Air-bag difettoso, la responsabilità compete al produttore o al fornitore? Responsabilità da prodotto

 

C.Cass. civ. Sez. Terza Ord., 06/03/2023, n. 6568, Pres. Travaglino, Est. Graziosi

Un dubbio interpretativo ha indotto la Corte di Cassazione a sottoporre il tema al vaglio della Corte di Giustizia Europea.  Si tratta di appurare se, la condivisione di elementi identificativi adeguati a confondere, deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore, oppure è sufficiente una semplice coincidenza da sanzionare con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore.
Il Caso. Un consumatore che aveva acquistato un veicolo ha  chiamato in giudizio la casa produttrice del veicolo per chiedere il risarcimento dei danni subiti in un sinistro automobilistico. Nell’occorso non aveva funzionato l’air-bag della vettura.
La convenuta si è costituita negando di essere la produttrice ed eccependo di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato.

Sosteneva, in particolare la Casa Automobilistica convenuta che il fornitore ( nella fattispecie essa  Casa automobilistica) non risponde del danno se il produttore ( del componente difettoso) è individuato e, comunque, ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come avvenuto nel caso di specie.

Prima il Tribunale di Bologna e poi la Corte d’Appello di Bologna affermavano  la responsabilità di natura extracontrattuale della convenuta casa produttrice del veicolo, per difetto di fabbricazione dell’air-bag.

La  soccombente, tuttavia, proponeva ricorso alla Corte di Cassazione criticando la scelta interpretativa dei giudici territoriali,  con la richiesta, ove ritenuto necessario, di rinvio pregiudiziale  alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per  l’esegesi del testo dell’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE.

La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria, ha ritenuto necessario porre la questione interpretativa alla Corte di Giustizia  UE, perché si pronunci, in via pregiudiziale, sulla seguente questione di diritto: «se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».

Sarà cura della redazione dare notizia, a suo tempo, della decisione del Corte CEDU.

Testo integrale della ordinanza

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA Dl CASSAZIONE

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

Rilevato che:

M Tullio Cicerone conveniva davanti al Tribunale di Bologna  Mevio  S.p.A. quale venditrice e Casa Automobilistica S.p.A. quale produttrice della propria auto, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui subiti in un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’air-bag della vettura.

Si costituivano le convenute, resistendo; in particolare Casa Automobilistica negava di essere la produttrice, qualificando tale F W   – appartenente al suo gruppo industriale – come sarebbe emerso dalla fattura di vendita che allo scopo produceva. Eccepiva inoltre di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponde se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come sarebbe avvenuto nel caso di specie.

Con sentenza non definitiva del 6 novembre 2012 il Tribunale accoglieva nell’an debeatur la domanda attorea, dichiarando la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’airbag, e rimetteva la causa in istruttoria per la quantificazione del risarcimento.

Proponeva appello Casa Automobilistica Spa; gli appellati si costituivano resistendo.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 21 dicembre 2018, rigettava il gravame.

Ha presentato ricorso Casa Automobilistica sulla base di tre motivi, nella parte conclusiva chiedendo, se necessario, il rinvio pregiudiziale alla CGUE per acquisire la risposta a quesiti. Gli intimati non si sono difesi.

Chiamata la causa a udienza pubblica cameralizzata, il Procuratore Generale ha concluso per iscritto nel senso dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

  1. II primo motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., adducendo che il giudice d’appello ha condannato l’attuale ricorrente “per un titolo estraneo alle allegazioni attoree”, cioè come produttrice e non anche quale fornitrice.
  2. Il secondo motivo denuncia omesso esame di fatto discusso e decisivo nonché falsa applicazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988.

II giudice d’appello avrebbe correlato l’obbligo dell’attuale ricorrente – quale fornitrice convenuta – di chiamare in causa la (vera) produttrice al fatto che la convenuta avrebbe potuto essere estromessa solo dopo tale estensione del contraddittorio. Ciò sarebbe infondato, e pure irrilevante per stabilire se l’interessato alla chiamata in causa del produttore sia il consumatore/attore oppure il fornitore/convenuto e, in secondo caso, quali siano le conseguenze dell’omissione della chiamata in causa.

