Autore: Giovanni Orlandi

Le novità approvate in materia di sicurezza stradale

 

Uso di apparecchi elettronici durante la guida

Un emendamento all’art. 3, comma 2, lett. b) d.d.l., che, nel modificare l’art. 173, comma 3-bis c.d.s., ha introdotto la sanzione accessoria della sospensione della patente fin dalla prima violazione, riduce la sanzione pecuniaria da 422 a 250 euro, e da 644 a 350 euro, in caso di ulteriore violazione nel biennio.

Limitazioni per i neopatentati

Un emendamento all’art. 5 d.d.l., che, nel modificare l’art. 117, comma 2-bis, c.d.s., ha esteso la qualifica di neopatentato, ai fini delle previste limitazioni, da 1 a 3 anni dal rilascio della patente B, amplia la possibilità di guida degli autoveicoli da quelli aventi potenza non superiore a 55 kW/t, a quelli aventi potenza fino a 75 kW/t.

Utenti vulnerabili della strada

Un emendamento all’art. 8 d.d.l, estende la definizione di utente vulnerabile – meritevole di particolare tutela dai pericoli derivanti dalla circolazione sulle strade – recata dall’art. 3, comma 1, n. 53-bis, oltre che ai pedoni, alle persone con disabilità, e ai ciclisti, anche ai conducenti di ciclomotori e motocicli, nei confronti della sicurezza dei quali, grazie a un ulteriore emendamento, che modifica l’art. 208 C.d.S., è estesa anche la quota del 50% dei proventi degli enti locali relativi alle sanzioni amministrative pecuniarie

Circolazione dei motocicli su autostrade e strade extraurbane principali

L’emendamento che introduce il nuovo art. 8-bis d.d.l., previo inserimento di un nuovo comma 2-bis all’art. 175 c.d.s., stabilisce che sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali – in deroga alla previsione che vieta la circolazione ai velocipedi, ciclomotori, motocicli di cilindrata inferiore a 150 cc. se a motore termico, ovvero di potenza inferiore a 11 kW se a motore elettrico – ai maggiorenni sia consentito condurre motocicli di cilindrata non inferiore a 120 cc. se a motore termico, ovvero di potenza non inferiore a 6 kW se a motore elettrico.

Misure per contrastare il rischio della circolazione contromano  

Un emendamento all’art. 12 d.d.l., introduce un periodo al comma 12 dell’art. 143 c.d.s. ai sensi del quale, laddove dalla circolazione contromano derivino omicidio o lesioni gravi o gravissime stradali – ipotesi contemplata come aggravante dal comma 5 n. 2 di entrambi gli artt. 589-bis e 590-bis c.p. – si applica anche la sanzione accessoria della confisca del veicolo.

Circolazione fuori dai centri abitati

L’emendamento che introduce il nuovo art. 14-bis d.d.l., previo inserimento di un nuovo comma 1-sexis all’art. 6 c.d.s., prevede che, per straordinarie esigenze di tutela di particolari luoghi, per non più di 5 mesi all’anno, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano – previo parere della prefettura – posano istituire delle zone a traffico limitato territoriali, opportunamente segnalate.

Modifiche alla legge di depenalizzazione

L’emendamento che introduce il nuovo art. 14-ter d.d.l., introduce un periodo al comma 6 dell’art. 27 l. n. 24/11/1981 n. 689, ai sensi del quale la maggiorazione di 1/10 a semestre dovuta in caso di ritardo nel pagamento, per le violazioni stradali non può superare i 3/5 dell’importo della sanzione (id est il 60%).

 

 

Può il creditore sociale agire contro i soci di una società in liquidazione mediante espropriazione forzata ?

Società. Il riparto di attivo con il bilancio di liquidazione

 

Massima:    L’unica sanzione prevista dall’ordinamento per il riparto effettuato dal liquidatore in violazione delle disposizioni contenute negli artt. 2491 e ss c.c. è la responsabilità del liquidatore per i danni cagionati ai creditori i sociali (art. 2491 c.c. comma 3 c.c.) laddove si ravvisi (almeno secondo una tesi) la colpa del liquidatore stesso in analogia a quanto previsto dall’art. 2495 comma 2. c.c.

IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA

Seconda sezione civile

In composizione monocratica, Giudice dr. Andrea Rat. ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile iscritta al n. 8535/2008 r.g., promossa da:

  1. M. S.R.L.. con il patrocinio dell’Avv……………. ed elettivamente domiciliata in via……., 2 Reggio Emilia presso il suo difensore;

attrice

contro

ALFA IMMOBILIARE S.R.L.;  A.S. ; P. C. ed altri  tutti con il patrocinio dell’Avv. Orlandi Giovanni ed elettivamente domiciliati in Correggio, Corso Mazzini n.15 presso il loro difensore;

CONCLUSIONI

I procuratori delle parti concludono conte da udienza del 17/11/2011.

 

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA

DECISIONE

 

  1. Per sostenere le proprie ragioni, l’attrice M.M Srl, partendo da incontestate circostanze di procede alla seguente costruzione giuridica:

”a) la società Alfa immobiliare srl è in liquidazione sin dal 30 ottobre 1998;

  1. b) la società Alfa immobiliare srl è attualmente priva di qualsiasi cespite patrimoniale attivo, giusta dichiarazione resa all’ufficiale giudiziario ai sensi dell’articolo 492 comma quattro CPC in data 17 luglio 2006;
  2. c) nel bilancio finale di liquidazione al 31 dicembre 2003 della società Alfa immobiliare srl, approvato con verbale dell’assemblea dei soci in pari data, è stato ripartito fra tutti i soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale sociale, un attivo residuo di complessivi euro 70.088,00;
  3. d) dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, il liquidatore della società Alfa immobiliare non ha richiesto la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Questi sono i fatti.

Ai sensi dell’articolo 2493 CC il liquidatore di una società di capitali non puoi effettuare riparti a favore dei soci se non ha provveduto a pagare i creditori o ad accantonare le somme necessarie a soddisfarli.

Il riparto eseguito in violazione di tale disposizione integra un illecito sanzionato anche penalmente ai sensi dell’art. 2633 CC, che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni i liquidatori che ripartendo i beni sociali tra i soci prima del pagamento dei creditori sociali o dell’accantonamento delle somme necessarie a soddisfarli, cagionano danno ai creditori.

È evidente, su tali premesse, che è il reparto effettuato in data 31 dicembre 2003 è affetto da nullità assoluta per violazione di norme imperative punto

Dalla declaratoria di nullità del reparto deriva, come conseguenza immediata e diretta, l’emersione di un credito della società nei confronti dei singoli soci per la restituzione di quanto ne ha formato oggetto “ ( cfr. Comparsa conclusionale di parte attrice).

 

In altri termini oggetto dell’accertamento sarebbe, in tesi, il credito restitutorio vantato dalla società nei confronti dei soci derivante da nullità del riparto per violazione di norme imperative.

 

  1. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non è

Le disposizioni civilistiche e penalistiche richiamate dalla difesa di parte attrice sono poste a presidio dell’interesse particolare dei creditori sociali e non proteggono, invece, un interesse pubblico e generale la cui violazione avrebbe forse consentito di ragionare in termini di patologia della fattispecie dedotta in giudizio.

L’unica sanzione prevista dall’ordinamento per il riparto effettuato dal liquidatore in violazione delle disposizioni contenute negli artt. 2491 e ss c.c. è la responsabilità del liquidatore per i danni cagionati ai creditori i sociali (art. 2491 c.c. comma 3 c.c.) laddove si ravvisi (almeno secondo una tesi) la colpa del liquidatore stesso. in analogia a quanto previsto dall’art. 2495 comma 2. c.c.

In altri termini, per tutelate l’interesse protetto dalla norma l‘ordinamento sanziona, anche penalmente, il comportamento illecito del liquidatore che pregiudichi le ragioni dei creditori sociali addossandogli la responsabilità personale per i danni cagionati a questi ultimi, ma non colpisce il bilancio ed il successivo riparto che, in assenza di una specifica ed espressa comminatoria di nullità, restano pienamente validi ed efficaci.

D’altro lato la nullità potrebbe colpire unicamente la delibera che approva il bilancio ma non il bilancio in sé considerato né, tantomeno, il successivo riparto.

Da ciò discende l’inesistenza di un obbligo restitutorio da parte dei soci e. per l‘effetto il rigetto della domanda attorea, inserita in un giudizio volto esclusivamente ad accertare 1’esistenza del credito vantato dal debitore nei confronti del terzo pignorato e nell’ambito del quale non può trovare spazio il giudizio relativo all’accertamento della responsabilità del liquidatore né un’ipotetica azione surrogatoria  della società odierna creditrice per fare valere nei confronti di terzi eventuali diritti spettanti al proprio debitore

4. Ogni altra questione assorbita

  1. Le spese, di lite liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. non essendovi motivi per derogare ai principi di cui al l’art. 91 p.c.

