Concorrenza sleale, responsabilità per fatto degli ausiliari .

 

Concorrenza sleale, denigrazione, diffusione, per interposta persona,  di opinioni inerenti l’attività dell’impresa concorrente, responsabilità per fatto degli ausiliari .

Corte di Cassazione, I sezione civile, sentenza n. 18691 del 25.09.2015

La Corte di Cassazione con  la sentenza che si segnala  ha preso posizione in materia di concorrenza sleale affermando i seguenti principi:

  1. Ai fini della configurabilità della concorrenza sleale per denigrazione, le notizie e gli apprezzamenti diffusi tra il pubblico non debbono necessariamente riguardare i prodotti dell’impresa concorrente, ma possono avere ad oggetto anche circostanze od opinioni inerenti in generale l’attività di quest’ultima, la sua organizzazione o il modo di agire dell’imprenditore nell’ambito, la cui conoscenza da parte dei terzi risulti comunque idonea a ripercuotersi negativamente sulla considerazione che ha l’impresa presso i consumatori.
  2. Si devono apprezzare, ai fini della potenzialità lesiva delle denigrazioni, l’effettiva “diffusione”, il contenuto fortemente diffamatorio degli apprezzamenti stessi e la potenzialità espansiva della comunicazione per la scelta dei destinatari.
  3. La concorrenza sleale non è ravvisabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto “rapporto di concorrenzialità”; l’illecito, peraltro, non è escluso se l’atto lesivo sia stato posto in essere da un soggetto (il cd. terzo interposto), che agisca per conto di un concorrente del danneggiato poiché, in tal caso, il terzo responsabile risponde in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre ove il terzo sia un dipendente dell’imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest’ultimo ne risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c. ancorché l’atto non sia causalmente riconducibile all’esercizio delle mansioni affidate al dipendente, risultando sufficiente un nesso di “occasionalità necessaria” per aver questi agito nell’ambito dell’incarico affidatogli.
  4. Ai fini della configurabilità della fattispecie di concorrenza sleale per interposta persona, non si richiede l’esistenza di uno specifico accordo ispirato a tali finalità tra l’imprenditore concorrente e il terzo, ma è necessaria e sufficiente una relazione di interessi tra detti soggetti tale da far ritenere che il terzo, con la propria attività, abbia agito in ragione di quegli interessi.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.          RORDORF     Renato                                                                                         –

Dott.          NAPPI             Aniello                                                                                        –

Dott. MERCOLINO Guido                                                                                  – rel.

Dott.     LAMORGESE         Antonio    Pietro  –

Dott.    NAZZICONE      Loredana               –

ha pronunciato la seguente:

sentenza sul ricorso proposto da

 ITALCOOP SOC. COOP. A R.L., in persona del presidente p.t.U., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Monte Zebio 30, presso l’avv. CAMICI CLAUDIO, dal quale, unitamente all’avv. GIOVANNI del foro di Milano, è rappresentata e difesa in virtù procura speciale a margine del ricorso;      ricorrente –

contro

la Special Coop Italia Soc. coop. a r.l.,  B.G. e R.

 

 

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 aprile 2015 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

  • udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, il quale ha concluso per il rigetto dei primi due motivi di ricorso e l’accoglimento del terzo motivo.
  • avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano pubblicata il 15 maggio 2007.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. – L’Italcoop Soc. coop. a r.l. convenne in giudizio la Special Coop Italia Soc. coop. a r.l., B.G. e R., per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati da atti di concorrenza sleale consistenti nella costituzione della società convenuta, avente denominazione assonante ed oggetto sociale affine a quello di essa attrice, nell’uso di segni distintivi simili, nello storno di soci lavoratori, nello sviamento di clientela, nell’artificiosa pratica di bassi prezzi e nella sottrazione di documentazione.
    1. – Con sentenza del 6 dicembre 2001, il Tribunale di Milano accolse parzialmente la domanda principale, ritenendo sussistente unicamente la concorrenza sleale per sviamento della clientela, ravvisarle nella diffusione di una lettera circolare sottoscritta dal B., e condannando quest’ultimo e la Special Coop al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio; dichiarò invece inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti.
  2. Si costituirono i convenuti, e resistettero alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni derivanti dalla diffusione di notizie false e denigratorie nei confronti della Special Coop e di B.G..
  3. – L’impugnazione proposta dalla Special Coop e dai B. è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Milano, che con sentenza non definitiva del 28 dicembre 2004 ha dichiarato ammissibile la domanda riconvenzionale, confermando nel resto la sentenza di primo grado, e con sentenza definitiva del 15 maggio 2007 ha ritenuto sussistente la concorrenza sleale anche a carico dell’Ital-coop, condannandola al risarcimento dei danni arrecati agli appellanti, da liquidarsi in separato giudizio.
  4. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che dalle deposizioni dei testimoni escussi emergesse effettivamente la diffusione di notizie false ed apprezzamenti idonei a determinare discredito nei confronti della Special Coop e del B., attribuendone la paternità a G.D., il quale, nell’incontestata qualità di fiduciario e mandatario della società appellata, in occasione della riconsegna dei libretti di lavoro a due dipendenti passate alla Special Coop, si era lasciato andare ad affermazioni diffamatorie nei confronti del B., accusandolo di essere mafioso e di essere stato arrestato per aver sottratto denaro alla società; tali affermazioni, volte a scoraggiare il trasferimento, erano state fatte in modo subdolo e tendenzioso e in un contesto tale da indurre nelle lavoratrici un giudizio fortemente negativo in ordine alla persona del B. ed alle loro prospettive di lavoro presso la nuova società.
  5. – Avverso la predetta sentenza l’Italcoop propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ., nonché l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata ha imputato alla società frasi denigratorie proferite da un suo socio lavoratore, senza accertare se esse fossero state pronunciate per conto della società ovvero in collegamento con la stessa. Premesso che la controversia traeva origine dal recesso del B. dall’Italcoop, a seguito della sua estromissione dalla gestione della filiale di (OMISSIS) e dell’affidamento della stessa al G., afferma che l’incarico conferito a quest’ultimo, limitato a tale aspetto operativo, non consentiva di ascrivere ad essa ricorrente le frasi da lui pronunciate, non essendo stata dimostrata la riconducibilità delle stesse alla volontà della società o la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria con le mansioni affidate al socio lavoratore.
    1. – Il motivo è infondato.Alla stregua di tali principi, costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, non merita censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo accertato che le espressioni diffamatorie nei confronti del B. e denigratorie nei confronti della Special Coop erano ascrivibili al G., ne ha addebitato la responsabilità all’Italcoop, in virtù del rapporto di dipendenza intercorrente tra quest’ultima ed il predetto soggetto, nonché della circostanza, concordemente riferita dai testi, che le medesime espressioni erano state pronunciate in occasione della chiusura dei rapporti di lavoro con altri dipendenti. L’affermazione della ricorrente, secondo cui il G. subentrò al B. nella gestione della filiale di (OMISSIS) della Cooperativa, suona d’altronde come un’ulteriore conferma della circostanza, ritenuta pacifica dalla sentenza impugnata e desunta comunque anche dalle deposizioni dei testi, che l’autore dell’illecito agì in qualità di fiduciario o mandatario dell’Italcoop, alla quale pertanto la Corte di merito ha correttamente imputato gli effetti delle sue dichiarazioni.
