Lavoro, è possibile rinnovare il licenziamento

  Rinnovazione del licenziamento

Secondo la giurisprudenza dominante il licenziamento che presenti un vizio formale- procedurale, salvo rare eccezioni, è inidoneo ad incidere sulla continuità del rapporto, che quindi rimane giuridicamente in vita. Ciò comporta la possibilità per il datore di lavoro di rinnovare il licenziamento originariamente viziato, sulla base degli stessi motivi addotti in precedenza, rispettando però le prescritte formalità e modalità omesse nell’ intimazione del primo recesso. Ovviamente tale rinnovazione non potrà mai configurarsi come convalida volta a sanare con efficacia ex tunc i vizi che gravano il recesso già intimato, in quanto una simile previsione sarebbe contraria al principio generale sancito dall’art. 1423 cod. civ., il quale, rubricato “Inammissibilità della convalida”, prevede che «il contratto nullo non può essere convalidato, se la legge non dispone diversamente». Più semplicemente, allora, la rinnovazione costituirà un atto diverso dal precedente: un nuovo licenziamento che, seppur dovuto ai medesimi motivi del primo recesso, non presenta né i vizi né l’efficacia di quest’ultimo, essendo perfetto dal punto di vista formale e decorrendo ex nunc dal momento in cui è portato a conoscenza del lavoratore (così Cass., 6 novembre 2006, n. 23641, in Dir. mercato lav., 2006, 622, e, nella giurisprudenza di merito, Trib. Reggio Calabria, 26 aprile 2006, in Giur. merito, 2007, 2, 375). Si può dunque affermare che il successivo licenziamento basato sugli stessi motivi posti a fondamento del precedente ha, rispetto a quest’ultimo, una propria autonomia sia strutturale, non risolvendosi in un richiamo per relationem, sia funzionale, non essendo diretto a dare al precedente recesso un’efficacia ex tunc (R. TRIVELLINI, Rinnovazione del licenziamento e “rilicenziamento”, in Dir. e prat. lav., 2004, 2610). Vi è però un elemento, pur sempre inerente ai presupposti formali del licenziamento, che, per la sua natura irreversibile, non può essere rinnovato, e la cui mancanza in occasione del primo recesso determina automaticamente, oltre all’invalidità di questo, anche quella del successivo: si tratta della tempestività della contestazione dell’addebito, ovviamente in ipotesi di licenziamento di natura disciplinare. È intuitivo, infatti, che una contestazione non tempestiva in relazione al primo recesso, per l’ovvia difficoltà di ricordare fatti assai risalenti nel tempo, impedisca il pieno e corretto esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, e che, essendo il secondo recesso cronologicamente successivo al primo, la rinnovata contestazione disciplinare non potrà che porsi ad una maggiore distanza temporale dai fatti contestati, essere intempestiva e viziare il nuovo licenziamento. Da ultimo, resta da considerare che pare ormai superato quell’orientamento giurisprudenziale, peraltro minoritario, secondo il quale la rinnovazione di un licenziamento viziato sotto il profilo formale sarebbe possibile soltanto in caso di avvenuta ricostituzione del rapporto di lavoro, conseguente alla revoca del precedente provvedimento (C. App. Roma, 28 maggio 2001, in Nuovo dir., 2001, 1004) o ad una pronuncia di invalidità da parte del giudice (Pret. Roma, 19 novembre 1997, in Giur. lav. Lazio, 1998, 198), in quanto il licenziamento reiterato prima di tale momento sarebbe nullo per inesistenza dell’oggetto. È invece pacifico che la rinnovazione del recesso in base agli stessi motivi sostanziali, ma con le dovute formalità, sia possibile anche se la questione della validità del primo recesso sia ancora sub iudice, giacché non è la persistenza di fatto del rapporto, bensì la sua esistenza giuridica a costituire il presupposto indispensabile per l’ intimazione di un secondo licenziamento. Naturalmente, se la rinnovazione interviene quando il primo recesso è ancora sub iudice, essa vale ad interrompere con efficacia ex nunc il rapporto che si verrebbe eventualmente a ricostituire per effetto della sentenza che rilevi l’invalidità, nonché a limitare i danni dovuti alle sole retribuzioni maturate tra il primo ed il secondo licenziamento.