L.c.a. il caso UNIECO, ma anche Pop. Vicenza e Veneto Banca. Formazione dello stato passivo. Istruzioni per l’uso 2

Data l’importanza che per la gran parte del ceto creditorio riveste la fase della formazione dello stato passivo riteniamo di fare cosa utile compiendo un balzo in avanti nell’analisi dell’istituto della L.c.a.( Liquid. Coatta amministrativa), affrontando il tema della presentazione delle istanze dei creditori, salvo poi ritornare su  temi ai quali dovrebbe essere riservata priorità logica.

Con la recente pubblicazione del decreto che ha disposto la Liquidazione coatta amministrative delle note banche venete, l’istituto ha assunto un ruolo di  grande attualità, anche se occorre puntualizzare che  per il comparto  creditizio occorre fare riferimento alla disciplina speciale contenuta nel Testo Unico Bancario .

Dopo alcune nozioni per inquadrare la materia daremo conto di una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che ha composto un contrasto giurisprudenziale a proposito del silenzio serbato da Commissario Giudiziale e della proposizione tardiva di crediti.

Il procedimento di formazione dello stato passivo nella l.c.a., disciplinato in via generale dalla legge fallimentare (art. 207, 208 e 209  con salvezza delle diverse disposizioni contenute in leggi speciali), si struttura in una duplice fase: la prima, necessaria, di carattere amministrativo, condotta dal commissario liquidatore e informata a un principio di officialità; la seconda, astrattamente soltanto eventuale, di natura giudiziale, da svolgersi davanti all’A.g.o. (Autorità giudiziaria ordinaria). L’operato amministrativo precede quindi l’intervento giudiziale meramente potenziale che trova la propria sede naturale nel giudizio di impugnazione dello stato passivo ex art 98 e 99  L.fall. e in quello di accertamento delle domande di insinuazione tardiva ex art. 101  L. fall.. Il che conferma la qualifica della l.c.a. come procedimento amministrativo in tutte le sue parti, in cui si innestano fasi di natura giurisdizionale   ( Cass. 10.06.11 n. 12729) .

La verifica dello stato passivo nella l.c.a. è regolamentata unicamente con riguardo alla fase giudiziale, mentre invece con riguardo all’accertamento compiuto dal commissario liquidatore, a parte l’indicazione dell’asse temporale in cui questo è scandito, resta priva di regolazione. Trattasi in particolare di una verifica ispirata dal fine di concretare una celerità di ricognizione di tutte le pretese creditorie.

Tuttavia, come ha efficacemente sottolineato un autore: “detto carattere di scopo viene a perdere di effettività a causa sia della natura “ordinaria” dei termini che cadenzano la fase amministrativa, sia della fisiologica procastinazione del momento di definitività dello stato passivo all’esaurimento della possibilità di presentare domande di insinuazione tardiva davanti all’A.g.o”.

Entro un mese dalla nomina, il commissario liquidatore comunica ai creditori le somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa, seppur con riserva ex lege di eventuali contestazioni in sede di elaborazione dello stato passivo. Analoga comunicazione è rivolta a coloro che possono far valere domande di rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili possedute dall’impresa. In entrambi i casi la comunicazione deve essere effettuata, ove possibile, a mezzo posta elettronica certificata, altrimenti, a mezzo raccomandata o fax.

Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione, i creditori e i titolari di diritti possono far pervenire al commissario le loro osservazioni o istanze (art. 207, co. 3, l.fall.). Si tratterà di contestazioni inerenti, ad esempio, l’entità della somma comunicata, l’omissione di interessi maturati, il disconoscimento della prelazione. I soggetti che invece non hanno ricevuto la comunicazione commissariale possono chiedere, a mezzo raccomandata e con indicazione dell’indirizzo pec personale, il riconoscimento dei propri crediti e la restituzione dei loro beni entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione (art. 208), senza tuttavia incorrere in preclusioni. In entrambi i casi, infatti, stante sempre la non perentorietà dei termini, la presentazione di osservazioni, istanze o richieste non rappresenta un onere, né tantomeno un obbligo, per il creditore quantunque interessato, potendo quest’ultimo sopperire all’inerzia iniziale, non solo fino al deposito dello stato passivo (Cass., 12 febbraio 2008, n. 3380), ma altresì con un proprio intervento nella fase giurisdizionale di accertamento, nella forma delle opposizioni (potendo anche modificare o integrare l’istanza eventualmente già presentata ex art. 208 l.fall.: Cass 15.02.2016 n. 2917)  o dell’insinuazione tardiva, a seconda dei casi.