Si afferma di ‘censurare l’omesso esame del fatto decisivo perché comportante la ritenuta applicabilità alla fattispecie dell’art. 4 del D.P.R. 224/88 – rappresentato dalla concorde individuazione del produttore operata dalle parti in limine litis”: il riferimento sarebbe appunto al testo dell’articolo 4, primo comma, d.p.r. 224/1988, che indica come presupposto della responsabilità del fornitore la mancata individuazione del produttore; e nel caso in esame l’individuazione di quest’ultimo non sarebbe stata controversa.

Il non avere considerato che l’identità del produttore era stata individuata concordemente dalle parti avrebbe impedito al giudice d’appello di rilevare l’assenza della condicio juris (“Quando i/ produttore non sia individuato…” ) della responsabilità dell’attuale ricorrente. In un simile contesto in cui quest’ultima sarebbe stata appunto la fornitrice, essa “avrebbe dovuto essere assolta dalla domanda, ponendosi, il tema della chiamata in causa del produttore, al diverso fine – al quale la Ford era indifferente – della condanna del produttore nei confronti dell’attore”.

L’omesso esame denunciato sarebbe “decisivo anche sotto diverso profilo di una falsa applicazione, per vizio di sussunzione, della norma applicata”, in quanto, se non era controversa l’identificazione del produttore ‘già individuato concordemente dalle parti in un soggetto diverso” – l’articolo 4 citato non sarebbe applicabile: pertanto il giudice d’appello avrebbe erroneamente sussunto la fattispecie nell’articolo 4, “perché il presupposto di fatto della sua applicabilità, la mancata individuazione del produttore, era negato dalle convergenti allegazioni delle parti”.

  1. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 e della direttiva CEE 85/374, e propone “duplice richiesta subordinata di rinvio pregiudiziale” alla CGUE.
    • Conoscendo il consumatore l’identità del produttore, confermata dalla fornitrice in tempo che il consumatore potesse chiedere di chiamarlo in causa, “il tema della causa, donde la causalità del vizio di violazione di legge” qui appunto denunciato, sarebbe se, per l’omissione di tale richiesta, il consumatore dovesse soccombere nel giudizio promosso avverso la fornitrice,

‘cui era assodata l’estraneità al processo produttivo”. Al riguardo il giudice d’appello ha risposto nel senso che l’attuale ricorrente non avrebbe avuto soltanto l’onere di comunicare al danneggiato l’identità del produttore, ma avrebbe pure dovuto chiamarlo in causa, essendo questa l’unica via per essere estromessa. In tal modo la corte territoriale si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, e precisamente con Cass. 11710/2009, Cass.5428/2002 e Cass. 13432/2010 .

  • In particolare, Cass. 20 maggio 2010 n. 11710 afferma che, qualora il danneggiato agisca per danno da prodotto difettoso nei confronti del fornitore, quest’ultimo è privo di legittimazione passiva (rectius: titolarità passiva del rapporto) se il prodotto è fabbricato da un soggetto avente sede all’interno della Unione Europea, come nel caso de quo. D’altronde per l’accertamento dell’origine infracomunitaria del prodotto non occorre la partecipazione del produttore al giudizio, ben potendo “risultare dalle prove costituite prodotte al riguardo dal fornitore convenuto pur nella mancata estensione del contraddittorio al produttore”. Quindi l’evocazione in giudizio del produttore si rapporta “all’esclusivo interesse del consumatore ad ottenerne la condanna in luogo del fornitore esonerato, perché ai fini dell’assoluzione di quest’ultimo dalla domanda è sufficiente che l’identità del produttore sia individuata”: infatti il fornitore non risponde verso il consumatore “né in via solidale con il produttore, né in via vicaria, ma solo in via subordinata alla mancata individuazione di quest’ultimo”. Pertanto risulta comunque incongruo ‘attribuire al fornitore convenuto l’onere della chiamata in causa del produttore strumentalmente alla propria estromissione”, non potendo questa essere disposta in caso di contumacia del chiamato.

In realtà, si ribadisce, quel che interessa al fornitore per la sua assoluzione dalla domanda è soltanto l’accertamento dell’identità del produttore, non la sua partecipazione al giudizio.

Ancora, Cass. 15 aprile 2002 n. 5428 esclude che erri il giudice d’appello qualora dichiari il difetto di legittimazione passiva di una società importatrice di autoveicolo entro l’Unione Europea rispetto all’azione extracontrattuale esercitata dal consumatore per vizio del prodotto.

