasmettere le condizioni contrattuali né le  informazioni ai sensi del comma 1″) :
  • circa l’identità, anche di stabilimento geografico, del fornitore e del suo rappresentante;
  • l’identità del professionista (qui……..… ) e la veste in cui esso agisce nei confronti del consumatore;
  • l’iscrizione del fornitore ( ciò è a dire la società convenuta, per quanto detto sopra, ma anche il gestore di portale UINVEST per quanto riferibile a costui) in un registro commerciale o analogo pubblico registro, come pure l’assoggettamento e gli eventuali estremi dell’autorizzazione amministrativa necessaria per le attività così svolte;
  • le principali caratteristiche del servizio finanziario offertogli;
  • il meccanismo di formazione del prezzo, in senso lato;
  • il “rapporto con strumenti che implicano particolari rischi dovuti a loro specifiche caratteristiche o alle operazioni da effettuare, o il cui prezzo dipenda dalle fluttuazioni dei mercati finanziari su cui il fornitore non esercita alcuna influenza, e che i risultati ottenuti in passato non costituiscono elementi indicativi riauardo ai risultati futuri, oltre che sull’esistenza di collegamenti o connessioni con altri servizi finanziari, con la illustrazione deglieventuali effetti complessivi derivanti dalla combinazione” ( si ha qui riguardo al contratto di cambio di valuta reale con moneta virtuale – nella quale va ravvisata una prima operazione in strumenti finanziari – funzionalmente diretta, in via esclusiva, al successivo acquisto su “portale” di partecipazioni emesse da società extra UE);
  • i rimedi che gli sono attribuiti dall’ordinamento;
  • lo Stato membro o gli Stati membri sulla cui legislazione il fornitore si basa per instaurare rapporti con il consumatore prima della conclusione del contratto a distanza”.

Deve ritenersi, poi, come detto sopra, che in forza dell’art. 67 decies cod. cons., si applichino alla fattispecie anche gli ulteriori “caveat” di portata generale evincibili dagli artt. 13, 14 e 15 dell’Allegato 1 della nota Delibera Consob 26.6.13 n. 18592 (come pure dell’art.l dell’A11.3, ibid), giacché volti – in vario modo – ad accrescere il livello di consapevolezza dell’investitore sull’alto rischio ( così la disciplina) derivante da investimenti illiquidi in strumenti finanziari emessi da start up innovative.

Non si dubita, ovviamente, che gli obblighi regolamentari in questione abbiano per destinatario “naturale” il c.d. gestore dì portale (nel caso, ……) e, tuttavia, una volta accertata la simmetrica sussistenza di specifici doveri informativi gravanti anche sul fornitore dello strumento finanziario (qui la cripto-moneta finalizzata, per l’appunto, agli investimenti in partecipazioni offerte sul portale    pare ragionevole definirne il contenuto, i contorni concreti (specie, come nel caso, laddove non assolti ovvero assolti lacunosamente dal gestore) mediante la loro trasposizione in capo al “fornitore”, in esito ad un’operazione ricostruttiva volta a evitare, in via esegetica, lacune nell’ordinamento di settore.

Tracciato in tal modo il perimetro soggettivo ed oggettivo degli obblighi informativi in parola, la legge – con l’art. 67 septiesdecies – ne assicura altresì l’effettività, facendo discendere dalla violazione degli “obblighi di informativa precontrattuale” idonea ad alterare “in modo significativo la rappresentazione delle caratteristiche” dell’investimento:

  1. la nullità del contratto, con diritto potestativo di azione riservato al consumatore, secondo lo schema consueto delle c.d. nullità relative;

2. l’ “obbligo alla restituzione di quanto ricevuto” a carico del fornitore.

Ciò detto, non è chi non veda come, nella fattispecie, il problema della alterazione significativa della rappresentazione delle operazioni di investimento sub iudice si ponga in termini assoluti, essendo mancato qualsivoglia contatto, sia diretto che indiretto tra le parti, per l’effetto di privare in radice gli attori di qualsivoglia flusso informativo in loro favore, nel rispetto dei principi guida tracciati dal legislatore.

Inevitabile, quindi, la nullità dei contratti stipulati per facta  concludenti con gli odierni attori e, a cascata ex art. 2033 c.civ., la condanna della banca convenuta alla “restituzione di quanto ricevuto”.