Nell’indicativo termine di novanta giorni dall’apertura della procedura, il commissario liquidatore, sulla base delle informazioni raccolte d’ufficio e delle eventuali osservazioni, istanze e richieste pervenute, forma poi l’elenco dei crediti, ammessi o respinti, e delle domande di rivendicazione, restituzione e separazione, accolte o rigettateL’elenco è depositato nella cancelleria del tribunale del luogo dove l’impresa ha sede principale, divenendo per legge esecutivo (art 209, co. 1, L.fall.).

Con la sentenza infra  pubblicata vengono enucleati alcuni importanti principi, che hanno contribuito a dissipare dubbi alimentati anche, nel recente passato,  da pronunce del Tribunale di Reggio Emilia. Questi,in sintesi, i principi espressi dalla sentenza  infra riportata per esteso:   << Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, la partecipazione del creditore al procedimento di formazione dello stato passivo, attraverso la formulazione di domande ai sensi dell’art. 208 legge fall. ovvero di osservazioni o istanze ex art. 207 legge fall., è solo eventuale ma, ove esperita, comporta l’obbligo del commissario liquidatore di provvedere su di esse. Ne consegue che il silenzio mantenuto dal commissario liquidatore in ordine alle richieste formulate dal creditore e il mancato inserimento del credito nell’elenco previsto dall’art. 209, primo comma, legge fall. assume valore implicito di rigetto, contro il quale, per evitare il formarsi di una preclusione, il creditore deve proporre opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 98 legge fall., mentre, ove sia mancata ogni specifica domanda od osservazione alla comunicazione del commissario liquidatore, resta proponibile la domanda tardiva del credito che non sia stato inserito nel suddetto elenco.>>

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 26 marzo 2015, n. 6060

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SENTENZA

sul ricorso 15066-2010 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo 48 studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del Commissario Liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4729/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

uditi gli avvocati (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS), (OMISSIS);

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza ex articolo 101 L.F. depositata presso il Tribunale di Roma il 30 giugno 2003 l’avv. (OMISSIS) chiedeva l’ammissione al passivo della (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, al rango privilegiato, del proprio credito da interessi sulla somma di euro 429.889,54, gia’ riconosciuta con pari grado all’udienza fissata per la verifica dello stato passivo a titolo di compenso per l’attivita’ professionale svolta in favore della compagnia.

La (OMISSIS) s.p.a. si costituiva eccependo la preclusione da giudicato per effetto della intervenuta ammissione al passivo della sorte capitale.

Con sentenza 20 maggio 2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e per l’effetto ammetteva allo stato passivo gli interessi con il medesimo privilegio riconosciuto al credito principale e con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto fino alla data di definitivita’ dello stato passivo.

In accoglimento del gravame proposto in via principale dalla (OMISSIS), la Corte d’appello di Roma con sentenza 30 novembre 2009, respinta l’eccezione pregiudiziale di inammissibilita’ per genericita’ dei motivi, ex articolo 342 cod. proc. civ., dichiarava inammissibile la domanda.

Motivava:

– che sussisteva la preclusione pro judicato in ordine al credito accessorio per interessi, dal momento che la verifica dello stato passivo ed il successivo procedimento ex articolo 101 legge fallimentare erano fasi del medesimo accertamento giurisdizionale riguardante un credito da lavoro professionale, frazionato dal ricorrente nella sorte-capitale e negli interessi nonostante l’identica causa petendi.

Avverso la sentenza, non notificata, l’avv. (OMISSIS) proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi e notificato il 5 giugno 2010.