In proposito occorre rilevare che la magmatica normativa in materia sembra escludere l’applicazione delle tariffe professionali,  quali risultanti dal decreto ministeriale 8 Aprile 2004 numero 127 , in attesa dell’emanazione di parametri diversi, allo stato non noti. Ne discende che questo giudice deve ricorrere a parametri generali e ai criteri di cui all’articolo 2225 CC.   Anche a non ritenere che le precedenti tariffe fossero un uso normativo, esse sicuramente rimangono un criterio residuale, corrispondendo al” risultato ottenuto e al lavoro necessario” (2225 cc); si tratta infatti di un criterio che, fino ad ora, ha operato, offrendo un parametro di corrispettivi, apparentemente in linea con i costi dei servizi legali di analoghe realtà normative ( paesi di affine civiltà giuridica). Naturalmente, la divisione in diritti/onorari/spese generali è da intendersi in senso puramente convenzionale, come relatio alle precedenti tariffe, essendo la liquidazione da intendersi come liquidazione di un unico compenso;

P.Q.M.

Il Giudice de1 Tribunale di Reggio Emilia In composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa iscritta al  n. 8535/2008 ogni diversa domanda, eccezione e deduzione respinte:

– rigetta la domanda attorea

-dichiara tenuta e condanna parte attrice a rifondere a parte convenuta le spese di lite che liquida in complessivi € 7.43 8.00 oltre spese generali al 12, 50% su tale somma : essa è da intendersi come compenso equo ai sensi dell’articolo 2225 c.c.; spettano infine, IVA e Cassa nelle misure di legge.

Cosi deciso in Reggio Emilia 7/2/2012.

Il Giudice

Dr. Andrea Rat

 

 

 

Cani aggressivi: la serie infinita di proroghe dell’ordinanza del Ministero della Salute

 

Il Ministero della Salute ha prorogato l’ordinanza contingibile e urgente del 6 agosto 2013, n. 209 concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani. La variante, rispetto alle precedenti versioni, pare essere l’inserimento, di mera completezza compilativa delle norme.

Il fondamento della necessità di prorogare l’ordinanza è indicato nella volontà di adottare misure di precauzione a tutela dell’incolumità pubblica, vulnerata da «frequenti episodi di aggressione da parte di cani e di incidenti, soprattutto in ambito domestico, legati alla non corretta gestione degli animali da parte dei proprietari».

Il primo comma dell’art. 1 si riferisce al rapporto uomo-animale e alla duplice posizione di garanzia del primo: nei confronti del cane, per il suo benessere, e nei confronti di terzi, per i danni provocati dagli animali. Anche il secondo comma rimanda alla responsabilità del detentore. Seguono, al terzo comma, indicazioni di buon senso sulla gestione dei cani: informazioni, affidi consapevoli, guinzaglio, museruola. Il quarto comma si dedica alle deiezioni canine: igiene e buon senso.

Il quinto comma, che prevede percorsi formativi attivati da Comune e ATS che culminano con il rilascio di un c.d. patentino, appare il più innovativo.

Incarichi informativi vengono attribuiti dal comma sesto ai medici veterinari che informano gli interessati della possibilità di fare percorsi formativi e dovrebbero segnalare all’autorità sanitaria pubblica i cani che richiedono una valutazione comportamentale. Infine, il settimo comma impone la frequenza di corsi formativi ai proprietari di cani che si siano resi responsabili di episodi di morsicatura, aggressione o, non meglio definiti, “altri criteri di rischio”.

Completamente dedicato ai divieti è l’art. 2, tra i quali spicca l’addestramento di cani che ne esalti l’aggressività, la sottoposizione di cani a doping, le operazioni di selezione o di incrocio di cani con lo scopo di svilupparne l’aggressività.

All’art. 3 l’ordinanza stabilisce che, fermo quanto previsto in materia di prevenzione della rabbia, i servizi veterinari attivano un percorso per verificare le condizioni psico-fisiche del cane e della corretta gestione da parte del proprietario. I servizi, in caso di rilevazione di rischio elevato, stabiliscono le misure di prevenzione e la necessità di una valutazione comportamentale e di un eventuale intervento terapeutico.

Occorre, inoltre, la formazione di un registro aggiornato dei cani dichiarati a rischio elevato di aggressività, a cura dei servizi veterinari: i proprietari di tali cani devono stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile e hanno l’obbligo – in aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico – di guinzaglio congiunto a museruola.

Gli animali inseriti in tale registro non possono essere posseduti o detenuti da soggetti particolari: delinquenti abituali o per tendenza, sottoposti a misure di prevenzione personale o di sicurezza personale, chi abbia riportato una condanna per delitto contro la persona o il patrimonio, se punibile con la reclusione fino a due anni, chi sia stato condannato per reati contro gli animali.

Tuttavia, l’art. 5  prevede che le disposizioni non si applicano ai cani in dotazione alle forze armate, di polizia, di protezione civile e dei Vigili del fuoco, da un lato, né ai cani addestrati a sostegno delle persone diversamente abili e ai cani a guardia di greggi e a conduzione di greggi, dall’altro.

Fondo Patrimoniale. Il debito contratto per l’esercizio dell’impresa o dell’attività professionale può vanificare  la tutela rappresentata dal Fondo patrimoniale ?

 

 L’importante  sentenza che si annota (  Cass., Sez. III, 28 settembre 2023, n. 27562  ) contribuisce all’affermazione del più recente orientamento della Corte di Cassazione, teso a stemperare il più rigoroso e risalente indirizzo che tendeva a fare rientrare nel concetto di “debito contratto per i bisogni della famiglia” anche i debiti contratti dall’imprenditore commerciale o dal professionista per l’esercizio dell’attività in quanto indirettamente destinato a fare fronte ai bisogni della famiglia (Cfr. tra le altre  Cass. Sez. III, 7/2/2013, n. 2970)

Giova puntualizzare, infatti, che, secondo la norma dell’art 170 cc, l’ombrello protettivo rappresentato dal fondo patrimoniale al quale sono stati destinati i beni, è opponibile soltanto per i debiti che il creditore conosceva essere “estranei”  ai bisogni della famiglia.

Il risalente orientamento tendeva a privilegiare una interpretazione ampia di bisogni della famiglia, facendovi rientrare le più ampie e varie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento delle sue capacità lavorative, con esclusione delle sole esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (Cfr. Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2001, n. 11683).

Secondo il più recente e maggiormente garantista  indirizzo della Cassazione, al quale aderisce l’ordinanza che si annota ( conforme tra le altre Cass. Civ. 2940/2021),  occorre  operare una valutazione caso per caso.

In sostanza, se è pur vero che nei bisogni familiari possono rientrare anche le obbligazioni assunte per il potenziamento della capacità lavorativa della famiglia, e, dunque, in un certo senso anche le obbligazioni contratte per finanziare l’attività professionale o imprenditoriale dei coniugi, è anche altrettanto vero che non vige, comunque, alcun automatismo, per cui ogni debito contratto per l’attività professionale o imprenditoriale può dirsi automaticamente contratto per far fronte al mantenimento del nucleo familiare.

Sarà compito, quindi, delle parti dare prova ( anche per via presuntiva), dal lato del debitore, che l’obbligazione contratta non è direttamente e immediatamente ricollegabile alle esigenze del nucleo familiare e, da parte del creditore, che il debito, invece, poteva portare  beneficio al bilancio della famiglia

la Corte afferma che, indipendentemente da ciò, occorre, comunque, un accertamento caso per caso, per ritenere l’estraneità dell’obbligazione professionale o d’impresa alle

necessità familiari.

Pertanto, se, ad esempio, uno dei coniugi abbia una propria attività professionale o artigianale esercitata in forma individuale e da questa tragga il reddito necessario a mantenere la propria famiglia potrebbe risultare più difficile sostenere che uno scoperto di conto corrente con la banca sia estraneo ai bisogni della famiglia.

Maggiori opportunità di sottrarre i beni conferiti al fondo alla garanzia del creditore, si presentano in caso di società di capitali.

In simili ipotesi, infatti,  l’obbligazione contratta ad esempio verso una banca non viene assunta dal coniuge per sè stesso, ma in favore di un soggetto giuridicamente terzo quale una società e sarà molto più difficile per il creditore dimostrare  la correlazione tra il debito contratto dalla società e i bisogni della famiglia.