Non vi è prova di danno emergente ulteriore né di danno da lucro cessante.

Sulle somme percette, come pacificamente indicate per ciascun attore ( v. docc. 1, 2 e 3 attorei), competono gli interessi legali dalla domanda al saldo, non essendo stata offerta prova del dolo dell‘accipiens tale da superare la presunzione generica di buona fede ex art. 1147 c. A questo riguardo, per quanto emerso, l’operato di……………………….parrebbe improntato non tanto a dolo quanto a grave carenza di professionalità nell’accostarsi ad attività rischiose con assoluta superficialità e noncuranza del dovere di protezione degli investitori).

Le spese seguono la soccombenza della società convenuta e si liquidano in € 8946,55, oltre CA e IVA ( se dovuta), come da notula dell’avv. ……… in data 27.9.2016, in favore degli attori, in solido tra loro.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e respinta, dichiara nulli i contratti di “cambio in bitco in………………….         inter partes e, per l’effetto, condanna…………………………………………………………………….     ….. sedente a restituire :

  • a………………………….. la somma capitale di € 7.020,33;
  • a………………………………la somma capitale di € 7.289,00;
  • a …………………………….la somma capitale di € 9395, 00;

oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo per ciascuno di essi;

condanna, infine, la società convenuta alla rifusione delle spese di lite, come sopra liquidate.

Così deciso, in Verona, il 24 gennaio 2017

Il Giudice

Dott. Andrea Mirenda

Coopsette – Liquidazione Coatta Amministrativa – Crediti prededucibili – Tribunale di Reggio Emilia – Decreto 14/01/18

Liquidazione coatta amministrativa, opposizione allo stato passivo, crediti derivanti da accordi di ristrutturazione dei debiti , consecuzione delle procedure, sopravvenuto fallimento, prededucibilità, accordi di ristrutturazione dei debiti, crediti derivanti dalla proroga di pretese di natura commerciale, natura di finanziamenti .

T R I B U N A L E D I R E G G I O E M I L I A

Sezione prima civile

riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati

Francesco Parisoli Presidente

Virgilio Notari giudice rel.

Niccolò StanzaniMaserati giudice

ha emesso il seguente

DECRETO

nella causa di opposizione allo stato passivo iscritta al n. 7873/2016 del R.G.A.C., rimessa al Collegio per la decisione all’udienza del 25/2/2018, vertente

TRA

ALFA S.R.L. (c.f. ***), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata a Modena, in Via Giardini n. 456, presso lo studio dell’avv. Nicola Cantarelli, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura a margine del ricorso introduttivo

E

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA COOPSETTE SOC. COOP. (c.f. ***), in persona del commissario liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata a Reggio Emilia, in Via Cadoppi n. 14, presso lo studio degli avv. Federica Bassissi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Sido Bonfatti e Fulvia Confetti giusta procura allegata alla memoria difensiva del 15/5/2017.

CONCLUSIONI

All’udienza del 25/2/2018 le parti hanno precisato le conclusioni esposte in motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 209, c. 2 L.F. depositato il 28/12/2016 la Alfa s.r.l. ha opposto il decreto di esecutività dello stato passivo comunicato il 28/11/2016 dal commissario liquidatore della L.C.A. Coopsette soc. coop.. A sostegno della domanda la società ha riferito di essersi insinuata al passivo della procedura in prededuzione per € 769.039,79 più Iva a titolo di corrispettivo maturato in virtù di contratti di fornitura di materiale edile e posa in opera eseguiti tra il 2014 e il 2015. Ha dedotto, inoltre, che nel provvedimento impugnato il commissario liquidatore ha accolto l’istanza per l’intero importo richiesto, sebbene in chirografo. Secondo la prospettazione di parte opponente si tratta di statuizioni illegittime alla luce delle travagliate vicende che hanno caratterizzato gli ultimi anni di attività della cooperativa. In proposito la Alfa s.r.l. ha osservato che i crediti controversi sono maturati nel biennio compreso tra la proposizione, ad opera di Coopsette, di una richiesta di concordato preventivo rimasta senza esito (febbraio 2013), la sottoscrizione di molteplici accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis L.F. con il ceto creditorio e il deposito di una seconda istanza concordataria (3/6/2015), poi seguita dall’apertura, nell’ottobre del 2015, della liquidazione coatta amministrativa. Sul rilievo della necessità di retrodatare lo stato d’insolvenza al primo concordato preventivo in attuazione del principio di consecuzione tra le procedure concorsuali e dell’affidamento maturato circa la riscossione del credito per effetto delle rassicurazioni ricevute dai vertici della cooperativa la Alfa s.r.l. ha insistito per l’insinuazione in prededuzione dell’intero importo rivendicato ai sensi dell’art. 111 L.F., con vittoria di spese, competenze e onorari.