Conforme agli arresti già citati, Cass. 1 giugno 2010 n. 13432 osserva che l’onere di informazione dell’identità del produttore previsto dall’articolo 4 d.p.r. 224/88 “è previsto dalla legge in considerazione delle esigenze di tutela del consumatore”. Dunque, se nel caso in esame fosse corretto l’assunto del giudice d’appello detta norma non avrebbe senso e sarebbe stato

‘erroneamente individuato il soggetto da tutelare”: nella prospettiva della corte territoriale, infatti, quest’ultimo sarebbe il fornitore, e non il consumatore, poiché il consumatore, convenendo il fornitore, “avrebbe già individuato la propria giusta parte passiva”. Ergo, il consumatore non avrebbe alcun interesse a chiamare in giudizio il produttore, mentre interesse a chiamarlo l’avrebbe il fornitore, per essere “sostituito dal produttore come parte soccombente” oppure per ottenere nei suoi confronti una condanna di manleva dalle conseguenze dell’accoglimento della domanda attorea nei confronti propri. D’altronde, se fosse onere del fornitore/convenuto la chiamata in causa, non vi sarebbe alcuna ragione per far gravare su quest’ultimo un onere di previa, o comunque tempestiva (per la chiamata in causa) comunicazione al consumatore dell’identità del produttore”.

Inoltre la corte territoriale, sempre ad avviso della ricorrente, confonde il tema della identificazione del produttore con il tema dell’accertamento che il soggetto indicato sia effettivamente il produttore, il primo tema concernendo la corretta instaurazione del contraddittorio verso la “parte potenzialmente titolare del Iato passivo”, e il secondo invece “l’accertamento della qualità di produttore, e quindi di giusta parte passiva, non più potenziale ma effettiva, in capo al soggetto indicato dal fornitore”.

3.3 A questo punto la ricorrente rimarca che “nessun particolare valore interpretativo della norma può peraltro riconoscersi al fatto che di questa si debba dare un’interpretazione favorevole al consumatore anche oltre la voluntas legis, come sembra ritenere la Corte d’Appello”, in quanto il favor nei suoi confronti sarebbe già stato raggiunto con la direttiva comunitaria: quindi ‘la norma in esame non necessita di ulteriori estensioni interpretative indiscriminatamente favorevoli al consumatore”, già integrando “un equo contemperamento degli interessi delle parti nel riconoscimento che del danno da prodotto difettoso debba in primis rispondere il produttore, e che il fornitore possa essere chiamato a rispondere solo quando il produttore non risulti individuato”.

Tuttavia – rileva ancora la ricorrente – un ulteriore precedente di legittimità, Cass. ord. 7 dicembre 2017 n. 29327, ha affermato che è produttore, ai fini della responsabilità per danno da prodotto, anche il fornitore che abbia distribuito in Italia un prodotto contrassegnato con un marchio in tutto o in parte corrispondente alla propria denominazione, invocando l’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988. Per l’ipotesi in cui, nonostante la sentenza qui impugnata si fondi sull’articolo 4 e non sull’articolo 3 del decreto, si reputi la pronuncia del giudice d’appello “conforme a legge sulla base di tale precedente”, respingendo quindi il ricorso con correzione della motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente argomenta specificamente sul punto, criticando l’interpretazione dell’articolo 3, terzo comma, dap.r. 224/1988 che detto arresto di legittimità avrebbe scelta “senza alcuna aderenza al dato normativo, sia interno, sia comunitario,” mentre l’articolo 3, terzo comma, ‘sanziona, con l’estensione della responsabilità, un preciso contegno commissivo, e non puramente omissivo” del fornitore che aggiunga per sue ragioni (“pubblicitarie, commerciali o di altro tipo”) al marchio di fabbrica il marchio proprio, così “impedendo al consumatore di distinguere con certezza il produttore, il cui marchio non viene apposto con la precisazione che si tratti di un marchio di fabbrica e non di un marchio di commercio”. La norma allora sanziona “un comportamento confusorio del fornitore”, che se ne avvantaggia e che pertanto dal marchio deve ricavare responsabilità come quella del produttore; nella fattispecie in esame non ricorrerebbero però tali elementi identificativi, non avendo Casa Automobilistica” apposto la propria denominazione, né in senso reiterativo, né in senso distintivo”, nel marchio del produttore”.

Tuttavia “l’unico profilo che consentirebbe di accertare la responsabilità della Ford” ricorrente risiederebbe, secondo Cass. ord. 29327/2017, nel fatto oggettivo che questa ha una denominazione in tutto o in parte coincidente con il marchio del produttore; la coincidenza però “non identifica affatto un titolo di responsabilità perché non rende al consumatore più problematica l’identificazione del produttore”.