    2. Com’è noto, il principio secondo cui la concorrenza sleale costituisce una fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, pur escludendone la configurabilità in mancanza del presupposto oggettivo rappresentato dal cd. rapporto di concorrenzialità, non impedisce di ravvisare l’illecito in questione anche nel caso in cui l’atto lesivo del diritto del concorrente venga posto in essere da un soggetto (cd. terzo interposto) che, pur non essendo egli stesso in possesso dei necessari requisiti soggettivi, ovverosia della qualità di concorrente del danneggiato, si trovi con il soggetto avvantaggiato in una particolare relazione, tale da far ritenere che l’atto sia stato oggettivamente compiuto nell’interesse di quest’ultimo (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2012, n. 9117; 9 agosto 2007, n. 17459; 8 settembre 2003, n. 13071). Qualora poi, come nella specie, l’autore dell’illecito sia un dipendente dell’imprenditore che ne ha tratto vantaggio, quest’ultimo è tenuto a risponderne ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., sulla base del mero rapporto intercorrente con il soggetto agente, anche se l’atto non sia causalmente riconducibile allo esercizio delle mansioni affidate a quest’ultimo, risultando sufficiente che tra le stesse e l’illecito sia configurabile un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che il dipendente abbia agito nell’ambito dell’incarico affidatogli, sia pur eccedendo i limiti delle proprie attribuzioni o all’insaputa del datore di lavoro (cfr. Cass., Sez. 3, 4 aprile 2013, n. 8210; 12 marzo 2008, n. 6632; Cass., Sez. lav., 25 marzo 2013, n. 7403).
  2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2598 c.c., nn. 2 e 3, sostenendo che, nel qualificare come atti di concorrenza sleale le espressioni riferite dai testi, la Corte di merito non ha considerato che le stesse non riguardavano i prodotti o l’attività della Special Coop, ma vicende personali del B., estranee all’attività prestata nell’ambito della Special Coop o al periodo in cui ne era socio, ed attinenti al rapporto intercorso con l’Italcoop; esse, non essendo rivolte ai clienti ma a soci lavoratori già transitati nella Special Coop, non integravano una forma di divulgazione illecita, e non erano quindi idonee a provocare discredito, né potevano cagionare alcun danno all’impresa concorrente.
    1. – Il motivo é infondato.Cass., Sez. 1, 8 marzo 2013, n. 5848; 30 maggio 2007, n. 12681).
    2. Nella specie, tuttavia, la potenzialità lesiva delle dichiarazioni denigratorie é stata affermata in virtù del loro contenuto fortemente diffamatorio e della loro destinazione ai dipendenti dell’Italcoop in procinto di trasferirsi presso la Special Coop, nonché della finalità dissuasiva della divulgazione, che. in quanto volta a scoraggiare l’assunzione di tali iniziative da parte dei lavoratori, é stata correttamente ritenuta sufficiente a dimostrare il carattere non occasionale della condotta e la portata espansiva della comunicazione, rivolta a soggetti determinati ma idonea ad estendere i propri effetti ad una pluralità di persone (cfr. al riguardo, Cass., Sez. 1, 29 luglio 1968, n. 2728).
    3. Ai fini della configurabilità della concorrenza sleale per denigrazione, non é infatti necessario che le notizie e gli apprezzamenti diffusi tra il pubblico riguardino specificamente i prodotti dell’impresa concorrente, potendo gli stessi avere ad oggetto anche circostanze od opinioni inerenti più in generale all’attività di quest’ultima, e quindi anche alla sua organizzazione o al modo di agire dell’imprenditore nell’ambito professionale (con esclusione, quindi, della sua sfera strettamente personale e privata), la cui conoscenza da parte dei terzi risulti comunque idonea a ripercuotersi negativamente sulla considerazione di cui l’impresa gode presso i consumatori. E’ pur vero che la lettera dell’art. 2598 c.c., n. 2, richiedendo la “diffusione” delle notizie e degli apprezzamenti denigratori, fa riferimento ad un’effettiva propalazione di fatti e giudizi tra un numero indeterminato, o quanto meno tra una pluralità di persone, in tal modo escludendo, in linea di principio, la configurabilità della fattispecie in esame nell’ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell’ambito di separati e limitati colloqui (cfr.
