Carta di credito clonata: quale diligenza è richiesta all’esercente nel rapporto con il cliente che si avvale di una carta di credito per il pagamento del prezzo di un bene o servizio?

La Cassazione ( con sentenza  10 luglio 2023, n. 19400  ) è intervenuta “sui rapporti contrattuali tra l’emittente di una carta di credito e l’esercente stabilendo che quest’ultimo, nell’accettare i pagamenti da parte dell’apparente titolare della carta, è tenuto all’adempimento del contratto secondo il criterio di cui all’art. 1176 c.c., usando la diligenza del buon padre di famiglia.”

IL CASO. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte nasce da un ricorso presentato da un gioielliere, soccombente in appello, che chiedeva ad American Express il pagamento della somma di € 24.607,50. Tale era l’importo oggetto di transazioni commerciali tra il ricorrente ed un presunto cliente, avvenuto a mezzo carta di credito (che successivamente risultava clonata) gestita da American Express.

Impugnava la sentenza l’emittente della carta di credito, rilevando come il gioielliere avrebbe ripetutamente violato il dovere di diligenza sancito dall’art. 1176 c.c.: in primis, non avrebbe annotato sullo scontrino fiscale gli estremi del documento del (presunto) titolare della carta, come invece prescritto dal contratto POS. Secondariamente, evidenziava American Express, il cliente, con lo stesso esercente, aveva eseguito cinque diverse transazioni in due giorni differenti, pertanto (con operazioni verosimilmente sospette per via del numero e della reiterazione in breve arco di tempo) sarebbe stato violato più di una volta il divieto di frazionamento delle spese prescritto dalla clausola contrattuale prodotta in giudizio. Infine, il ricorrente avrebbe omesso di annotare gli estremi del documento di identificazione sullo scontrino.

La Corte condivide l’analisi logico- giuridica illustrata nella sentenza impugnata, riprendendo i principi di diritto in materia di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. civ. sentenza n. 16102/2006; Cass. civ., sentenza n. 694/2010). In presenza di operazioni sospette, il gioielliere avrebbe dovuto adottare misure più adeguate ed incisive per il rispetto delle cautele imposte dalle condizioni contrattuali.

Alla luce delle suddette evidenze, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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