Per leggere la sentenza accedere al seguente link

Impugnazione di testamento olografo e azione di riduzione nei confronti dei chiamati all’eredità

 

Con la sentenza che si annota il Tribunale ha affermato, tra gli altri il seguente principio di diritto: “Qualora la testatrice abbia previsto una preferenza nell’ambito della disposizione a favore di un figlio,  in applicazione del disposto dell’art. 558 secondo comma c.c. la disposizione testamentaria a suo favore si riduce solo nel caso in cui il valore delle altre non sia sufficiente ad integrare la quota riservata al legittimario pretermesso.”

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA SEZIONE PRIMA CI VILE

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Luciano Varotti                                                                                 Presidente

dott. Annamaria Casadonte                                                                     Giudice Relatore

dott. Giovanni Fanticini                                                                             Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. RG 1963/2011 promossa da:

TIZIO con il patrocinio dell’avv. ……

ATTORE

CONTRO

CAIO elettivamente domiciliato in CORSO MAZZINI N.15 a CORREGGIO presso il difensore Avv. GIOVANNI ORLANDI

MEVIO, con il patrocinio dell’avv. ….

SEMPRONIA   con  il patrocinio  dell’avv…….

CONVENUTI

CONCLUSIONI

Per l’attore

contrariis reiectis voglia l’Onorevole Tribunale di Reggio Emilia, accertare e dichiarare l’inefficacia del testamento di De Cuius nei confronti dell’attore Tizio ridurre conseguentemente le disposizioni testamentarie della medesima affinché Tizio venga dichiarato erede di De Cuius nella misura di un terzo, in subordine determinarsi la diversa quota di eredità di De Cuius, spettante allo stesso Tizio.

In ogni caso dichiarare che a Tizio spetta la quota di un terzo di quanto dal De Cuius disposto in favore di Cicero,

Infine ricostruire l’asse ereditario di per De Cuius, ordinando a Caio e a chi emerga essere in possesso di beni ereditari, l’inventario e/o la ricostruzione dei medesimi.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari di legge.

Si riporta alle istanze istruttorie già formulate insistendo per l’ammissione delle stesse.

Per il convenuto Caio:

Piaccia al Tribunale di Reggio Emilia, contrpriis reiectis:

  • in via principale respingere, in quanto in fondate in fatto e in diritto, le domande tutte articolate dall’attore con atto di citazione notificato in data 21 marzo2011;
  • in subordine accertare che la quota disponibile del relictum, per volontà testamentaria della defunta è devoluta a favore di Caio, stante l’azione di riduzione delle volontà testamentarie svolta da Tizio ;
  • accertare e dichiarare, operate le dovute detrazioni e la riunione fittizia delle donazioni e quant’altro, quale sia la quota del relictum spettante all’attore alla luce dette disposizioni testamentarie;
  • in via riconvenzionale, accertare che l’attore occupa senza titolo l’immobile posto in Novellara via G G , facente parte del relictum e condannare lo stesso al rilascio dell’immobile vuoto e libero di persone e cose;
  • in via riconvenzionale, accertare e dichiarare che l’autore occupa abusivamente e comunque fa uso esclusivo dell’mmobi1e caduto in successione e per l’effetto condannarlo al pagamento di un equo indennizzo a favore di Caio;
  • in via riconvenzionale accertare e dichiarare che l’immobile caduto in successione, per lo stato di abbandono e di incuria in cui versa, ha subito un degrado e per l’effetto condannare l’attore a risarcimento dei danni patiti dal fratello convenuto;
  • condannare altresì l’attore al risarcimento di ogni ulteriore danno il pregiudizio arrecato alle ragioni del convenuto.

Con vittoria di spese competenze d’onorari di causa oltre le spese di CTU e CTP nessuna esclusa. ln via subordinata istruttoria, come da foglio di precisazione delle conclusioni depositato all’udienza del 6 febbraio 2014:

Per i convenuti Sempronia e Mevio:

Piaccia al Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, contrariis reiectis:

in via principale:

  • rigettare, in quanto infondata in fatto di diritto, le domande tutte svolte dall’autore Tizio, con atto di citazione notificato in data 18 marzo 2011:
  • in via subordinata, accertare e dichiarare, operate le dovute detrazioni e la riunione fittizia delle donazioni e quant’altro, quale sia la quota del relitto spettante all’attore alla luce delle disposizioni

In vie riconvenzionale :

  • condannare l’attore a lasciare l’immobile sito in Novellara via G G libero da persone e cose e alla riconsegna ai legittimi proprietari ;

In via riconvenzionale subordinato:

  • condannare l’attore a risarcire ai signori Sempronia e Mevio il danno, secondo l’importo che verrà determinata in corso di causa, anche eventualmente in via equitativa, dovuto all’omesso compimento delle ordinarie opere di conservazione dell’edificio caduto in successione e per il degrado che lo stesso dovesse subire;

In via riconvenzionale ulteriormente subordinata:

  • condannare l’attore a versare ai signori Sempronia e Mevio l’importo che verrà determinato in corso di causa ed anche eventualmente in via equitativa, a titolo indennizzo per l’occupazione abusiva dell’immobile e per il suo uso esclusivo.

Con vittoria di spese competenze d’onorari di causa oltre a spese di c.t.u. e CTP nessuna esclusa.

In via subordinata istruttoria, come da figlio di precisazione delle conclusioni depositato all’udienza del 6 febbraio 2014.

Concisa esposizione delle regioni di fatto e di diritto della decisione

  1. Il presente giudizio trae origine dall’atto di citazione notificato il 18 marzo 2011 da Tizio al fratello Caio nonché al figlio  Mevio in proprio e unitamente alla ex moglie Sempronia, anche in qualità di erede del figlio Cicero.
  2. Esponeva di essere figlio del De Cuius, deceduta in data 17 marzo 2010; che in data 8 giugno 2010 veniva pubblicato avanti al notaio X il testamento olografo vergato dalla defunta ed avente il seguente contenuto: “Io De Cuius, nomino quale erede per 1/2 il figlio Caio per la restante metà i nipoti Cicero e Mevio, la disposizione a favore di Caio ha preferenza in caso di riduzione. Correggio 7 marzo 2000 De Cuius.”
  3. Allegava che in applicazione delle disposizioni civilistiche alla defunta succedevano quali eredi legittimati i figli legittimi e che in virtù dell’articolo 537 del codice civile, gli spettava quantomeno un terzo dell’asse ereditario lamentava pertanto che le disposizioni testamentarie suddette fossero lesive della riserva di legittima a suo favore e pertanto conveniva i beneficiari delle disposizioni testamentarie al fine di conseguire la dichiarazione di inefficacia delle medesime nella parte lesiva della sua
  4. Aggiungeva, inoltre, che a seguito dell’intervenuto prematuro decesso del figlio Cicero, in data 16 giugno 2010, egli aveva altresì titolo per ottenere l’assegnazione della quota di un terzo dell’eredità che la testatrice De Cuius aveva devoluta in favore del figlio
  5. Infine, l’attore dopo aver richiamato le tre azioni distinte ed autonome riconosciute al legittimario pretermesso dalle disposizioni di cui all’articolo 553 – 564 c., formulata la domanda di ricostruzione giudiziale dell’asse ereditario di De Cuius tramite l’ordine a Caio e a chi emerga essere in possesso di beni ereditari, di redigere l’inventario e /o la ricostruzione dei medesimi.
  6. A seguito della notifica dell’atto di citazione si sono costituiti i convenuti Sempronia e Mevio che hanno contestato la fondatezza delle domande attoree rappresentando come l’attore fosse stato destinatario di ingenti aiuti ed elargizioni economiche da parte sia dell’ex moglie Sempronia che da parte della madre, aiuti economici stimabili in oltre € 000. Tali donazioni andavano imputate ai sensi dell’articolo 556 c.c. e 564 secondo comma c. c.
  7. Inoltre i convenuti formulavano in via riconvenzionale domanda di condanna dell’attore al rilascio dell’immobile sito in Novellara, oggetto di abusiva occupazione oltre che domanda riconvenzionale per il riconoscimento di un equo indennizzo per l’occupazione abusiva dello stesso esercitata dall’attore.
  8. Si è pure costituito il convenuto Caio che ha contestato la fondatezza della domanda attorea eccependo come l’attore avesse già in vita della madre defunta ottenuto più di quanto gli competerebbe in virtù della quota riservata.
  9. Eccepiva, altresì, che la testatrice aveva disposto che ”la disposizione a favore di Caio ha preferenza in caso di riduzione” con la conseguenza che doveva ritenersi assegnata al medesimo la porzione disponibile dell’eredità .
  10. Inoltre allegava come ai fini della determinazione detta porzione disponibile dovesse preventivamente operarsi la detrazione dei debiti ed in particolare delle spese funerarie per euro 5747,08 dallo stesso anticipate.
  11. In via riconvenzionale il medesimo convenuto Caio allegava – come già sostenuto dagli altri convenuti – che il fratello Tizio occupava senza titolo l’immobile sito in Novellara, facente parte del relictum e oltre a chiedere l’accertamento di tale abusiva occupazione, chiedeva la condanna dell’attore al pagamento di un equo indennizzo a proprio favore.
  12. Da ultimo e sempre in via riconvenzionale chiedeva l’accertamento dello stato di abbandono e di incuria in cui l’immobile versava a causa della condotta inadempiente alla cura del medesimo imputabile all’attore, il quale, conseguentemente doveva essere condannato al risarcimento di ogni ulteriore danno e pregiudizio arrecato alle sue ragioni proprietarie.
  13. La causa così articolata è stata istruita a mezzo dell’interrogatorio formale delle parti dopodiché è stata posta in decisione previa precisazione delle conclusioni come in epigrafe trascritta e rimessa al collegio per la decisione.
  14. Vanno preliminarmente richiamati i rimedi previsti dall’ordinamento a favore dell’erede legittimario pretermesso. Tali rimedi sono costituiti, in particolare, dall’azione di riduzione in senso stretto, avente lo scopo di far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive della legittima; dall’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni lesive ridotte e dall’azione di restituzione contro i terzi acquirenti da questi ultimi, aventi entrambe lo scopo di recuperare, previo vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, i beni costituenti l’oggetto delle disposizioni lesive riportandoli nel patrimonio del legittimario; e ció in conformità al principio del diritto alla reintegrazione della quota di legittima in natura desumibile  dalla  lettura  sistematica  delle  norme  contenute  nella  sezione  recante  “la reintegrazione della quota riservata ai legittimari” con particolare riguardo alle disposizioni degli 560, 561 e 563 c.c.