3.4 Per l’ipotesi in cui non si diverga da Cass. ord. 29327/2017, la ricorrente propone di sottoporre alla CGUE il quesito seguente: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore.

3.5 Invoca poi la ricorrente il terzo comma di tale articolo 3 – “Quando non può essere individuato il produttore de/ prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità de/ produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore.’ per sostenerne il significato (come d’altronde emergerebbe dai lavori preparatori della direttiva) nel senso che “la responsabilità del fornitore è esclusa in caso di comunicazione dell’identità del produttore, sul presupposto, ovviamente, che il soggetto indicato si riconosca, o sia riconosciuto, come tale; accertamento quest’ultimo che, come già osservato, non richiede però la necessaria presenza in giudizio del produttore”. E il d.p.r. 224/1988 avrebbe correttamente rappresentato il testo della norma comunitaria, non rispettato dalla sentenza impugnata.

Qualora però si ritenga “plausibile” l’interpretazione del giudice d’appello

‘perché non preclusa dal senso fatto palese dalle parole usate dal Legislatore sia comunitario, sia interno”, insorgerebbe la necessità di un ulteriore quesito: se sia conforme alla Direttiva del Consiglio della Comunità Europea del 25 luglio 1985 (85/374/CEE) l’interpretazione della norma implementativa interna, nella specie l’articolo 4 d.p.r. 224/1988, nel senso che non basti a/ fornitore, per sottrarsi alla responsabilità per danno da prodotto, indicare al consumatore i dati identificativi del produttore in tempo utile per permetterne la chiamata in causa da parte del primo, dovendo i/ fornitore altresì farsi carico della chiamata in causa de/ produttore stesso ai fini della sua individuazione, non altrimenti conseguibile in sede giudiziale.

Si conclude per la decisione nel merito nel senso del rigetto della domanda del Letizia, con condanna di quest’ultimo alle spese dei tre gradi di giudizio.

  1. Per una migliore comprensione è opportuno riassumere il contenuto della sentenza d’appello.

4.1 La corte territoriale ha esaminato congiuntamente i due motivi del gravame: il primo contestava l’esistenza dell’obbligo, attribuito all’appellante dal tribunale, di chiamare in causa il produttore contrapponendo la sufficienza dell’indicarne i dati identificativi, e il secondo lamentava ultrapetizione per avere il tribunale condannato la appellante quale fornitrice del veicolo, benché l’attore ne avesse chiesto la condanna quale produttrice.

La motivazione è assai concisa, e prende le mosse dalla condivisione dell’interpretazione dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 adottata dal tribunale nel senso che “estende al fornitore la responsabilità del produttore quando questi non sia individuato” per “assicurare al consumatore una tutela più ampia”, cosicché il fornitore, per “liberarsi dalla responsabilità in questione”, non risulta obbligato soltanto a indicare i dati identificativi del produttore, ma deve altresì provvedere a chiamarlo in causa “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione”.

L’interesse processuale alla chiamata continua la corte territoriale appartiene a chi mira a essere estromesso, qui Ford Italia, “la quale non vi ha, invece, provveduto”.

Per questo correttamente “il fornitore Casa Automobilisticaè stato sottoposto alla stessa responsabilità”, non avendo inciso l’essere stata tale parte citata quale fornitrice, in quanto “la sua posizione era equiparata a quella del produttore non evocato, mentre parte attrice non era onerata dalla chiamata in causa”. E

‘per il resto” la domanda attorea “è rimasta identica nel petitum dall’inizio alla fine e la Casa Automobilistica Spa ha pienamente svolto le proprie difese di merito in vece del produttore”.

4.2 Ad avviso della Corte d’appello, dunque, l’onere di individuazione del produttore normativamente imposto al fornitore non si arresta all’indicarne i dati identificativi, bensì include la chiamata in causa in modo che si possa verificare in sede giurisdizionale se i dati identificativi forniti siano corretti, id est che il chiamato sia davvero il produttore. Ciò denoterebbe un intento di rafforzamento della tutela del consumatore, la cui posizione viene presidiata, nel caso in cui il produttore non sia stato “immesso” nel giudizio, dall’assunzione della responsabilità del produttore da parte del fornitore che avrebbe dovuto introdurvelo e invece ha omesso di chiamarlo oppure ha chiamato un soggetto che non è in realtà il produttore. Per la corte territoriale dunque una garanzia ibrida tra il mezzo processuale e quello, in realtà fonte di impulso di tutto l’insieme, sostanziale, che ha unito i due motivi d’appello.