Deduceva:

1) la violazione dell’articolo 342 cod. proc. civ. nel rigetto dell’eccezione di inammissibilita’ dell’appello proposto dalla (OMISSIS) in liquidazione coatta amministrativa, nonostante la genericita’ dei motivi dedotti, privi di un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione della sentenza impugnata;

2) la violazione l’articolo 2909 cod. civ. e articolo 97 L.F. in ordine al ritenuto giudicato interno per effetto dell’ammissione al passivo del credito per sorte-capitale, da ritenere preclusivo della pretesa degli interessi, successivamente azionata ex articolo 101 L.F.;

3) la violazione dell’articolo 54 L.F., per non aver tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale 28 maggio 2001 n. 162 che implicitamente consentiva la proposizione di una nuova domanda per interessi precedentemente non proposta.

Resisteva con controricorso la (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa.

La sezione 6-1 della Corte di cassazione, cui la causa era stata assegnata in base ai criteri tabellari, sull’ordinanza del giudice relatore ex articolo 380 bis cod. proc. civ. che proponeva l’accoglimento del secondo motivo, con ordinanza interlocutoria 4 luglio 2012, rimetteva la causa alla pubblica udienza dell’11 luglio 2013.

All’esito della discussione il collegio, ravvisata una questione di particolare importanza, con ordinanza 8 agosto 2013, rimetteva la causa al Primo Presidente, che la assegnava alle sezioni unite.

Entrambe le parti depositavano memoria illustrativa ex articolo 378 cod. proc. civ..

All’udienza del 27 gennaio 2015 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo e’ inammissibile per difetto di autosufficienza.

Il ricorrente lamenta, infatti, la carenza di specificita’ dei motivi dell’appello della (OMISSIS), poi accolto: motivi, che si sarebbero risolti nella ripetizione pedissequa degli argomenti trattati in primo grado, senza confutazione analitica delle ragioni di diritto addotte dal Tribunale di Roma a sostegno della decisione. Sennonche’, la censura appare svolta in forma meramente assertiva, senza riproduzione dei predetti motivi di appello: quanto meno, nella parte essenziale da porre in relazione con la ratio decidendi della sentenza di prime cure.

La genericita’ della doglianza non consente neppure di valutare se, trattandosi di questioni di diritto non bisognose di specifica motivazione (secondo la formula tradizionale “il giudice dice il diritto”), la prospettazione di una tesi interpretativa diversa da quella del tribunale, seppur in ipotesi gia’ illustrata in primo grado, fosse idonea, o no, a sollecitarne il riesame da parte del giudice del gravame.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’articolo 2909 cod. civ. e articolo 97 L.F..

Il problema della proponibilita’ tardiva, ex articolo 101 L.F., della domanda relativa al credito accessorio da interessi, quando gia’ si sia proposta istanza tempestiva per la sorte-capitale (nella specie, a titolo di compenso di attivita’ professionale) – accolta in sede di verifica dello stato passivo -presenta diverse sfaccettature, in parte riconducibili a profili di diritto processuale ordinario, in parte propri del rito speciale fallimentare.

Il primo aspetto da prendere in considerazione e’ l’identificazione stessa della domanda, ai fini della sua distinguibilita’ da quella gia’ ammessa al passivo. Si tratta di attivita’ interpretativa che deve muovere dall’ordinaria disamina degli elementi costitutivi della fattispecie: persone, causa petendi e petitum.

Pacifica, nella specie, l’identita’ della componente soggettiva, non appare revocabile in dubbio, invece, contrariamente all’avviso della corte territoriale, la diversita’ della causa petendi.

Vertendosi in tema di diritto di credito eterodeterminato, la pretesa al compenso professionale trae origine, infatti, da un contratto di opera intellettuale; laddove, la domanda accessoria relativa agli interessi moratori ha natura risarcitoria, fondata com’e’ sul ritardo nell’adempimento.

Ne consegue anche la difforme modalita’ di determinazione del quantum: in misura fissa, con riferimento alla sorte-capitale, in conformita’ con il parametro in concreto applicabile, in tema di compenso dell’opera intellettuale (articolo 2233 cod. civ.); soggetta, invece, ad incremento progressivo, ratione temporis acti, in ordine all’obbligazione accessoria per interessi.