15.            In tale prospettiva la domanda svolta dall’attore va ricondotta al primo dei suddetti rimedi, volto cioè a far accertare il suo diritto personale a  partecipare alla successione necessaria in qualità di figlio della defunta al quale spetta la riserva di un terzo.

  1. Poichè con la disposizione testamentaria la madre ha disposto del  suo patrimonio assegnandolo per metà al figlio Caio e per la restante metà ai nipoti Mevio e Cicero, è evidente la lesione patita dalla quota di legittima che per legge spetta all’altro figlio, odierno attore, al quale non residua alcunché.
  2. (Omissis)…..
  3. Va peraltro osservato come la testatrice abbia previsto una preferenza nell’ambito della disposizione a favore del figlio Caio, con la conseguenza che in applicazione del disposto dell’art. 558 secondo comma c.c. la disposizione testamentaria a suo favore si riduce solo nel caso in cui il valore delle altre non sia sufficiente ad integrare la quota riservata al  legittimario .    In altre parole, la testatrice ha ritenuto che la parte di riserva ed una parte della disponibile siano devolute al figlio Caio e che solo quanto devoluto ai nipoti potesse, in caso di riduzione, essere inciso.
  4. Ebbene, poiché la quota assegnata ai nipoti Cicero e Mevio è pari alla metà dell’eredità della defunta, ed è quindi superiore al terzo, deve ritenersi che la riduzione di tale disposizione sia sufficiente ad assicurare la legittima spettante all’attore.
  5. Pertanto le disposizioni testamentarie vanno dichiarate inefficaci per la sola parte relativa ai nipoti Cicero e Mevio, disponendo che esse siano inefficaci nei confronti dell’attore per la parte in cui prevedono la devoluzione ad essi della quota di un terzo dell’eredità della defunta De Cuius.
  6. Ne deriva che l’attore va considerato chiamato all’eredità del De Cuius nella misura di un terzo, unitamente al fratello Caio, che è, peró, erede per la metà ed ai figli Mevio e Cicero che restano eredi per la residua parte di un sesto.
  7. Per quanto riguarda poi l’accertamento della quota di eredità spettante all’attore sulla quota ereditata dal figlio Cicero, deceduto dopo l’apertura dell’eredità, deve rilevarsi che in mancanza di discendenti, da un canto, non opera l’istituto della rappresentazione di cui all’art. 468 c.c. mentre , dall’altro, ed attesa la mancanza di testamento opera la successione legittima.
  8. Né può fondatamente invocarsi l’accrescimento tra coeredi posto che esso presuppone l’istituzione di più eredi nell’universalità dei beni senza determinazione di parti o in parti uguali, presupposto di fatto che nel caso di specie non ricorre.
  9. Pertanto, in applicazione delle disposizioni sulla successione legittima e, in particolare, dell’art. 571 c.c. che regola la fattispecie del concorso di genitori o ascendenti con fratelli e sorelle, la quota di Cicero, pari ad un dodicesimo, deve essere ripartita per capi fra i tre eredi legittimi in modo che ai genitori spettino i 2/36 (superiore alla metà come richiesto dalla norma applicata) ed al fratello Mevio 1/36. All’autore in questo caso spetterà la quota di 1/36 sulla parte di eredità del De Cuius devoluta a Cicero.
  10. In definitiva e ricapitolando, deve concludersi che l’eredità di De Cuius deve essere ripartita fra Caio nella misura di l8/36, Tizio nella misure di 13/36 ( 12/36 quale coerede in proprio e 1/36 quale erede legittimo di Cicero), Mevio per 4/36 ( 3/36 quale coerede in proprio e I/36 quale erede legittimo del fratello Cicero) e fra Sempronia nella misura di 1/36 quale erede legittimo del figlio Cicero.

( Omissis)

P.Q.M

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

  1. dichiara l’inefficacia delle disposizioni testamentarie del testamento di De Cuius nella parte in cui devolvono a favore dei nipoti Mevio e Cicero la quota di eredità pari ad un mezzo;
  2. accerta che l’eredità di De Cuius deve essere ripartita fra Caio nella misura di 18/36, Tizio nella misura di 13/36 ( 12/36 quale coerede in proprio e 1/36 quale erede legittimo di Cicero), Mevio per 4/36 ( 3/36 quale coerede in proprio e 1/36 quale erede legittimo del fratello Cicero) e Sempronia nella misura di 1/36 quale erede legittimo del figlio Cicero;
  3. dichiara inammissibili tutte le altre domande proposte dalle parti;
  4. compensa integralmente fra le parti le spese di

REGGIO EMILIA, 21 agosto 2014

Il Giudice Relatore

dott. Annamaria Casadonte

 

Carta di credito clonata: quale diligenza è richiesta all’esercente nel rapporto con il cliente che si avvale di una carta di credito per il pagamento del prezzo di un bene o servizio?

La Cassazione ( con sentenza  10 luglio 2023, n. 19400  ) è intervenuta “sui rapporti contrattuali tra l’emittente di una carta di credito e l’esercente stabilendo che quest’ultimo, nell’accettare i pagamenti da parte dell’apparente titolare della carta, è tenuto all’adempimento del contratto secondo il criterio di cui all’art. 1176 c.c., usando la diligenza del buon padre di famiglia.”

IL CASO. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte nasce da un ricorso presentato da un gioielliere, soccombente in appello, che chiedeva ad American Express il pagamento della somma di € 24.607,50. Tale era l’importo oggetto di transazioni commerciali tra il ricorrente ed un presunto cliente, avvenuto a mezzo carta di credito (che successivamente risultava clonata) gestita da American Express.

Impugnava la sentenza l’emittente della carta di credito, rilevando come il gioielliere avrebbe ripetutamente violato il dovere di diligenza sancito dall’art. 1176 c.c.: in primis, non avrebbe annotato sullo scontrino fiscale gli estremi del documento del (presunto) titolare della carta, come invece prescritto dal contratto POS. Secondariamente, evidenziava American Express, il cliente, con lo stesso esercente, aveva eseguito cinque diverse transazioni in due giorni differenti, pertanto (con operazioni verosimilmente sospette per via del numero e della reiterazione in breve arco di tempo) sarebbe stato violato più di una volta il divieto di frazionamento delle spese prescritto dalla clausola contrattuale prodotta in giudizio. Infine, il ricorrente avrebbe omesso di annotare gli estremi del documento di identificazione sullo scontrino.

La Corte condivide l’analisi logico- giuridica illustrata nella sentenza impugnata, riprendendo i principi di diritto in materia di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. civ. sentenza n. 16102/2006; Cass. civ., sentenza n. 694/2010). In presenza di operazioni sospette, il gioielliere avrebbe dovuto adottare misure più adeguate ed incisive per il rispetto delle cautele imposte dalle condizioni contrattuali.

Alla luce delle suddette evidenze, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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L’obbligo di vigilanza del direttore dei lavori deve essere esplicato in corso d’opera oppure può bastare l’intervento ad opera ultimata?

 

La sentenza ( Cass. Civ. sez. III, 24 maggio 2023, n. 14456  ) che si segnala consente di fare luce anche sulla modalità di svolgimento dell’opera del Direttore lavori, laddove la Corte era chiamata decidere se sia sufficiente un suo intervento alla fine dei lavori per la verifica dell’opera oppure se la contestazione all’appaltatore di eventuali vizi o difetti dell’opera debba avvenire nel corso dei lavori.