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Costituita con comparsa del 15/5/2017, la L.C.A. in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità dell’opposizione (o, comunque, l’infondatezza nel merito delle sottostanti pretese) per effetto della mancata contestazione, da parte della Alfa s.r.l., dell’ammissione in chirografo comunicata alla società dal commissario liquidatore ex art. 207 L.F.. Ha negato, in ogni caso, la sussistenza di quel nesso di consecuzione tra procedure invocato dall’opponente quale fondamento logico e giuridico della prededuzione, tenuto anche conto del carattere non concorsuale dei molteplici accordi di ristrutturazione del debito stipulati da Coopsette con i propri creditori nell’arco temporale compreso tra il primo e il secondo concordato preventivo. Ad avviso della L.C.A. devono considerarsi irrilevanti anche le presunte rassicurazioni circa la natura prededucibile del credito a cui si allude nell’atto introduttivo. Sulla scorta di tali censure la procedura ha concluso per il rigetto dell’opposizione e la condanna della controparte al pagamento delle spese di lite.

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Ricostruiti in tal modo i termini del contenzioso, il Collegio reputa che l’opposizione al passivo non sia fondata.

È escluso, innanzi tutto, che il beneficio della prededuzione possa essere accordato facendo applicazione del principio di consecuzione tra procedure concorsuali richiamato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rapporti tra concordato preventivo e fallimento, fino alla consacrazione normativa nell’ambito dell’art. 49, c. 2, d.lgs. n. 270/1999 per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza e dell’art. 69 bis, c. 2, L.F. per il fallimento (Cass. 6/10/2010, n. 18437; Cass. 28/5/2012, n. 8439; Cass. 13/4/2016, n. 7324; Cass. 14/12/2016, n. 25728). Si è accennato agli eventi che hanno caratterizzato il biennio anteriore all’avvio della L.C.A. di Coopsette, aperta con decreto del 30/10/2015 dopo il deposito di una prima istanza di concordato preventivo in bianco (febbraio 2013), la sottoscrizione di numerosi accordi di ristrutturazione del debito omologati dal Tribunale di Reggio Emilia e il tentativo, rimasto senza esito per espressa rinuncia, di dare corso a una seconda proposta concordataria (maggio 2015). Ciò posto, nonostante una recente presa di posizione in senso contrario della Corte di Cassazione (Cass. 25/1/2018, n. 1896), il Collegio intende ribadire l’orientamento interpretativo propenso a escludere gli accordi di ristrutturazione del debito dall’ambito delle procedure concorsuali propriamente intese (Trib. Bologna, 17/11/2011; App. Firenze, 07/04/2016; Trib. Forlì, 05/05/2016; Trib. Milano, 10/11/2016; Trib. Modena, 19/11/2014). Rispetto al fallimento, al concordato preventivo e all’amministrazione straordinaria la fattispecie delineata dall’art. 182 bis L.F. non prevede un provvedimento giudiziale di apertura caratterizzato da un vaglio di ammissibilità ad opera del Tribunale e dalla nomina necessaria di un organo di vigilanza o di controllo per le fasi iniziali ed esecutive; non produce effetti universali sul patrimonio del debitore (che dunque potrebbe non essere coinvolto per intero) o verso i creditori, liberi di aderire o meno alla proposta senza subire le decisione delle maggioranze qualificate previste dalla legge; non impone il rispetto del principio della par condicio creditorum o delle cause legittime di prelazione; non contempla una disciplina peculiare in materia di interessi. Non sembra, d’altro canto, che le recenti modifiche approvate nella disciplina dell’istituto – in primis il divieto di iniziare o proseguire, per sessanta giorni dalla pubblicazione della domanda, azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, l’introduzione della prededuzione con l’art. 182 quater L.F. e gli effetti prenotativi derivanti dal deposito di ricorsi per concordato con riserva – possano considerarsi sufficienti ad attrarre l’accordo di ristrutturazione nell’area pubblicistica. È significativo, del resto. che almeno agli effetti della revocatoria l’art. 69 bis L.F. abbia codificato il principio di consecuzione nei rapporti tra concordato preventivo e fallimento senza menzionare gli accordi di ristrutturazione del debito. Resta impregiudicata, in definitiva, la tradizionale natura privatistica delle intese ex art. 182 bis L.F.