  1. Passando allora a scrutinare i motivi, dato atto che il primo è ictu oculi infondato in quanto il giudice ha potere di qualificazione della domanda, il secondo e il terzo motivo costituiscono il reale contenuto del ricorso e meritano un vaglio congiunto.

5.1 Preliminarmente occorre rimarcare l’erroneità dell’interpretazione, adottata dal giudice di merito, dell’articolo 4 d.p.r. 224/1988 nel senso che il fornitore abbia l’obbligo non solo di fornire al consumatore i dati identificativi del produttore, ma altresì di chiamare in giudizio quest’ultimo “al fine della sua ‘individuazione’ (accertamento) in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione”.

Del – qui applicabile ratione temporis d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224, Attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell’art. 15 della l. 16 aprile 1987 n. 183, l’articolo 4, Responsabilità del fornitore, statuisce al primo comma: “Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità i/ fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto”. Il secondo comma descrive il contenuto che deve essere versato nella richiesta del consumatore e il terzo assegna al fornitore che la richiesta non abbia ricevuta prima dell’avvio del giudizio in cui è parte convenuta il termine di tre mesi (aumentabile nel caso del quarto comma) per rendere noti all’attore i dati del produttore.

È il quinto comma, presumibilmente (la corte territoriale ne omette uno specifico richiamo), la fonte del preteso obbligo ravvisato dal giudice d’appello in capo al fornitore, così stabilendo: “Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’art. 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista da/ comma terzo, i/ convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionateg/i dalla chiamata in giudizio”.

Da un lato il riferimento alla estromissione, collocato immediatamente dopo la previsione della chiamata ex articolo 106 c.p.c., e dall’altro quello alla condanna spese potrebbero avere effettivamente suscitato l’interpretazione del giudice d’appello nel senso che la chiamata sia onere del fornitore convenuto. Si tratta, però, di una deformante lettura della norma perché non la connette proprio con l’articolo 106 c.p.c., il quale è chiaramente incompatibile con una siffatta interpretazione in quanto fin dall’incipit la osta consentendo a tutte le parti già costituite di avvalersi in presenza naturalmente dei relativi presupposti sostanziali – dell’istituto della chiamata in causa (“Ciascuna parte può chiamare … “) .

5.2 Va peraltro rilevato – e qui è il nucleo della questione da dirimere – che la pronuncia impugnata, pur motivata in modo non del tutto limpido, lascia comunque intendere di ritenere sussistente la responsabilità di Casa Automobilistica per il suo trovarsi in una posizione “equiparata a quella del produttore non evocato”. La presenza di questo tema – che significa applicazione (anche) dell’articolo 3 d.p.r. 224/1988 – come non confinato in effetti alla chiamata in causa è stata avvertita dalla ricorrente, che pur la nega in tesi; ed è una presenza agevolmente ancora sostenibile considerato che, pur avendo poi qualificato il giudice di merito diversamente la domanda, l’attore ha espressamente convenuto Casa Automobilistica come produttrice, e non come fornitrice.

La stessa ricorrente, nella premessa del ricorso, espone che “il Sig. Letizia conveniva in giudizio la  Casa Automobilistica e, sul presupposto che questa fosse la produttrice del veicolo XX  ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno da lui subito in occasione di un incidente automobilistico nel quale il sistema air-bag del veicolo non aveva funzionato”, per poi riportare la sua immediata contestazione per cui produttrice sarebbe stato  il Produttore.

È dunque prospettabile, si ripete, che l’attore abbia in effetti agito nei confronti di Casa Automobilistica non quale fornitrice, bensì quale produttrice di un’automobile che sarebbe stata difettosa; e il giudice di legittimità, in applicazione dell’articolo 384, quarto comma, c.p.c., potrebbe respingere il ricorso correggendo la motivazione della sentenza che ne è oggetto, in quanto, se Casa Automobilistica è stata convenuta come produttrice, la sua condanna al risarcimento come correlata “alla stessa responsabilità del produttore” (così si esprime, nella stringata motivazione della sua pronuncia, la corte territoriale) può confermarsi. Tuttavia, la qualificazione come produttrice per Casa Automobilistica non è sostenibile sulla base dell’omessa chiamata in causa del Produttore – che, come si è visto, non è onere suo -, bensì sulla base dei rilievi fatti propri in una vicenda affine (che si approfondirà infra) dalla recente Cass. ord. 29327/2017.