Il principio di diritto che si estrapola dalla pronuncia può essere sintetizzato come segue:

In tema di appalto, l’obbligo del direttore dei lavori di controllare che la realizzazione delle opere avvenga secondo le regole dell’arte – dovendo attuarsi in relazione a ciascuna delle fasi di realizzazione delle stesse opere e al fine di garantire che queste ultime siano realizzate senza difetti costruttivi – sussiste in corso d’opera e non ex post, ad opere ultimate.”

IL CASO. I committenti di un appalto convennero in giudizio l’impresa appaltatrice per sentirla condannare al risarcimento dei danni per vizi dei lavori di costruzione di un immobile di loro proprietà, nonché al pagamento dei danni per ritardata ultimazione degli stessi lavori.

L’impresa convenuta si costituì, chiedendo la chiamata in causa del direttore dei lavori per essere dallo stesso manlevata, risultando i ritardati tempi di consegna conseguenti a carenze nella progettazione.

Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente la domanda attorea, ritenendo responsabile anche il direttore dei lavori per non aver mosso contestazioni all’appaltatore con riferimento ai vizi di costruzione accertati.

La Corte di Appello riformava la sentenza di primo grado, relativamente alla posizione del direttore dei lavori, sul rilievo che “a distanza di circa un mese dalla consegna dei lavori, aveva contestato tali difetti all’appaltatrice in tre distinti verbali di contestazioni”.

Proposto ricorso in Cassazione da parte dei committenti, i giudici di legittimità osservano che il dovere di vigilanza del direttore dei lavori deve manifestarsi in corso d’opera, ritenendo quindi irrilevanti le contestazioni postume.

Per la lettura della sentenza segue qui 

Arbitrato e appalto, è invalido il lodo emesso dal collegio arbitrale durante l’arco di tempo concesso al commissario liquidatore della procedura concorsuale per decidere se subentrare nel contratto d’appalto

Cassazione civile Sez. un., 23/02/2023, n.5694

IL CASO. La decisione di rimessione alle SSUU prendeva le mosse da un ricorso promosso avverso alla sentenza con cui la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato l’impugnazione di un lodo arbitrale con cui il collegio arbitrale aveva accolto alcune delle domande proposte dalla committente e rigettato la domanda di risoluzione del contratto di subappalto. Il collegio non sarebbe stato a conoscenza del fatto che, in pendenza della procedura arbitrale, la committente era stata posta in liquidazione coatta amministrativa.
Nell’ordinanza di rimessione la Seconda Sezione della Corte prospetta la soluzione sulla base di alcuni precedenti delle stesse Sezioni Unite, in cui si affermava che l’effetto attributivo di cognizione, scaturente dalla clausola arbitrale, sarebbe stato paralizzato dall’inevitabile assorbimento di tali tipologie di giudizio nello speciale procedimento di verifica dello stato passivo, con la conseguenza che l’accertamento di crediti vantati nei confronti di una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria non avrebbe potuto essere devoluta al collegio (cfr. Cass., SS.UU., 21 luglio, 2015, n. 15200).
Una soluzione come quella descritta appare, infatti, funzionale alla garanzia di realizzazione del simultaneus processus, in quanto consente il contraddittorio in un solo giudizio di tutti i creditori del debitore insolvente.
In sintesi con la pronuncia sono stati espressi i seguenti principi:
1) Il giudizio arbitrale promosso sulla base della clausola compromissoria accessoria ad un appalto e per l’accertamento di un credito da esso dipendente, diviene improcedibile al sopraggiungere della messa in liquidazione coatta amministrativa di una delle parti del contratto (nella specie, l’appaltatore), stante l’esclusività dell’accertamento del passivo nella sede concorsuale cui è comunque tenuta, ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall., la parte creditrice (nella specie, il committente), se il rapporto è ancora pendente, cioè non esaurito ai sensi dell’art. 72 l. fall.
2) Il lodo ciononostante emesso, prima della scadenza del termine di 60 giorni assegnato dall’art. 81 l. fall. all’organo concorsuale per dichiarare il proprio eventuale subentro nel contratto-presupposto e senza che siffatta dichiarazione sia intervenuta, è nullo, con conseguente inettitudine a produrre effetti nei confronti della procedura concorsuale, in quanto lo scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’apertura del concorso realizza un effetto legale ex nunc, solo risolutivamente condizionato alla decisione di subentro del commissario fin quando è possibile,  e così gli arbitri, nella fattispecie, difettano di potestas judicandi;
3) l’apertura della procedura concorsuale in pendenza del rapporto determina altresì, secondo la regola generale dell’art. 72, comma 6, l. fall., valevole anche per l’appalto, la inefficacia della clausola negoziale che ne fa dipendere la risoluzione da tale evento.

 

Per la lettura del testo integrale della sentenza accedere al seguente link:     https://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20230223/snciv@sU0@a2023@n05694@tS.clean.pdf

La protezione dei pagamenti da revocatoria fallimentare. I pagamenti effettuati nei termini d’uso

Cass. Civ., Sez. I, 26 aprile 2023, n. 10997, ord.

L’art 67 della Legge Fallimentare ( ora ridefinita Legge della crisi d’impresa) esclude da revocabilità, in caso di insolvenza dichiara dell’impresa ( id est fallimento, concordato, liquidazione coatta amministrativa), il pagamenti operati dall’impresa insolvente anche nell’arco degli ultimi sei mesi che precedono la dichiarazione d’insolvenza, se i pagamenti stessi sono effettuati “nei termini d’uso”. La giurisprudenza si è cimentata, quindi, nel compito di interpretare tale espressione posto che accade sovente che le imprese in difficoltà pagano in modo irregolare.  Accade nella prassi, infatti, che le imprese in difficoltà chiedano di modificare i termini di pagamento, peggio, adempiano in modo irregolare.
L’argomento è stato affrontato con un recentissimo arresto della Suprema Corte di Cassazione, la sentenza n.  10997/2023, con il quale è stato enunciato il seguente principio:
“L’effetto dell’esenzione dell’art. 67, terzo comma, lett. a), l. fall., è quello di rendere non revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus.  Ai fini dell’accertamento, il Giudice dovrà valutare la sussistenza di una prassi invalsa tra le parti in epoca prossima ai pagamenti revocandi.”

IL CASO. La Corte d’Appello di Perugia, ribaltando la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Terni, dichiarava la revocabilità di una serie di pagamenti, escludendo l’applicabilità dell’esenzione di cui alla lett. a) del comma 3, dell’art. 67, l.fall. Per la Corte, infatti, la circostanza che i pagamenti fossero avvenuti con un ritardo sempre maggiore rispetto a quello ritenuto “solito”, portava ad escludere la possibilità di ritenere tali ritardi nei termini d’uso, come ulteriormente comprovato  dai numerosi solleciti inviati dalla Società Alfa, creditrice, alla Società Beta, debitrice.
Sussisteva, inoltre, la scientia decoctionis dell’accipiens ( n.d.r.  la consapevolezza dello stato di decozione da parte del creditore), comprovata da elementi presuntivi quali (i) articoli di stampa; (ii) risultanze di bilancio; (iii) rifiuto del revisore di esprimere il proprio parere sul bilancio; (iv) attivazione della cassa integrazione; (v) sospensione delle forniture e interruzione dell’attività produttiva.
La società Alfa, accipiens condannata alla restituzione degli importi ricevuti, ricorreva in cassazione, chiedendo la riforma della sentenza della Corte perugina, assumendo l’erroneità del decisum del Giudice nella misura in cui aveva escluso l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 67, co. 3, lett. a), l.fall.

La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso della Società Alfa, ha cassato la sentenza impugnata e disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

In particolare, la Corte ha statuito che il giudice d’appello, pur essendo tenuto a verificare l’esistenza di una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, non si è preoccupato di accertare quale fosse la consuetudine negoziale invalsa fra le parti in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi, arrestando la propria analisi a condotte risalenti a quattro anni addietro e dunque non significative della “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione. La motivazione del giudice a quo, che risultava contraddittoria e viziata dall’omesso esame della documentazione relativa ai pagamenti avvenuti in epoca più recente, doveva dunque essere riformata.