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L’estraneità degli accordi di ristrutturazione del debito alla categoria delle procedure concorsuali fa sì che non vi possa essere alcun rapporto di occasionalità ex art. 111 L.F. tra le prestazioni rese dall’opponente e le intese stipulate tra la cooperativa e il ceto creditorio nel 2013. Per questo motivo l’applicazione del principio di continuità tra procedure richiamato da Alfa s.r.l. deve essere vagliata con esclusivo riferimento alle due istanze di concordato preventivo con riserva depositate da Coopsette (la prima come detto, esaurita senza il deposito della proposta e del piano, la seconda rinunciata il 27/10/2015, in concomitanza con l’avvio della L.C.A.). In questa prospettiva, se non sembrano sussistere dubbi circa l’operatività della regola della consecuzione tra la seconda fase concordataria e l’apertura della L.C.A. (30/10/2015), vista l’assenza di effettivo iato temporale, altrettanto non può dirsi per i ricorsi del febbraio del 2013 e del maggio del 2015. La Corte di Cassazione ha affermato, in effetti, che con il principio di consecuzione «viene individuato un fenomeno caratterizzato dal verificarsi a carico di un imprenditore di una serie di procedure concorsuali, seguenti una all’altra senza soluzione di continuità, a causa dell’incapacità delle prime di conseguire i rispettivi scopi istituzionali. La sequenza delle procedure concorsuali viene intesa, nell’ambito della consecuzione e della conversione di una procedura in altra, non come una semplice successione di procedimenti, ma come la realizzazione di un’unica procedura concorsuale, nell’ambito della quale le procedure progressivamente succedutesi costituiscono delle fasi, prive di autonomia e di separata rilevanza; le varie fasi, quindi, assumono rilievo come conversione, o trasformazione, di un procedimento in un altro (o in altri) senza uscire dall’alveo di quella intesa, nella sua complessa unità, come procedura concorsuale di carattere unitario» (già Cass. 18/7/1990, n. 7339/1990). Detto altrimenti, perché sussista la continuità richiesta per la considerazione unitaria degli istituti rispetto ai quali la questione concretamente si è posta (si pensi, a titolo di esempio, al periodo sospetto nell’azione revocatoria, al computo degli interessi, oltre che alla prededuzione) è indispensabile che la seconda procedura concorsuale sia espressione della stessa crisi economica che connotava la prima. Possono essere individuati quali indici sintomatici della continuità la ridotta distanza temporale tra i procedimenti, la coincidenza in termini quantitativi o qualitativi delle masse passive o la cessazione dell’attività d’impresa nel periodo di riferimento. Non è preclusa la valorizzazione di elementi differenti. Resta il fatto che una simile valutazione non può prescindere dalla considerazione in concreto della singola fattispecie, costituendo la prededuzione non una caratteristica immanente del credito come il privilegio, ma una qualità destinata produrre effetti solo in relazione al concorso quello sia sorto. Per questo motivo sarebbe spettato ad Alfa s.r.l. dare la dimostrazione della sussistenza di uno o più indici sintomatici dell’identità della crisi di Coopsette nel biennio 2013/2015, configurabili in termini di fatti costitutivi del preteso diritto a insinuarsi al passivo con il beneficio della prededuzione. Nelle proprie difese l’opponente si è limitata a predicare il requisito della continuità delle procedure concorsuali sulla base della scansione di queste.

Avvalorano la conclusione opposta il tempo relativamente lungo intercorrente tra le due istanze concordatarie e la prosecuzione dell’attività di impresa di Coopsette, caratterizzata dall’assunzione di oneri assai rilevanti sotto il profilo economico-finanziario in dipendenza di nuovi contratti, tra cui quelli stipulati con la Alfas.r.l.