  3. – Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e/o dell’art. 2598 cod. civ., rilevando che la condanna al risarcimento dei danni é stata pronunciata anche in favore di B.R., sebbene la relativa domanda fosse stata proposta soltanto dalla Special Coop e da B.G.; aggiunge che, nel riconoscere ai B. il predetto diritto, la Corte di merito non ha considerato che gli stessi non rivestivano la qualità di imprenditori, con la conseguente esclusione della configurabilità di un rapporto di concorrenza con essa ricorrente.
    1. – Il motivo è parzialmente fondato.Mentre peraltro alla Special Coop doveva essere senz’altro riconosciuta la qualità di soggetto passivo dell’illecito concorrenziale, in quanto società commerciale esercente un’attività in concorrenza con quella dell’Italcoop, non poteva dirsi altrettanto per B.G. e R., i quali, come è pacifico tra le parti, rivestono rispettivamente la carica di amministratore e la qualità di socio della società convenuta: la fattispecie prevista dall’art. 2598 cod. civ., presupponendo innanzitutto la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra soggetti che esercitino contemporaneamente un’attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, non è infatti configurabile nell’ipotesi in cui, come accade nella specie, uno di essi non sia in possesso della qualifica di imprenditore, svolgendo la predetta attività non già in proprio, ma attraverso una società. Nei confronti di B.G., che aveva costituito direttamente e personalmente oggetto delle dichiarazioni denigratorie, la mancanza della qualifica d’imprenditore non impediva tuttavia di affermare l’illiceità dell’attività posta in essere dal fiduciario dell’Italcoop, la cui portata diffamatoria, traducendosi nella lesione dell’onore e della reputazione dell’interessato, consentiva ugualmente il riconoscimento della responsabilità della società attrice, ai sensi degli artt. 2043 e 2049 cod. civ., indipendentemente dalla configurabilità dell’illecito concorrenziale. E’ solo nei confronti di B.R., dunque, che il difetto della qualifica d’imprenditore impediva di ravvisare qualsiasi responsabilità a carico della società attrice, non essendo da un lato configurabile rispetto a quest’ultima il rapporto di concorrenzialità richiesto dall’art. 2598 cod. civ., e non potendo la convenuta essere considerata soggetto passivo del reato di cui all’art. 595 cod. pen., in quanto le dichiarazioni diffamatorie del G. si riferivano esclusivamente all’amministratore della Special Coop. 4. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con il rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta da B.R..
    2. 5. – La mancata costituzione della Special Coop e di B. G. esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra gli stessi e la ricorrente. Nei rapporti tra quest’ultima e B.R., la peculiarità delle questioni trattate induce invece a dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese dei tre gradi di giudizio.
    3. Come si evince dalle conclusioni rassegnate nel giudizio d’appello e riportate testualmente nell’epigrafe della sentenza impugnata, la domanda proposta in via riconvenzionale, pur trovando fondamento nell’asserita diffusione di notizie ed apprezzamenti idonei a screditare la Special Coop ed il suo presidente B.G., aveva ad oggetto la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni in favore di tutti i convenuti: può quindi escludersi che, nel pronunciare la predetta condanna, la Corte territoriale sia incorsa in ultrapetizione, ravvisabile esclusivamente nel caso in cui il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, abbia alterato gli elementi obiettivi dell’azione, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa (cd. causa petendi) o emettendo un provvedimento diverso da quello richiesto (c.d. petitum immediato), ovvero attribuendo o negando un bene della vita diverso da quello conteso (c.d. petitum mediato) (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 11 gennaio 2011, n. 455; Cass., Sez. 3, 22 marzo 2007, n. 6945; Cass., Sez. 2, 12 luglio 2005, n. 14552).

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie parzialmente il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta da B.R.; dichiara interamente compensate le spese dei tre gradi di giudizio tra l’Italcoop Soc. coop. a r.l. e B.R..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 30 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2015