Il testo della sentenza 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

RILEVATO

che:

  1. Il Tribunale di Terni, con sentenza n. 355/2017, respingeva la domanda proposta D.Lgs. n. 270 del 1999, ex art. 49 e L.Fall., art. 67 da BETA s.p.a. in a.s. nei confronti di ALFA s.p.a., avente ad oggetto la revoca dei pagamenti effettuati dalla società in bonis in favore della convenuta nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di insolvenza, ritenendo che gli stessi fossero stati effettuati nei termini d’uso fra le parti e rientrassero così nell’esenzione prevista dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a).
  2. La Corte d’appello di Perugia ha accolto l’appello proposto dall’A.S. contro la decisione. Ha rilevato che, benché sin dal 2005 BETA avesse iniziato a pagare le forniture con ritardo, contenuto però entro un termine di venti – trenta giorni, “al 2007, e quindi al semestre antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza, i ritardi erano sempre aumentati, sino ad arrivare agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del giudizio” (così, testualmente, la sentenza alla pag. 4, 2 cpv).

Ha quindi ritenuto che simili ritardi non rientrassero nei termini d’uso, come del resto comprovato dai numerosi solleciti (di cui avevano esaustivamente riferito i testi escussi) che ALFA, per il tramite di suoi dipendenti, aveva provveduto a inviare a BETA nell’ultimo periodo.

Ha poi affermato che i medesimi solleciti dimostravano la scientia decoctionis della compagine appellata.

Ha aggiunto che la prova della sussistenza del presupposto soggettivo dell’azione emergeva da ulteriori, plurime circostanze conosciute nel mondo produttivo (articoli di stampa che trattavano della precaria situazione della BETA; pubblicazione del bilancio al 31 dicembre 2008 della società; rifiuto di KPMG di esprimere il proprio parere sul bilancio per l’anno successivo; attivazione della cassa integrazione per i dipendenti; sospensione delle forniture e interruzione dell’attività produttiva).

Ha pertanto dichiarato l’inefficacia dei pagamenti dedotti in giudizio, per l’importo di Euro 41.600, e ha condannato ALFA a restituire alla procedura appellante la somma predetta, maggiorata degli interessi legali dalla data della domanda al saldo.

  1. ALFA s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, pubblicata il 7 giugno 2019, prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso BETA s.p.a. in a.s..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

 

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione della L.Fall., art. 67, commi 2 e 3, lett. a): la corte d’appello, pur riconoscendo che i ritardi nei pagamenti di BETA risalivano al 2005, ed erano arrivati nel 2007 a 80/90 giorni, ha negato che rientrassero nei termini d’uso i pagamenti di cui era stata richiesta la revoca, che erano avvenuti con un ritardo della medesima consistenza; i giudici distrettuali, a dire della ricorrente, non hanno tenuto conto che la sentenza dichiarativa dell’insolvenza di BETA è stata emessa il 18 maggio 2011, e che dunque il cd. periodo sospetto non risaliva al 2007, ma, dovendo essere calcolato a ritroso da tale data, si arrestava al 17 novembre 2010, oppure hanno limitato la valutazione dei termini d’uso esistenti fra le parti al periodo anteriore al 2007.

4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 116 c.p.c., L. fall., art. 67, commi 2 e 3, lett. a): la corte d’appello – in tesi – non avrebbe compiuto un prudente apprezzamento delle prove disponibili, omettendo di analizzare compiutamente tutti i pagamenti intervenuti fra le parti dal 2005 al 2010 ai fini della valutazione in concreto dei termini d’uso esistenti e limitando la propria disamina sino al 2007; i giudici distrettuali, inoltre, avrebbero dato indebita prevalenza, nella individuazione dei termini d’uso, alle dichiarazioni testimoniali rese dai soli testi della procedura appellante, escludendo invece la valutazione sia delle prove documentali, sia delle prove testimoniali offerte a tal fine da ALFA.

4.3 Il terzo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione di fatti storici decisivi risultanti dagli atti di causa, costituiti, fra l’altro: i) dalla documentazione relativa a tempi e modalità di pagamento delle fatture adottati dalle parti nel periodo ricompreso fra il 2005 e il 2010; ii) dall’insussistenza di solleciti scritti; iii) dalle dichiarazioni testimoniali dei testi di ALFA.

4.4 Il sesto motivo di ricorso adduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli art. 116 c.p.c. e L.Fall., art. 67: la sentenza impugnata sarebbe viziata da incoerenza e illogicità nella parte in cui ha ritenuto i pagamenti tardivi come non rientranti nei termini d’uso, pur avendo riconosciuto che fra le parti i pagamenti avvenivano in ritardo sin dal 2005.

  1. I motivi, da esaminarsi congiuntamente e in via prioritaria, in applicazione del principio della ragione più liquida, sono fondati, nei termini che si vanno ad illustrare.

5.1 Questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. Cass. 27939/2020), in termini che questo collegio condivide appieno, che l’eccezione posta dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), va intesa “nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore – adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale – volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi”.

“L’effetto della disposizione di esonero e’, in definitiva, che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus:

tanto che non possano più, a quel punto, ritenersi pagamenti eseguiti “in ritardo”, ossia inesatti adempimenti, ma siano divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti: con tutte le conseguenze relative all’inesistenza di un inadempimento dell’altro contraente (in ordine alla mora, all’art. 1460 c.c., all’azione di risoluzione, al risarcimento del danno, ecc.)”.

La norma, quindi, richiede la dimostrazione “della consistenza della quotidianità sotto il profilo delle modalità di adempimento invalse fra le parti, al fine di consentire al giudice di apprezzare se le parti nel caso di specie si fossero scostate dai termini consueti fino ad allora seguiti” (Cass. 9851/2019).

5.2 La corte di merito, chiamata a verificare la revocabilità di due pagamenti effettuati all’interno del periodo sospetto (pacificamente decorrente a ritroso dal 18 maggio 2011), ha sovvertito la decisione di primo grado, che aveva ravvisato l’esistenza dei presupposti dell’esenzione prevista dalla L.Fall., art. 67, comma 3, lett. a), facendo riferimento al fatto che i ritardi invalsi nella prassi negoziale, sempre contenuti tra i venti e i trenta giorni a partire dal 2005, “approssimandosi, invece, al 2007” “erano sempre aumentati fino ad arrivare agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del presente giudizio”.

Una simile valutazione risulta viziata, innanzitutto, perché il giudice d’appello, pur essendo tenuto a verificare l’esistenza di una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, non si è preoccupato di accertare quale fosse la consuetudine negoziale invalsa fra le parti in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi, arrestando la propria analisi a condotte risalenti a quattro anni addietro e dunque non significative della “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione.

Risulta altresì fondata la doglianza concernente l’omesso esame della documentazione relativa ai pagamenti avvenuti in epoca più recente, che doveva essere esaminata dalla corte di merito al fine di verificare se la prassi seguita dalle parti a partire dal 2007 fosse proseguita anche nel periodo successivo o avesse registrato dei significativi mutamenti.

Per di più, la motivazione offerta si prospetta come contraddittoria (o quanto meno apodittica) laddove, da un lato, riconosce che i ritardi erano “sempre” aumentati fino ad arrivare “agli ottanta e ai novanta giorni delle fatture relative ai pagamenti oggetto del presente del giudizio”, dall’altro nega rilevanza a comportamenti coerenti con una simile consuetudine ai fini dell’applicazione dell’esenzione in discorso (senza spiegare perché la lievitazione dei tempi di pagamento riscontrata fin dal 2007 non fosse idonea ad assurgere a prassi consolidata).

Giova precisare, infine, come non assumesse rilievo, al fine di sminuire la rilevanza di un’attuale prassi di dilazione nei pagamenti eventualmente esistente nei rapporti fra le parti, il riferimento ai solleciti effettuati nei confronti della debitrice.

Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di precisare che “se il ritardo rispetto alla scadenza pattiziamente convenuta sia divenuto una consuetudine, senza determinare una specifica reazione della controparte, a parte l’intimazione di solleciti, tale prassi deve ritenersi prevalente rispetto al regolamento negoziale” (Cass. 7580/2019).

  1. L’accoglimento dei motivi esaminati nei termini appena illustrati comporta l’assorbimento dei profili di censura riguardanti la scientia decoctionis nonché delle ulteriori doglianze prospettate.
  2. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, la quale, nel procedere a un nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il sesto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023

Come può il creditore rivalersi sui beni  ereditari se l’erede/debitore  non ha  formalmente accettato l’eredità ?