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In questo quadro appaiono ininfluenti le modifiche normative in virtù delle quali la prededuzione, stante l’abrogazione dell’art. 11, c. 3 quater d.l. n. 145/2013 da parte dell’art. 22 d.l. n. 91/2014, è ammessa in ipotesi di concordato in bianco non seguito dal deposito della proposta e del piano. Viste le precedenti considerazioni in tema di continuità, la regola desumibile dal mutato assetto normativo sarebbe destinata a operare solo in relazione a crediti maturati in funzione del secondo concordato preventivo. Dalla documentazione allegata al ricorso in opposizione emerge che le prestazioni dell’opponente sono state rese tra il l’ottobre del 2014 e l’aprile/maggio del 2015, allorché non era pendente alcuna procedura concorsuale. L’assenza di elementi probatori nel senso della funzionalità dei lavori rispetto al concordato preventivo del 2015 implica, dunque, che le deduzioni della Alfa s.r.l. debbano ritenersi prive di fondamento anche da questo punto di vista, non essendo a tali scopi sufficiente il richiamo – presente nelle difese della società – all’utilità che il ceto creditorio avrebbe tratto dall’esecuzione delle forniture e dei correlati lavori di posa in opera.

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Contrariamente a quanto opinato nelle difese di parte opponente, a conclusioni differenti non è possibile pervenire valorizzando il presunto affidamento maturato dalla società sulla natura prededucibile dei crediti derivanti dal contratto di appalto. La prededuzione rappresenta un presupposto dell’insinuazione al passivo riscontrabile con criteri oggettivi sulla base del più volte menzionato vincolo funzionale o, in alternativa, del nesso di occasionalità sempre richiesto dalla legge (art. 182 quater ss L.F.). A riprova di ciò è significativo che nell’ambito delle fonti regolatrici della materia nessuna disposizione si riferisca allo stato psicologico del creditore. Per questo motivo è irrilevante stabilire se la Alfa s.r.l. avesse davvero accettato di eseguire i contratti del 2014 e del 2015 in vista del pagamento in prededuzione delle correlate poste creditorie. Anche tale questione è assorbita dalle considerazioni già svolte in tema di continuità.

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In forza delle statuizioni che precedono non vi è luogo per statuire in ordine alle richieste istruttorie formulate nell’atto di opposizione, inerenti a profili della vertenza pacifici (l’esecuzione delle prestazioni dedotte nei contratti del 2014 e del 2015) o privi di rilevanza (l’asserito affidamento circa la prededucibilità dei crediti correlati).

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L’esito del giudizio rende superfluo l’esame delle ulteriori eccezioni di parte opposta, anche preliminari

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Secondo soccombenza, la Alfa s.r.l. è tenuta al pagamento degli oneri di giudizio, stimabili in base ai valori medi del D.M. n. 55/2014, in € 14.914,00 (€ 4388,00 per la fase di studio, € 2.895,00 per la fase introduttiva, € 7631,00 per le fasi di trattazione e di decisione, unificate in virtù dell’assenza di attività istruttoria), oltre a spese generali, accessori fiscali e contributi previdenziali in misura di legge. Ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater del DPR n. 115/2002 sussistono, inoltre, le condizioni per la condanna della Alfa s.r.l. al versamento di un importo pari al contributo unificato dovuto per l’atto introduttivo (€ 518,00).

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 7873/2016 del R.G.A.C., disattesa ogni diversa domanda, eccezione o deduzione, così provvede:

– rigetta l’opposizione proposta da Alfa s.r.l. per le ragioni indicate in motivazione;

– condanna Alfa s.r.l. al pagamento in favore della L.C.A. Coopsette soc. coop. degli oneri processuali, stimabili in € 14.914,00, oltre a spese generali, accessori fiscali e contributi previdenziali dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13, c. 1 quater del DPR n. 115/2002 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Alfa s.r.l., di un importo corrispondente al contributo unificato già versato all’atto dell’iscrizione del procedimento (€ 518,00).

Reggio Emilia, 14/2/2018

Il Presidente

Francesco Parisoli

Il Giudice Estensore

Virgilio Notari

 

 

Cointestazione del conto corrente bancario: rapporti interni tra cointestatari.

Un recente arresto  offre lo spunto per ricordare alcuni principi peraltro consolidati nel pensiero giurisprudenziale a proposito del rapporto di conto corrente cointestato (Cassazione Civile, Sez. II, 04 gennaio 2018, n. 77).