E infatti la ricorrente ha affrontato la relativa tematica, inclusa appunto Cass.ord. 29327/2017, giungendo a proporre, in subordine, i già sopra riportati quesiti diretti alla CGUE.

6.1 L’articolo 3 d.p.r. 224/1988, Produttore, dopo avere al primo comma definito: “Produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e i/ produttore della materia prima”, estende la qualità di produttore al terzo comma: “Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione”.

Questa norma appare rispecchiare direttamente il contenuto della direttiva 85/374/CEE, sia con riferimento agli introduttivi considerando, sia con riferimento all’articolo 3 della direttiva stessa.

Dei considerando anteposti dalla direttiva agli articoli, due sono reputabili attinenti al caso in esame, i seguenti:

‘considerando che ai fini della protezione de/ consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo se il prodotto finito o la parte componente o la materia prima da essi fornita sono difettosi:

che per lo stesso motivo è necessario che sia impegnata la responsabili dell’importatore che introduca prodotti nella Comunità europea e quella di chiunque si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato” ;

“considerando che, se dello stesso danno sono responsabili più persone, la protezione de/ consumatore implica che il danneggiato possa chiedere i/ risarcimento integrale del danno ad uno qualsiasi dei responsabili”.

È ben noto poi che l’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE così statuisce:

‘1. Il termine ” produttore” designa il fabbricante di un prodotto finito, i/ produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo i/ proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso.

  1. Senza pregiudizio della responsabilità de/ produttore, chiunque importi un prodotto nella Comunità europea ai fini della vendita, della locazione, del “leasing” o di qualsiasi altra forma di distribuzione nell’ambito della sua attività commerciale, è considerato produttore de/ medesimo ai sensi della presente direttiva ed è responsabile allo stesso titolo de/ produttore.
  1. Quando non può essere individuato i/ produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest’ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l’identità del produttore o della persona che gli ha fornito i/ prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi j/ nome dell’importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato i/ nome del produttore. “

6.2 Nel caso in esame Casa Automobilistica S.p.A. verrebbe allora a condividere la qualità di produttrice del Produttore apponendo il proprio nome”, in modo del tutto evidente, al prodotto, così realizzando quella “autopresentazione” cui si riferisce l’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988, sulla scia del primo comma dell’articolo 3 della direttiva 85/374/CEE. Ciò che peraltro va chiarito – è già intuibile – è come debba intendersi l’espressione “apponendo il proprio nome:’  cioè se l’apposizione debba essere soltanto una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia lato sensu, e dunque includa pure (sembra un’inversione, ma in realtà è una mera espansione) la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto, che in tal modo “si presenta come produttore”, oggettivamente generando una confusione di individuazione del produttore che potrebbe risolversi a favore del soggetto debole, il consumatore, anche se il dettato normativo non appare inequivoco, bensì compatibile con più letture.

  1. La ricorrente, come anticipato, fronteggia Cass. sez. 3, ord. 7 dicembre 2017 n. 29327, che riguarda proprio una vicenda affine, la quale per responsabilità estesa a quella del produttore coinvolge ancora  Casa Automobilistica, per la comunanza, nelle modalità appena descritte, dell’elemento distintivo ” marchio”.

In sostanza, nel caso trattato da Cass. ord. 29327/2017 il ricorrente aveva lamentato l’esclusione della responsabilità del distributore per i subiti danni da prodotto qualora il prodotto sia commercializzato con marchi o segni distintivi confusivi delle posizioni di produttore e di distributore. La censura viene reputata fondata per violazione dell’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988 (anche in quel caso applicabile ratione temporis), norma che il giudice d’appello non aveva correttamente applicato “escludendo la responsabilità del distributore in un caso in cui tanto il produttore, quanto i/ distributore, pacificamente utilizzavano i/ medesimo segno distintivo”. Di qui la cassazione della pronuncia impugnata e l’assegnazione del principio per cui “i/ distributore o l’importatore rispondono del danno causato del vizio costruttivo del prodotto, se abbiano un marchio od una ragione sociale coincidenti in tutto od in larga parte con quelli de/ produttore, e sotto tali segni distintivi abbiano commercializzato il prodotto”.