 

Per principio espresso dall’art.2740 del codice civile  “ il debitore risponde dell’adempimento dell’obbligazione con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Tuttavia  sovente chi è gravato da debiti,  spesso consapevolmente, per sottrarre i beni alle pretese dei creditori, omette di compiere gli atti necessari per portare a compimento la pratica successoria. In questo modo il creditore non ha la possibilità di aggredire i beni dell’eredità fino a quando gli stessi rimangono intestati al defunto (gli immobili in particolare) e non risulta intervenuta l’accettazione dell’eredità.
La soluzione del problema può essere rappresentata – come nel caso di specie – dalla declaratoria di “accettazione tacita” dell’eredità laddove sussistano atti compiuti dall’erede/debitore che lascino presumere l’intervenuta  accettazione di fatto dell’eredità.
Ove tale prova non potesse essere disponibile occorrerebbe ricorrere al diverso procedimento previsto dall’art.481 c.c. perchè il giudice  assegni un termine all’erede per dichiarare se accetta l’eredità.
Con la sentenza che si annota il Tribunale di Reggio Emilia (I  sezione civile, Sentenza n. 383 del 22.03.2022  ), ha accolto la domanda avanzata dall’impresa creditrice che intendeva sottoporre a pignoramento il bene immobile, caduto in successione, destinato al debitore, affermando tra l’altro, il seguente principio:
“ Il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato (all’eredità), pur non presupponendo di per sé la volontà di chi li possiede di accettare l’eredità (potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato), rappresenta tuttavia circostanza valutabile, unitamente alla mancata redazione dell’inventario, ai fini dell’accertamento dell’accettazione “ex lege“, di cui sono elementi costitutivi, appunto, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. civ. 19.7.2006, n. 16507).” 

IL CASO. Con atto di citazione regolarmente notificato la Alfa Srl conveniva in giudizio Tizio, tra altri, chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte di Tizio, nella sua qualità di chiamato all’eredità relitta dalla madre defunta Sempronia.
La domanda proposta da parte attrice nei confronti di Tizio è stata ritenuta fondata e accolta.
Tizio, infatti, successivamente alla morte della madre Sempronia, pur ponendo in essere comportamenti concludenti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare tacitamente l’eredità della madre, aveva omesso l’espletamento degli adempimenti di legge  inerenti la dichiarazione di successione apertasi oltre 10 anni addietro.
In particolare Tizio aveva affidato nel corso dell’anno 2017 alla Alfa Srl l’appalto per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’appartamento nel quale aveva stabilito la propria residenza ininterrottamente per almeno nove anni dopo l’apertura della successione di Sempronia, atti che lo stesso convenuto non avrebbe dovuto compiere se avesse scelto di rinunciare all’eredità; lo stesso, del resto, essendo nel possesso dei beni ereditari non aveva provveduto a redigere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione.

Testo integrale della sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Damiano Dazzi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I° Grado iscritta al n. r.g. 678/2021 promossa da:

ALFA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore ……….., con il patrocinio dell’avv. ORLANDI GIOVANNI;

ATTRICE

contro

TIZIO

CAIO

CONVENUTI

 

CONCLUSIONI

Parte attrice ha così precisato le conclusioni:

“Piaccia all’Ill.mo Sig. Giudice unico, contrariis reiectis:

Nel merito:

1)         dichiarare aperta la successione di SEMPRONIA nata a ………… il ………. e qui ivi deceduta …………..;

2)         dichiarare che TIZIO, ha accettato l’eredità del defunto genitore SEMPRONIA, avendo lo stesso compiuto atti manifestanti la volontà di accettazione riguardanti l’immobile posto in ………, Via ……… n. …….., int.6., unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio 39, mappale 299, sub. 42, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e Foglio 39 mappale 299 sub. 56, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99, immobile caduto nell’asse ereditario;

3)         accertare e dichiarare, pertanto, il subentro, ab intestato o a diverso titolo, dello stesso TIZIO, quale unico erede, nella titolarità del compendio ereditario facente capo alla Sig.ra SEMPRONIA del quale faceva parte la quota indivisa di 3/4 dell’appartamento afferente l’edificio condominiale posto in ………, Via ………. n. …, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al

–           Foglio 39, mappale 299, sub. 42, cat. A3, Cl. 3, vani 7, R.C. 578,43 e

–           Foglio 39 mappale 299 sub. 56, Cat. C6, Cl. 4, mq 17, R.C. 71,99 ;

4)         accertare e dichiarare che CAIO, in qualità di comproprietario dell’appartamento con annesso garage, afferente l’edificio condominiale sito in …….., Via  ………. n. …, int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al Foglio 39, mappale 299, sub. 42 e al Foglio 39 mappale 299 sub. 56, è obbligato in solido con il padre, TIZIO, all’adempimento degli oneri derivanti dal contratto d’appalto da quest’ultimo stipulato con la ALFA srl e, per l’effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l’opera dalla stessa prestata, ammontante ad € 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento;

5)         in via subordinata, dirsi tenuto CAIO a pagare alla ALFA Srl, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, la somma di € 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento;

6)         ordinare al Conservatore dei RR.II. di Reggio Emilia di provvedere, ai sensi dell’art. 2648 c.c., alla trascrizione della presente sentenza con esonero da sua responsabilità;

7)         pronunciare sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege;

8)         condannare delle parti convenute al pagamento delle spese e dei compensi professionali di causa oltre IVA e C.p.a. se e in quanto dovuti, nonché a eventuali spese di CTU e CTP”.

 

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.

Con atto di citazione notificato il 02/02/2021, ALFA Srl conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato

Tribunale, TIZIO e CAIO, chiedendo che fosse accertata e dichiarata l’intervenuta accettazione dell’eredità da parte di TIZIO, nella sua qualità di chiamato all’eredità relitta dalla madre defunta SEMPRONIA.

Chiedeva inoltre di accertare e dichiarare che l’altro convenuto, CAIO, “in qualità di comproprietario dell’appartamento sito in ……….., int. 6 , unità censita al Catasto Urbano dello stesso Comune al foglio 29, mappale 299”, fosse “obbligato in solido con il padre, TIZIO, all’adempimento degli oneri derivanti dal contratto d’appalto da quest’ultimo stipulato con la ALFA srl e, per l’effetto, condannarlo al pagamento del corrispettivo dovuto alla Società attrice per l’opera dalla stessa prestata, ammontante ad € 62.578,23, o a quella diversa maggiore o minore somma che fosse accertata in corso di causa, oltre interessi di mora e maggior danno da ritardato pagamento”.

In via subordinata, chiedeva la condanna di CAIO al pagamento della “somma di € 62.578,23 oltre interessi, o quella maggiore o minore che dovesse essere accertata e determinata nel corso del giudizio, a titolo di indennizzo per indebito arricchimento”.

I convenuti non si costituivano in giudizio, di talché all’udienza del 20/05/2021 ne veniva dichiarata la contumacia.

Assegnati i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., la causa –  istruita solo documentalmente –  veniva rinviata all’odierna udienza per discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c.

 

Fatte queste premesse, la domanda proposta da parte attrice nei confronti di TIZIO è fondata e deve essere accolta.

TIZIO, infatti, successivamente alla morte della madre SEMPRONIA, deceduta a ……….il ………, ha posto in essere comportamenti concludenti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare tacitamente l’eredità della madre.

Sul punto, giova rammentare che l’art. 476 c.c. dispone che “..l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede..”, e che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che detta accettazione tacita possa essere desunta anche dal comportamento del chiamato che abbia compiuto atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare (cfr. ex multis Cass. n. 22317/2014; Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 5226/2002; Cass. n. 7075/1999).

In effetti, il comportamento di TIZIO, emergente dalle produzioni documentali, consente di ritenere provati i fatti posti da parte attrice a fondamento della domanda di accertamento dell’accettazione tacita di eredità, dovendosi in particolare ritenere, in adesione alle argomentazioni svolte sul punto dalla ALFA Srl e sulla base della documentazione prodotta, che TIZIO, affidando nel corso dell’anno 2017 alla ALFA Srl l’appalto per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’appartamento, in cui egli è rimasto residente con la moglie anche dopo la morte della madre quantomeno sino al 17/12/2020 (doc. 31) ed ancora sino al 02/02/2021 (data di ricezione della notifica della citazione), abbia compiuto atti che presupponevano necessariamente la sua volontà di accettare l’eredità della madre SEMPRONIA, come si è detto deceduta il 01/12/2011 (doc. 26), trattandosi di atti che lo stesso convenuto non avrebbe avuto il diritto di compiere se non nella sua qualità di erede.

L’appartamento nel quale sono stati effettuati i lavori in questione (unità censita in catasto al foglio 29, particella 299) era in comproprietà della de cuius SEMPRONIA, madre di TIZIO, per la quota di 3/4 (cfr. visura catastale di cui al doc. 32),

Si consideri che la ALFA Srl –   per i lavori commissionati da TIZIO ed eseguiti presso il succitato immobile, iniziati nel mese di giugno 2017 (cfr. comunicazione di inizio lavori del 12/06/2017  di cui al doc. 6) –  ha emesso nei confronti di TIZIO la fattura n. 8 del 13/03/2019, pari ad € 62.578,23 Iva compresa (€ 56.889,30 + Iva), e lo stesso

TIZIO è stato condannato da questo Tribunale a pagare alla ALFA Srl, a titolo di compenso per tali opere appaltate, la somma di € 54.118,98 + Iva con la sentenza n. 1048/2021 pubblicata il 21/09/2021 (procedimento RG 3392/2019), la quale ha accertato l’esistenza di contratto di appalto tra la ALFA Srl e TIZIO, avente ad oggetto proprio i predetti lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell’appartamento.