Tale inquadramento concettuale, con la distinzione netta tra le due causae petendi, vale a risolvere in senso affermativo la questione della separata proponibilita’ delle relative domande, per compenso e per interessi, rispettivamente in sede di verifica dello stato passivo ed in via tardiva ex articolo 101 L.F.: fuori delle ipotesi, estranee al presente thema decidendum, in cui il debito per interessi resti, per contro, inscindibilmente legato alla sorte-capitale, al punto da poter essere anche liquidato d’ufficio, senza vizio di ultrapetizione: come nel caso di credito da lavoro subordinato o di credito risarcitorio da illecito aquiliano.

La preclusione della domanda tardiva di insinuazione al passivo fallimentare degli interessi maturati, ex articolo 101 L.F., dopo l’avvenuta ammissione tempestiva del credito principale (articolo 96 legge fallimentare) e’ gia’ stata esclusa, del resto, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 1, 22 marzo 2012, n. 4554). Si pone allora il problema se la medesima soluzione valga anche nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, connotata da profili di specialita’ nell’officiosita’ nell’iter formativo dello stato passivo.

Al riguardo, si osserva che l’impulso d’ufficio sia temperato, peraltro, dalla facolta’ del creditore di presentare osservazioni alla comunicazione delle somme risultanti a suo credito secondo le scritture contabili e i documenti dell’impresa (articolo 207, commi 1 e 3 L.F.). Alternativamente, i creditori che non abbiano ricevuto la predetta comunicazione possono chiedere, mediante raccomandata entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione, il riconoscimento dei propri crediti (articolo 208 L.F.).

Anche se si debba condividere l’orientamento prevalente, secondo cui non si tratta, in tal caso, di vera domanda giudiziale – perche’ diretta al commissario liquidatore, che e’ organo amministrativo – resta comunque che di essa, come delle osservazioni, il commissario debba tenere conto: cosicche’ il silenzio mantenuto sulle richieste formulate e l’omesso inserimento del credito nell’elenco di cui all’articolo 209 L.F., comma 1, assumono valore implicito di rigetto: contro il quale il creditore deve attivarsi mediante opposizione allo stato passivo, ex articolo 98 L.F., per evitare il formarsi di una preclusione (Cass., sez. 1, 11 novembre 2013 n. 25.301; Cass., sez. 1, 19 febbraio 2003 n. 2476).

Simmetricamente, il mancato esercizio del potere di proporre specifica domanda o di presentare osservazioni alla comunicazione del commissario liquidatore – iniziative, previste solo come eventuali dalle norme citate – non preclude la proponibilita’ della domanda di ammissione tardiva del credito accessorio da interessi, non pregiudicata da alcun silenzio-rigetto.

Da ultimo, appare inconferente il richiamo argomentativo al principio di ragionevole durata, pure addotto dalla (OMISSIS) s.p.a. in funzione preclusiva della domanda tardiva ex articolo 101 L.F..

Al riguardo, si osserva che il canone in questione, sancito innanzitutto dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (articolo 6, paragrafo 1), poi recepito dalla legislazione nazionale costituzionale (articolo 111 Cost., emendato, in parte qua, in forza della Legge Cost. 23 novembre 1999, n. 2) e ordinaria (Legge 24 marzo 2001, n. 89) e’ rivolto allo stesso legislatore; e cioe’, allo Stato-amministrazione affinche’ realizzi l’obiettivo della definizione del giudizio entro un termine ragionevole: onde, non puo’ essere distorto al fine di penalizzare proprio la parte privata, che di tale principio dovrebbe invece beneficiare, riducendone le possibilita’ di iniziativa giudiziaria, pur se conformi alla disciplina speciale del rito fallimentare: nella specie, inibendo domande di ammissione al passivo fallimentare tardive, e financo “ultratardive”, pur se rispettose dei limiti temporali fissati dall’articolo 101 L.F., u.c., nel testo novellato.

Resta assorbito il terzo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 54 L.F.; cosi’ come impregiudicata l’ulteriore questione della individuazione del termine finale degli interessi, successiva, in via gradata, alla decisione rimessa al giudice del rinvio sulla domanda principale.

La sentenza dev’essere dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimita’.

P.Q.M.

– Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo;

– cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimita’.