L’indirizzo di questo recente arresto si fonda in termini unicamente oggettivi sulla coincidenza, in tutto o nella parte prevalente per il percipiente (questo è il significato logico, nel contesto, di “larga parte”), del marchio o della ragione sociale del produttore stricto sensu rispetto al marchio o alla ragione sociale del soggetto (distributore/fornitore, importatore) che così viene equiparato

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quanto alla responsabilità verso il consumatore, al “comunista” di tali elementi distintivi. Peraltro, non si può negare che la questione interpretativa sia risolvibile anche in modo diverso.

  1. Invero, nel momento in cui la sovrapponibilità, in misura assoluta o comunque realmente rilevante in termini di ordinaria percezione, dei segni e dei dati identificativi giunge ad un livello di “confusione”, da parte del consumatore, nell’identificazione del fornitore o importatore che lo dovrebbe distinguere dal produttore, l’interpretazione dell’articolo 3, primo comma, della direttiva 85/374/CEE (“Il termine ” produttore” designa i/ fabbricante di un prodotto finito, i/ produttore di una materia prima o i/ fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso. che quanto alla seconda parte (“nonché ogni persona ecc.) pare conformemente riversato nella norma nazionale di cui all’articolo 3, terzo comma, d.p.r. 224/1988 (“”Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. “), si trova dinanzi ad un bivio.

La tutela del consumatore effettuata mediante l’estensione della responsabilità del produttore a chi produttore non è ma ne condivide significativi dati esterni è offerta soltanto per quando, come già si anticipava, I m apposizione” sia una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto effettuata da chi non è produttore per volutamente fruire di un’ambiguità rispetto al produttore, oppure anche per quando il produttore e chi non è produttore condividono comunque e oggettivamente elementi alquanto consistenti nei propri dati identificativi? (Il secondo è il caso che qui ricorre, in cui sia la ricorrente sia la produttrice condividono nella loro denominazione l’elemento “marchio”, senza che la ricorrente sia attivata per apporre sul prodotto un elemento per creare confusione al consumatore).

Vale a dire: la condivisione di elementi identificativi adeguati a “confondere” deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure anche una semplice coincidenza va ricondotta a un’attività di confondere i soggetti (“apponendo si presenta come produttore”) da sanzionare oggettivamente con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?

La seconda via interpretativa appare, a questo collegio, come già si anticipava, una soluzione prospettabile se si focalizza la comprensione della ratio normativa con particolare intensità nella tutela appunto del consumatore; tuttavia, il collegio è ben consapevole che sarebbe sostenibile anche la linea offerta dalla ricorrente, nell’ottica di controbilanciare gli interessi dei soggetti coinvolti, pur tenendo in conto l’oggettiva “debolezza” consumatore nel rapporto de quo. Si tratta dunque, in ultima analisi, della identificazione di un corretto equilibrio, essendo di per sé la lettera della norma unionale (e dunque, della conformata norma interna) compatibile a entrambe le soluzioni interpretative.

  1. Si ritiene, pertanto, accoglibile la richiesta della ricorrente in ordine alla proposizione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, del primo quesito prospettato dalla ricorrente stessa: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello de/ produttore. L’interpretazione della norma di cui il quesito chiede risposta costituisce invero questione pregiudiziale rispetto al restante thema decidendum in quanto, qualora risulti corretta l’interpretazione maggiormente estensiva – cioè la seconda ipotesi sopra indicata – dovrebbe desumersi infondato il ricorso, previa correzione/integrazione motivazionale della sentenza d’appello, mentre, in caso contrario, il ricorso meriterebbe accoglimento.

La risoluzione di questo quesito, per quanto si è sopra evidenziato, rende superflua la proposizione del quesito ulteriore. Il presente giudizio deve essere ovviamente sospeso sino alla definizione della questione pregiudiziale.

P.Q.M.

La Corte, visto l’articolo 267 TFUE, chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione di interpretazione del diritto dell’Unione Europea: se sia conforme all’articolo 3, primo comma, direttiva 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità de/ produttore a/ fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto su/ bene i/ proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché i/ fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello de/ produttore.

Dispone conseguentemente la trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione Europea e sospende il presente giudizio sino alla definizione della suddetta questione pregiudiziale.

Così deciso in Roma il 9 febbraio 2023

Il Presidente