A ciò si aggiunga che, avendo TIZIO mantenuto la propria residenza presso tale immobile ininterrottamente per almeno nove anni dopo il decesso della de cuius SEMPRONIA, egli fosse nel possesso del predetto bene immobile, come si evince sia dai certificati di residenza in atti, sia dall’esito della notifica del 02/02/2021 della citazione introduttiva del presente giudizio.

Ciò posto, si rileva che, secondo costante giurisprudenza (v. Cass. n. 21436/2018), “in tema di successioni “mortis causa”, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è da sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo necessaria l’accettazione da parte del chiamato, mediante “aditio” o per effetto di una “pro herede gestio”, oppure la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.”

E’ stato affermato che “l’immissione in possesso dei beni ereditari non comporta accettazione tacita dell’eredità, poiché non presuppone necessariamente, in chi la compie, la volontà di accettare, cionondimeno, se il chiamato nel possesso o compossesso anche di un solo bene ereditario non forma l’inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, viene considerato erede puro e semplice; tale onere condiziona, non solo, la facoltà di accettare con beneficio d’inventario, ma anche quella di rinunciare all’eredità in maniera efficace nei confronti dei creditori del “de cuius” (v. Cass. n. 15690/2020).

In definitiva, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il possesso dei beni ereditari da parte del chiamato, pur non presupponendo di per sé la volontà di chi li possiede di accettare l’eredità (potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato), rappresenta tuttavia circostanza valutabile, unitamente alla mancata redazione dell’inventario, ai fini dell’accertamento dell’accettazione “ex lege”, di cui sono elementi costitutivi, appunto, l’apertura della successione, la delazione ereditaria, il possesso dei beni ereditari e la mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. civ. 19.7.2006, n. 16507)

La norma contenuta nell’art. 485 c.c. contempla, dunque, un’ipotesi di accettazione ex lege dell’eredità, prevedendo che il chiamato all’eredità che si trovi, a qualunque titolo, nel possesso dei beni ereditari assuma la qualità di erede puro e semplice qualora non provveda a redigere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità.

Nel caso di specie, ad avviso di questo Giudice, risultano integrati i requisiti della fattispecie di cui

all’art. 485 c.c.:  non risulta infatti agli atti essersi effettuato inventario ai sensi dell’art. 485 c.c.; sono provate l’apertura della successione e la delazione ereditaria; inoltre è dimostrata la circostanza del possesso dell’immobile oggetto dell’eredità materna da parte di TIZIO, tenuto conto delle certificazioni anagrafiche di residenza, che hanno un indubbio valore presuntivo, delle risultanze della notifica della citazione introduttiva del presente giudizio, e dei lavori in appalto commissionati nel 2017 alla ALFA Srl dallo stesso TIZIO, riguardanti l’abitazione nel quale risiede e di cui era comproprietaria la madre per la quota di 3/4, dai quali è agevole far discendere che TIZIO è stato, sin dalla data della morte della madre (01/12/2011), e quantomeno sino al 02/02/2021 (quindi per circa 9 anni), residente nell’immobile oggetto di successione e, quindi, nel possesso dell’immobile rilevante ai sensi dell’art. 485 c.c.

E’ dunque corretto ritenere presuntivamente provata l’avvenuta accettazione tacita dell’eredità da parte dello stesso quale erede puro e semplice (in mancanza di redazione dell’inventario).

Deve essere altresì accolta la richiesta di trascrizione della presente sentenza in presenza delle condizioni di cui all’art. 2648 c.c.

 

3.

Non è invece fondata la domanda svolta nei confronti di CAIO (figlio di TIZIO).

Va innanzitutto premesso che il contratto di appalto, come accertato nella summenzionata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 1048/2021, passata in giudicato, è stato stipulato tra TIZIO (committente) e ALFA Srl (appaltatrice), e dunque CAIO, pur se di fatto informato dei lavori, non era parte di tale rapporto negoziale.

La fonte della sua obbligazione non può pertanto essere di natura contrattuale.

Parte attrice ha sostenuto –  a fondamento di detta domanda di condanna di CAIO al pagamento della somma di € 62.578,23 quale compenso dell’appalto stipulato tra TIZIO e ALFA Srl –  l’assunto secondo cui CAIO, quale comproprietario dell’immobile sul quale erano stati eseguiti i lavori di manutenzione straordinaria commissionati dal padre alla ALFA Srl, sarebbe “obbligato in solido per le obbligazioni contratte per la cosa comune”.

L’assunto non può essere condiviso.

Infatti, con riferimento alle obbligazioni assunte da TIZIO nell’interesse della cosa comune nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile –  la responsabilità dei comunisti è retta dal criterio della parziarietà e non già della solidarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse della cosa comune si imputano ai singoli comproprietari soltanto in   proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie (cfr. Cass. SS.UU., Sentenza n. 9148 del 08/04/2008).

Contrariamente dunque a quanto sostenuto dalla difesa attorea, non sussiste alcuna solidarietà passiva dei partecipanti alla comunione con riguardo alle obbligazioni assunte nell’interesse della cosa comune nei confronti di terzi.

La sentenza della Suprema citata da parte attrice (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21907 del 21/10/2011) riguarda la ben diversa fattispecie dei comproprietari di un’unità immobiliare sita in condominio che sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, e nella specie, la Suprema Corte ha chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato dalle summenzionate Sez. Un. n. 9148 del 2008, riguardando quest’ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale.

Improponibile risulta infine, sotto il profilo della sussidiarietà, la domanda subordinata svolta nei confronti di CAIO di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., ostando il carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento (artt. 2041 e 2042 cod. civ.). Si rammenta infatti che, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., uno dei presupposti per la proposizione dell’azione generale di arricchimento senza causa è rappresentato dalla sussidiarietà dell’azione (art. 2042 c.c.). L’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, abbia a disposizione, come avvenuto in specie, un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (cfr. Sezioni Unite n. 28042 del 25/11/2008).

Sulla base delle superiori considerazioni, la domanda principale svolta nei confronti di CAIO va quindi respinta in quanto infondata, e la domanda subordinata di arricchimento senza causa va dichiarata inammissibile in ragione del carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento (artt.

2041 e 2042 cod. civ.).

 

4.

Quanto infine alla regolamentazione delle spese d lite, nel rapporto processuale tra ALFA Srl e

TIZIO, le spese di lite, seguendo la soccombenza, vanno poste a carico di quest’ultimo.

Le spese si liquidano secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n.

37 del 2018.

Alla luce del valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di TIZIO, e della

bassa complessità delle questioni sottese a detta domanda, si applica lo scaglione da € 26.001,00 ad € 52.000,00; le fasi da prendere in considerazione sono quelle di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria; la natura non particolarmente complessa delle questioni di diritto e di fatto trattate, la natura documentale della causa, la mancata assunzione di prove costituende e l’adozione del modulo decisorio semplificato della discussione orale e contestuale decisione ex art. 281 sexies c.p.c., giustificano una riduzione del 50% dei compensi di tutte le fasi, corrispondenti, rispettivamente, ad € 810,00, ad €

574,00, ad € 860,00 e ad € 1.384,00.

Anche il contributo unificato da riconoscere a parte attrice va parametrato al valore indeterminabile della domanda svolta nei confronti di TIZIO (€ 518,00), a cui occorre aggiungere la marca da bollo pari ad € 27,00.

Nulla invece deve disporsi in ordine alle spese nel rapporto processuale tra parte attrice e l’altro convenuto CAIO.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattese o assorbite, così provvede:

1)         Accerta e dichiara l’accettazione tacita dell’eredità di SEMPRONIA, deceduta a …….il……… , da parte di TIZIO, e conseguentemente che TIZIO è erede di SEMPRONIA.

2)         Ordina al Conservatore dei R.R.I.I. competente per territorio di provvedere alla trascrizione della presente sentenza con esonero da ogni sua responsabilità.

3)         Rigetta la domanda svolta in via principale da parte attrice nei confronti del convenuto CAIO.

4)         Dichiara inammissibile la domanda svolta in via subordinata da parte attrice nei confronti del convenuto CAIO.

5)         Condanna il convenuto TIZIO al pagamento, in favore di ALFA Srl, delle spese di lite, che liquida in € 3.628,00 per compenso, in € 545,00 per anticipazioni, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ex art. 2 del D.M. 55/2014.

 

Reggio Emilia, 22 marzo 2022

Il Giudice

dott. Damiano Dazzi