In primo luogo la Corte di legittimità ribadisce che nel conto corrente cointestato il rapporto interno fra i vari correntisti cointestatari, vale a dire l’effettiva titolarità della quota spettante a ciascuno di essi sul credito o sul debito risultante dal conto, va regolamentato dall’art. 1298, comma secondo c.c., ai sensi del quale le parti di ciascuno dei debitori e creditori solidali si presumono uguali, a meno che la parte interessata non dimostri che la quota spettante alcuno dei contitolari è maggiore di quella presunta. Pertanto ove la presunzione di parità delle parti non sia superata, ciascun intestatario, nei rapporti interni, non può disporre in proprio favore senza il consenso tacito dell’altro della somma depositata in misura eccedente la quota di sua spettanza, e questo sia in relazione al saldo finale del conto sia in pendenza del rapporto.

Questi in sintesi i principi affermati dalla sentenza.

Sempre per quanto riguarda i rapporti interni tra i cointestatari, peraltro, pare utile ricordare che in caso di morte o di sopravvenuta incapacità di agire di uno dei cointestatari, in caso di conto firme congiunte, non si pongono problemi particolari in quanto gli atti di disposizione continueranno a dover essere compiuti da tutti i cointestatari e da tutti gli eredi .

Nella diversa ipotesi di conto a firme disgiunte – secondo quanto previsto dall’art. 14 delle N.U.B. (Norme Uniforme Bancarie) sui conti correnti di corrispondenza – la morte di uno dei cointestatari del conto non priva gli altri contitolari del diritto di continuare a disporre separatamente del saldo, a meno che uno degli interessati non proponga opposizione.

Testo della sentenza 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 novembre 2017 – 4 gennaio 2018, n. 77 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa

Fatti di causa

L’avvocato K.K.D.L.G.T. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2654/2013, depositata il 10 maggio 2013, la quale ha rigettato l’impugnazione principale dello stesso K.K.D.L.G.T. ed ha parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. contro la pronuncia di primo grado n. 6439/2005 resa dal Tribunale di Roma, condannando N. a pagare al fratello T. la somma di Euro 77.972,01, oltre interessi legali dal 18 marzo 1995 al saldo. K.K.D.L.G.N. resiste con controricorso. K.K.D.L.G.T. , con citazione dell’8 giugno 1999, convenne il fratello N. davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che quest’ultimo fosse dichiarato debitore della cifra di Lire 557.245.071, pari alla metà della somma depositata sul conto corrente Cornelio, aperto in cointestazione da K.K.D.L.G.N. e dalla madre C.E. il 26 maggio 1994 presso la banca Merril Lynch S.A., somma abusivamente prelevata dal convenuto. Assunse l’attore che l’iniziale provvista di oltre 900.000.000 di lire versata sul conto cointestato alla sua apertura fosse di esclusiva proprietà della signora C. , la quale aveva comunque poi appreso nell’aprile del 1997 che era stata disposta la chiusura del medesimo conto con autorizzazione recante la propria firma contraffatta, oltre che la firma di N. , e che era stato trasferito il saldo esistente su altro conto corrente denominato (…). L’attore aggiunse che la Banca aveva anche trattenuto in pegno alcuni titoli gestiti sul conto cointestato per la mancata restituzione di un mutuo rilasciato al fratello N. ; di tal che affermò che il debito gravante su N. fosse pari a titoli e contanti disponibili al momento della chiusura, oltre a quelli incamerati dall’istituto per il mutuo rimasto inadempiuto. Il Tribunale accolse la domanda di K.K.D.L.G.T. e condannò il fratello N. a pagare la somma di Euro 155.944,02 (pari alla metà del saldo esistente in base all’estratto al 31 marzo 1995), oltre accessori, ritenendo apocrifa la sottoscrizione di Erminia C. , nonché superata la presunzione di comproprietà delle somme versate sul conto(…). La Corte d’Appello di Roma ha poi respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. , affermando che “non può essere condivisa la tesi dell’appellante che sostiene che il fratello dovrebbe restituire anche i soldi presi a mutuo, sia perché non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento), sia perché in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. La sentenza impugnata ha invece parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , sostenendo che non potesse dirsi superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato “la fonte delle ingenti somme depositate sul conto”, e negando rilevanza alle circostanze, al contrario, valorizzate dal Tribunale, quali la vendita di immobili da parte di N. , o la notevole esposizione debitoria di N. verso la madre (Lire 385.000.000), come da assegno emesso da questo in favore della C. , assegno del quale, però, la Corte d’Appello ha detto non esser chiara la causale, aggiungendo che era comunque intenzione della madre rimettere tale debito, stando al testamento del 3 ottobre 1996, poi revocato. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

