Alimentare . Vendita  di alimenti a temperatura ambiente nonostante  contrarie prescrizioni indicate sulla confezione.

 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2016 – 26 aprile 2017, n. 19596
Presidente Amoresano – Relatore Liberati

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 17 novembre 2014 il Tribunale di Pordenone ha condannato L. M. alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda, in relazione al reato di cui agli artt. 5, lett. b), e 6, comma 3, L. n. 283 del 1962 (per avere, quale responsabile del punto vendita PAM di Spilimbergo, detenuto per la vendita su di uno scaffale di tale punto vendita, con temperatura tra 19 e 20 gradi, venti confezioni sottovuoto di formaggio a pasta dura TRENTINGRANA D.O.P., tra le quali ve ne era una con estese formazioni di muffa).
    2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante il suo difensore di fiducia, che lo ha affidato a un unico articolato motivo, attraverso il quale ha denunciato l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, con particolare riferimento alla valutazione delle risultanze istruttorie, essendo stata indebitamente e illogicamente affermata la responsabilità dell’imputato per avere detenuto per la vendita 20 confezioni di formaggio a temperatura non adeguata (tra cui una con tracce di muffa), in quanto, secondo quanto emerso dall’istruttoria, non vi era correlazione tra la temperatura di conservazione e la muffa riscontrata su un unico pezzo (dovuta a un difetto di sigillatura della confezione sottovuoto da parte del produttore); il formaggio in questione poteva essere conservato a temperatura ambiente senza particolari conseguenze (come chiarito dal responsabile della gestione e commercializzazione del Consorzio Trentingrana, produttore del formaggio detenuto per vendita presso detto esercizio commerciale); non era, inoltre, stato provato da quanto tempo il prodotto fosse stato esposto a temperatura ambiente; il pezzo di formaggio con le tracce di muffa era preconfezionato all’origine e non era visibile dall’esterno, se non per una piccola porzione, con la conseguente applicabilità della esimente di cui all’art. 19 L. 283 del 1962.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è inammissibile, essendo volto a sindacare gli accertamenti di fatto compiuti dal Tribunale, di cui è stato dato conto con motivazione adeguata e priva di vizi logici.
    2. Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo.
    Anche a seguito della modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. con la L. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).
    3. Nella vicenda in esame il Tribunale è pervenuto alla affermazione di responsabilità dell’imputato a seguito del rinvenimento, presso il punto vendita di cui il ricorrente era responsabile, di 19 confezioni di formaggio a pasta dura “Trentingrana d.o.p.”, esposte per la vendita su uno scaffale a temperatura ambiente, nonostante la confezione di tali prodotti riportasse l’indicazione della necessità di conservazione in frigorifero a temperatura compresa tra 0 e + 8, e il manuale di autocontrollo della società PAM Panorama, titolare della rivendita, prescrivesse la conservazione dei formaggi a pasta dura in banchi refrigerati. Il Tribunale ha, inoltre, sottolineato che il formaggio contenuto in una di tali confezioni presentava tracce di muffa, concludendo, in modo logico, per la sussistenza del reato contestato, essendo evidente il cattivo stato di conservazione di tutte suddette confezioni alimentari.
    Il ricorrente, invece, come risulta dallo stesso ricorso, pur prospettando l’illogicità di tale motivazione, propone, in realtà, una rivisitazione del materiale probatorio, affermando che dall’istruttoria era emersa l’assenza di correlazione tra la temperatura di conservazione e la muffa presente sul prodotto di una delle confezioni, che il formaggio poteva essere conservato a temperatura ambiente, che non era comunque stato accertato il tempo di esposizione a tale temperatura, che il pezzo di formaggio su cui erano presenti le tracce di muffa era preconfezionato e non visibile dall’esterno, se non per una piccola porzione, che la presenza di muffa non era riconducibile alla temperatura di conservazione: tali rilievi sono tutti volti a censurare e sovvertire la ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice, che, sulla base della inidoneità delle modalità di conservazioni di tutte le 19 confezioni di formaggio esposte per la vendita a temperatura ambiente (dunque indipendentemente dalla presenza di muffe sul formaggio contenuto in una delle confezioni), ha ritenuto che tali prodotti fossero in cattivo stato di conservazione. Tale motivazione risulta conforme alle regole della logica e alle massime di esperienza, oltre che alle specifiche prescrizioni del produttore e del titolare dell’esercizio commerciale, e dunque le censure del ricorrente, piuttosto che individuare vizi della motivazione, sono dirette a conseguire una diversa valutazione delle risultanze di fatto correttamente considerate dal Tribunale, con la conseguente inammissibilità di tali doglianze.
    Poiché la responsabilità del ricorrente è stata affermata a causa della conservazione dei prodotti alimentari a temperatura non idonea, cioè a temperatura ambiente e non a quella compresa tra 0 e + 8, risultano chiaramente insussistenti i presupposti di applicabilità della esimente di cui all’art. 19 L. n. 283 del 1962.
    Tale disposizione, infatti, nel prevedere che “Le sanzioni previste dalla presente legge non si applicano al commerciante che vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo prodotti in confezioni originali, qualora la non corrispondenza alle prescrizioni della legge stessa riguardi i requisiti intrinseci o la composizione dei prodotti o le condizioni interne dei recipienti e sempre che il commerciante non sia a conoscenza della violazione o la confezione originale non presenti segni di alterazione”, attiene ai requisiti intrinseci o di composizione dei prodotti o alle condizioni interne dei recipienti, e non alle modalità di conservazione degli alimenti, che ricadono sotto la responsabilità del detentore, a cagione delle quali, e in particolare della inidoneità della conservazione a temperatura ambiente, è stata affermata la responsabilità dell’imputato, con la conseguente manifesta infondatezza della allegazione della configurabilità di tale esimente speciale, di cui nella specie non ricorrono i presupposti di fatto.
    4. In conclusione il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile, non essendo consentita nel giudizio di legittimità, in presenza di motivazione adeguata e immune da vizi, la rivalutazione delle risultanze di fatto, ed essendo chiaramente non configurabile l’esimente speciale invocata dall’imputato.
    Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.