Il primo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. (e 111, comma 2, Cost.,) indicando le deduzioni istruttorie avanzate dal ricorrente per superare la presunzione di comproprietà delle somme esistenti sul conto corrente cointestato (trascritte nella parte espositiva del ricorso) e rimaste senza risposta nella sentenza impugnata. Il secondo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. denuncia l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, facendo riferimento sempre ai fatti che avrebbero consentito di superare la presunzione di comproprietà. Il terzo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. allega ancora un omesso esame di fatti anche in relazione all’art. 115 c.p.c., quanto all’affermazione della Corte d’Appello di Roma secondo cui “non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento)”, e “in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti anche in relazione agli artt. 2727 e ss. c.c. ed all’art. 115 c.p.c., quanto alle “vendite” di proprietà immobiliari compiute da N. , che avrebbero potuto alimentare la provvista sul conto cointestato. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 2727 2729 c.c., circa l’uso delle presunzioni fatto dalla Corte d’Appello. Il sesto motivo di ricorso censura l’omesso esame quanto alla documentazione allegata alla lettera della Merryl Linch del 22 aprile 1997, che negava qualsiasi versamento di somme sul conto (…) dopo quello iniziale. Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in quanto lo stesso convenuto K.K.D.L.G.N. si era difeso già nel costituirsi in primo grado senza allegare di aver in qualche modo alimentato la somma depositata sul conto cointestato. I sette motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati. Va premesso come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). La sentenza della Corte d’Appello di Roma risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa ha respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. e parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , senza rendere percepibile il fondamento della decisione, precludendo all’attuale ricorrente la possibilità di assolvere l’onere probatorio su di esso gravante e ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello ha ritenuto non superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato “la fonte delle ingenti somme depositate sul conto”; la Corte di Roma ha poi negato rilevanza alle circostanze dell’avvenuta vendita di immobili da parte di K.K.D.L.G.N. , della notevole esposizione debitoria del medesimo N. verso la madre (documentata da assegno di Lire 385.000.000), e della soggezione di N. a numerose procedure esecutive, anche da parte della stessa C. . Di conseguenza, la Corte d’Appello ha diviso tra i due correntisti cointestatari il saldo attivo esistente sul conto al 31 marzo 1995. Quanto alla vicenda che la Banca avesse incamerato alcuni titoli gestiti sul conto cointestato in conseguenza della mancata restituzione di un mutuo rilasciato a N. e garantito con gli stessi titoli, la Corte d’Appello ha sostenuto che “non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria” e che “in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”. La causa va sottoposta a nuovo esame, dovendo la Corte d’Appello uniformarsi ai principi più volte ribaditi da questa Corte, secondo cui nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell’art. 1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. Peraltro, pur ove si dica insuperata la presunzione di parità delle parti, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (cfr. Cass. Sez. 2, 02/12/2013, n. 26991; Cass. Sez. 2, 19/02/2009, n. 4066; Cass. Sez. 1, 01/02/2000, n. 1087; Cass., Sez. 1, 09/07/1989, n. 3241). Al fine, allora, di ritenere non superata la presunzione di comproprietà in relazione al conto corrente (…), cointestato a K.K.D.L.G.N. ed alla madre C.E. , occorrerà spiegare perché, a fronte delle deduzioni istruttorie di K.K.D.L.G.T. , risulti non provato che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto alla C. . D’altro canto, deve essere accertato e spiegato se sussista, o meno, pur a fronte della presunzione derivante dalla cointestazione del conto, la dedotta (da K.K.D.L.G.T. ) assoluta estraneità di C.E. all’operazione di costituzione in pegno di titoli, gestiti sul conto, in favore della banca mutuante Merryl Linch a garanzia del rimborso di un finanziamento erogato a K.K.D.L.G.N. , in quanto tale prospettazione renderebbe non riferibile solidalmente la movimentazione, e la relativa esposizione debitoria, al saldo del conto corrente. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per una nuova delibazione, sulla base dei principi di diritto sopra enunciati e dei rilievi svolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.